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Putin, ‘sanzioni su armi e diamanti non ci fermano’

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Mosca troverà altri compratori per i suoi diamanti e continuerà ad essere uno dei leader del mercato mondiale di armi: Vladimir Putin risponde con toni di sfida all’ultimo annuncio del G7 da Hiroshima di volere “fiaccare la macchina da guerra russa” con nuove sanzioni. Il mercato mondiale dei diamanti “è fluido e ricco di destinazioni alternative” e “se gli acquisti si fermano in un posto, cominciano in un altro”, è il commento noncurante del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov all’intenzione dei sette grandi di volere limitare le esportazioni russe di queste pietre preziose, che contribuiscono a sostenere le finanze statali messe sotto pressione dallo sforzo bellico. Del resto, rincara Putin, Mosca rimane uno dei leader mondiali del mercato delle armi, nonostante le sanzioni, attraverso le quali gli esportatori occidentali esercitano una “concorrenza sleale”. Per resistere alle sanzioni occidentali la Russia conta sempre di più sulla sponda cinese. Oggi è stata annunciata una visita per il 23 e 24 maggio a Pechino e Shanghai del primo ministro russo Mikhail Mishustin, due mesi dopo il viaggio di Xi Jingping a Mosca.

E il presidente cinese ha parlato oggi al primo vertice tra Cina e cinque repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale – che rimangono alleate anche di Mosca -facendo appello all’espansione della cooperazione economica anche con loro in quello che alcuni hanno visto come un’iniziativa di risposta al vertice del G7. Dalla Russia è intanto arrivato un allarme, lanciato dal capo del Consiglio di Sicurezza nazionale Nikolai Patrushev, secondo il quale una “nube radioattiva” si è formata sull’Ucraina, e “si sta spostando verso l’Europa occidentale”, dopo che le forze russe hanno bombardato un deposito di munizioni all’uranio impoverito fornito a Kiev da Paesi occidentali. “Un aumento delle radiazioni è già stato registrato in Polonia”, ha aggiunto Patrushev. L’Agenzia atomica polacca ha smentito, affermando che “la situazione nel Paese è normale” e che i picchi “osservati negli ultimi giorni in Polonia, ma anche nel resto d’Europa, non sono insoliti” e si “verificano regolarmente” con le piogge.

E una smentita è poi arrivata anche da una fonte dell’Aiea. Nel frattempo Mosca ha inserito nella lista dei ricercati della Russia il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, due mesi dopo che la Cpi ha emesso un mandato di arresto per Putin, accusato tra l’altro di aver fatto deportare bambini dall’Ucraina. Mosca ha anche annunciato di avere vietato l’ingresso in Russia di 500 cittadini americani, tra cui l’ex presidente Barack Obama, accusati a vario titolo di diffondere la “russofobia” e di cooperare all’invio di armi all’Ucraina. Il governo russo, inoltre, ha nuovamente negato il permesso alle autorità consolari americane a Mosca di visitare in carcere il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato con l’accusa di spionaggio. Il ministero degli Esteri ha detto che la decisione è una risposta al rifiuto degli Usa di concedere visti ai giornalisti russi che volevano seguire il ministro degli Esteri Serghei Lavrov a New York, dove presiedeva una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E intanto Patrushev ha accusato Washington di essere direttamente coinvolta nella pianificazione di “attacchi terroristici” avvenuti in Russia, tra cui le uccisioni di Darya Dugina e Vladlen Tatarsky, il ferimento dello scrittore Zakhar Prilepin e l’attentato al Ponte di Crimea. La Procura generale russa, infine, ha dichiarato “indesiderabile” Greenpeace, decretandone la messa al bando dalla Russia. L’organizzazione è accusata tra l’altro di aver tentato di interferire negli affari interni della Russia e di propaganda anti-russa. Pertanto, spiega l’ufficio del Procuratore, l’organizzazione pone “una minaccia all’ordine e alla sicurezza della Federazione Russa”. Greenpeace ha reagito parlando di una mossa “assurda, irresponsabile e distruttiva” che “priverà la Russia di uno dei maggiori esperti nel combattere i problemi ambientali”.

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La strage dei neonati, si allarga l’inchiesta dopo la condanna della infermiera

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Si allargano anche alle possibili negligenze dei vertici della struttura sanitaria locale le indagini idella polizia britannica sulla “strage di neonati” del Countess of Chester Hospital: l’ospedale del nord dell’Inghilterra in cui un’infermiera addetta al reparto maternità fece morire – deliberatamente secondo le accuse – 7 neonati fra il 2015 e il 2016, esponendo a sovradosaggi di farmaci almeno altri 6, per motivi deliranti che in parte restano oscuri. Il primo capitolo della vicenda si è chiuso nell’agosto scorso con la condanna all’ergastolo dell’ex infermiera 33enne Lucy Letby, ribattezzata dai tabloid “la nurse killer del Chestershire”. Mentre è di oggi l’ufficializzazione della notizia dell’apertura formale di un secondo fascicolo parallelo da parte della polizia della contea sull’ipotesi di reato di complicità in omicidio colposo plurimo a carico di responsabili dell’ospedale o di figure addette sulla carta alla sorveglianza in seno al servizio sanitario nazionale (Nhs). Figure al momento non identificate. Il sovrintendente detective Simon Blackwell ha sottolineato che le verifiche riguarderanno anche i massimi vertici dell’epoca della struttura, precisando che esse sono tuttavia “a uno stadio iniziale”. E che quindi non vi sono per ora specifici individui nel registro degli indagati.

