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Cronache

Putin, liquidare il dominio Usa. Minsk chiede la tregua

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La “guerra ibrida” dell’Occidente rappresenta un pericolo “esistenziale” per la Russia, che pertanto si difenderà “con tutti i mezzi a disposizione”. Così il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha descritto le nuove linee strategiche della politica estera di Mosca varate da Vladimir Putin. Parole che non possono non evocare lo spettro di una possibile guerra nucleare. Lo stesso pericolo è denunciato dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko secondo il quale il pericolo di una escalation può essere scongiurato solo con una “tregua” immediata in Ucraina e l’avvio di “negoziati senza precondizioni”. L’appello lanciato dal più fedele alleato di Mosca in un discorso solenne al Parlamento e alla nazione bielorussi, possono far pensare che le sue parole siano state ispirate proprio da Putin. Subito dopo il Cremlino ha raffreddato gli entusiasmi, affermando che “per la Russia non cambia nulla e l’operazione militare speciale continua”.

Ma il portavoce, Dmitry Peskov, ha poi ammesso che “anche questa questione verrà affrontata” in colloqui in programma tra Putin e Lukashenko la prossima settimana. Durante l’incontro dovrebbero essere discusso anche il dossier del dispiegamento di armi nucleari tattiche russe in Bielorussia, annunciato dallo stesso Putin. Ma Minsk, ha avvertito Lukashenko, è disponibile “se necessario” a ricevere anche testate strategiche (quelle che possono raggiungere gli Usa) ed è pronta a farne uso se “c’è una minaccia di distruzione del Paese”. Facendo la tara ai proclami propagandistici, emerge però un Lukashenko realista: “Russia e Ucraina capiscono che non possono cercare una vittoria a tutti i costi”, ha ammesso. Perciò, ha annunciato, “mi assumo il rischio di proporre che le attività militari vengano sospese senza che le parti possano spostare equipaggiamenti militari e raggruppare le truppe”. Sull’altro fronte a rispondere è il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, l’uomo al quale vengono normalmente affidate le dichiarazioni più intransigenti: “Qualsiasi cessate il fuoco significa il diritto della Russia di rimanere nei territori occupati, e questo è totalmente inammissibile”.

Kiev continua del resto a sostenere che la pace può essere raggiunta solo con il ritiro completo delle truppe di Mosca, anche dalla Crimea. Ma lancia al contempo qualche segnale di dialogo. Non è un mistero che a partire dai colloqui avuti dal presidente cinese Xi Jinping con Putin a Mosca la settimana scorsa, il presidente Volodymyr Zelensky chieda di poter parlare anch’egli con il leader di Pechino sui dettagli dell’iniziativa di pace cinese. Una richiesta che è stata ribadita a Xi oggi anche dal premier spagnolo Pedro Sanchez, in visita in Cina. Putin tira intanto diritto sui suoi obiettivi strategici, varando le linee guida della politica estera. La Russia lavorerà per “rafforzare la sua sovranità” e “creare un ordine mondiale più giusto e multipolare”, ha annunciato il presidente parlando in una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale del documento di 42 pagine che sostituisce il precedente varato nel 2016.

Le priorità saranno dunque l’eliminazione delle “vestigia del dominio” degli Usa e dei suoi alleati, che secondo quanto si legge nel documento puntano ad “indebolire la Russia in ogni modo possibile”, e un rafforzamento dei legami con Cina e India. A creare nuove tensioni giunge intanto la denuncia del primo ministro ungherese Viktor Orban – il leader europeo più vicino alla Russia – secondo il quale i capi di governo dei Paesi Ue starebbero discutendo la possibilità di inviare truppe in Ucraina presentando l’iniziativa come una “missione di pace”. “Un’idea molto pericolosa”, ha risposto Peskov. Mentre con i suoi toni più coloriti l’ex presidente Dmitry Medvedev ha avvertito che i peacekeeper della Ue sarebbero visti da Mosca come nemici e quindi “distrutti senza pietà”. E poi ha chiesto se l’Europa sia pronta a ricevere “una lunga fila di bare dei suoi peacekeeper”. Intanto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha detto che Helsinki si unirà formalmente all’Alleanza “nei prossimi giorni” dopo che anche la Turchia, ultimo dei 30 Paesi del Patto atlantico, ha approvato il suo ingresso. “Non vedo l’ora di alzare la bandiera della Finlandia al quartier generale della Nato”, ha affermato Stoltenberg, aggiungendo che “l’adesione renderà la Finlandia più sicura e la Nato più forte”.

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Genitori no vax negano test Covid a figlio, indagati

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Si sono rifiutati di sottoporre il proprio bambino a un tampone Covid, nonostante in quel momento fosse di importanza vitale. Sono indagati per tentato omicidio colposo i genitori no vax di un piccolo di 4 anni, al quale nei giorni scorsi è stata diagnosticata una sospetta leucemia in un ospedale di Milano. Per potere fare tutti gli accertamenti del caso e iniziare le terapie, però, il bimbo doveva assolutamente essere trasferito in un’altra struttura. Un reparto specializzato che, ospitando pazienti fragili e immunodepressi, richiede un test molecolare con esito negativo come requisito indispensabile di accesso. Mamma e papà non hanno mai dato il consenso. A sbloccare la situazione è intervenuta la Procura milanese, che dopo essere stata contattata direttamente dai medici, ha emesso un decreto di urgenza per autorizzare il prelievo forzoso di campioni biologici che si applica solitamente in caso di indagine. Un atto indispensabile per salvare la vita al piccolo in un momento particolarmente delicato, in cui ogni minuto era estremamente prezioso.