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Ricatto di Saied, l’arma dell’invasione per i fondi

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Saied presidente Tunisia

Un gioco al rialzo o rivendicazioni a uso e consumo interno? Il presidente tunisino Kais Saied ha rifiutato un primo assegno da 127 milioni dell’Unione europea, bollandolo come “elemosina”, con un rigurgito – almeno all’apparenza – di anticolonialismo. O, piuttosto, per alzare la posta, brandendo la minaccia dell’invasione di migliaia di migranti pronti a salpare da Sfax verso le coste italiane. Con un duplice obiettivo: ricevere una somma più alta, sul modello dell’accordo da 6 miliardi di euro raggiunto dall’Ue con la Turchia di Erdogan nel 2016 per chiudere i rubinetti della rotta balcanica; e riuscire ad ottenere i 900 milioni di assistenza macrofinanziaria previsti dal memorandum del luglio scorso, sganciandoli dai quasi 2 miliardi che l’Fmi tiene bloccati in attesa di riforme. Riforme che Saied – che dal 2021 si presenta come nuovo autocrate del Nord Africa – non sembra intenzionato nemmeno ad avviare.

La Commissione europea aveva annunciato nei giorni scorsi di aver stanziato i 127 milioni da versare “rapidamente” a Tunisi. Bruxelles aveva precisato che si trattava di 67 milioni per combattere l’immigrazione illegale (i primi 42 milioni dei 105 milioni di aiuti previsti dal memorandum firmato due mesi fa e altri 24,7 milioni nell’ambito di programmi già in corso) e 60 milioni legati al sostegno del bilancio tunisino. Ma Saied ha bloccato tutto: “La Tunisia accetta la cooperazione, ma non accetta nulla che somigli a carità o favore, quando questo è senza rispetto”, ha dichiarato il presidente dopo aver rinviato e sospeso nei giorni scorsi anche le visite delle delegazioni europee, prima parlamentare e poi della Commissione. Questo rifiuto, ha tenuto a sottolineare Saied, “non è dovuto all’importo irrisorio ma al fatto che questa proposta va contro” l’accordo firmato a Tunisi e “lo spirito che ha prevalso durante la Conferenza di Roma” di luglio, “iniziativa avviata da Tunisia e Italia”.

“Non abbiamo capito ancora cosa volesse dire Saied. Non abbiamo avuto la trascrizione e stiamo lavorando per avere più informazioni”, ha ammesso un alto funzionario Ue, intuendo però che il tunisino “avrebbe preferito più aiuti” rispetto alla prima tranche. Sullo stato dell’intesa la fonte ha ricordato che il Consiglio “non è stato coinvolto” nei negoziati. Ma, ha sottolineato, “non possiamo dire che il Memorandum sia un fallimento”. E se anche a Bruxelles l’intesa con Tunisi trova un ostacolo nelle diverse posizioni dei 27, preoccupa lo stato dei diritti umani nel Paese, dove la democrazia sognata dalla rivoluzione dei Gelsomini è ormai naufragata e dove lo stesso Saied ha di fatto aizzato una caccia al migrante subsahariano, ormai poco tollerato da una popolazione alle prese con una grave crisi economica e alimentare.

Resta il fatto che l’Europa e l’Italia non possono fare a meno di lavorare con la Tunisia per arginare gli sbarchi che rischiano di mettere in crisi l’Unione e il suo futuro dopo le elezioni di giugno. E Saied lo ha capito, rilanciando ogni giorno, non solo per sedare le tensioni interne ma anche e soprattutto per spingere l’Europa, di fronte ad una crisi migratoria senza precedenti, a fare pressione su Washington per lo sblocco degli 1,9 miliardi del Fondo Monetario Internazionale.

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La Camera destituisce lo speaker, prima volta negli Usa

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La Camera ha approvato la mozione per destituire lo speaker repubblicano Kevin McCarthy, facendo precipitare il Capitol nel caos e nell’incertezza. E’ la prima volta nella storia Usa. A proporre la mozione il deputato del suo partito Matt Gaetz, un fedelissimo di Donald Trump ed esponente di una fronda parlamentare alla Camera legata al tycoon.

La votazione si è conclusa con 216 voti a favore e 210 no. Otto repubblicani hanno votato contro McCarthy. Quest’ultimo ora dovrà indicare il suo sostituto provvisorio sino all’elezione di un nuovo speaker, passaggio che non sarà certo facile e che rischia di paralizzare il Congresso proprio quando deve negoziare la prossima legge di spesa.

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