Già al suo arrivo nella prima struttura, infatti, le condizioni del bimbo erano molto serie ed era necessario che il suo trasferimento avvenisse il prima possibile quella stessa giornata. A quel punto non c’era nemmeno il tempo per fare intervenire il Tribunale dei minorenni: denunciando i genitori di 41 e 43 anni, il pm ha potuto ricorrere all’articolo 359 bis del codice di procedura penale, come accade nei casi in cui vi è “fondato motivo di ritenere che dal ritardo del prelievo” di un campione biologico “possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini”. Con l’apertura di un’inchiesta nei confronti di madre e padre, dunque, il figlio dei genitori no vax ha avuto la possibilità di sottoporsi a un tampone molecolare ed essere spostato nel giro di poche ore nella struttura più adatta, dove adesso potrà ricevere l’assistenza di cui ha bisogno. Pur essendo stati informati “della gravità della diagnosi” e del “reale pericolo di vita” del figlio in caso di mancate cure, i genitori, entrambi no vax convinti, erano irremovibili. Nonostante accettassero che il bambino venisse trasferito e preso in carico nell’ospedale specializzato, hanno continuato a negare il consenso al tampone.

Una misura, questa, che tra l’altro è indispensabile anche per la vita degli altri piccoli pazienti ricoverati in quel reparto, che nelle loro condizioni, con le difese immunitarie molto basse a causa della malattia, non possono rischiare di contrarre il Covid. Dopo l’esecuzione del test sul piccolo e il risultato negativo che gli ha permesso il ricovero, anche la mamma ha ceduto, scegliendo di fare un passo indietro e dare la priorità al figlio. Mettendo da parte le proprie convinzioni no vax, infatti, la 41enne ha deciso a sua volta di sottoporsi a un tampone, l’unico modo per potere accompagnare il figlio nell’altro ospedale e stargli accanto nel difficile percorso che lo attende. Adesso spetta al gip di Milano Fabrizio Filice decidere se convalidare o meno il decreto d’urgenza firmato ieri dal sostituto procuratore Nicola Rossato. Il responso, seppur al momento irrilevante da un punto di vista pratico, poiché il test è già stato eseguito, è atteso per la mattinata di domani. Il direttore di Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti, ha commentato la vicenda sul proprio profilo Twitter: “In questi casi bisognerebbe togliere la responsabilità genitoriale per sempre – scrive -, le vie dell’ignoranza sono infinite”.

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In Italia un furto nei negozi ogni 9 minuti, la città più bersagliata è Milano

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Furti e spaccate continuano a essere un grosso problema per tanti commercianti e altrettanti artigiani. Le situazioni più critiche si verificano al Nord, dove Milano, Parma, Bologna, Rimini, Imperia, Firenze e Torino sono le province dove i negozianti sono i più bersagliati. A livello nazionale in quasi tre casi su quattro gli autori rimangono impuniti. Eppure, sono reati contro il patrimonio che, si stima, costino alle attività economiche attorno ai 3 miliardi di euro all’anno. Il dato, in base alle rilevazioni Istat, è stato elaborato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia).

Nel 2021 – ultimo anno in cui i dati sono disponibili – ci sono state 56.782 denunce per furto nei negozi in Italia, il +10,8% del 2020, anno più critico della pandemia. Praticamente gli operatori commerciali e artigianali hanno subito 156 furti al giorno, 6,5 ogni ora e uno ogni 9 minuti. Nel 72,3% – quasi 3 su 4 – gli autori del delitto non sono stati catturati. Le regioni dove i malfattori la fanno franca maggiormente sono Umbria e Marche (73,8% dei casi), la Campania (79,8%) e il Lazio (81,3%). Ogni 100mila abitanti, Lombardia (138,8), Emilia Romagna (142,1) e Liguria (144,8) sono le regioni più “martoriate”. A livello provinciale, infine, i territori più colpiti sono Torino, con 155,5 furti denunciati ogni 100 mila abitanti, Firenze con 160,3, Imperia con 167,5, Rimini con 186,5, Bologna con 186,9 e Parma con 194,5.

Maglia nera è Milano con 222,8 furti ogni 100 mila abitanti. Storicamente le categorie più colpite sono gli orafi-gioiellieri, i pellicciai, i tabaccai, i farmacisti e i benzinai; le prime due per il valore economico dei loro prodotti, le altre per la disponibilità di contanti. Grazie ai pagamenti elettronici, alle telecamere di sorveglianza e alle casseforti a tempo il rischio è sceso. Da qualche anno inoltre sono sempre più nel mirino anche i negozi di prodotti tecnologici, gli autoriparatori o concessionari auto-moto, i commercianti di bici di pregio, i supermercati, la moda-abbigliamento sportivo e i negozi di cosmetici e profumi. Secondo la Cgia, “il problema, purtroppo, è di natura politica. Se carabinieri e polizia di stato disponessero di un maggior numero di uomini e di mezzi in grado di presidiare con maggiore attenzione il territorio, soprattutto nelle ore notturne, i malviventi avrebbero sicuramente la vita più dura”.

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Maria Falcone, ‘Giovanni rispettava le istituzioni’

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A distanza di 4 giorni dal 31esimo anniversario della strage di Capaci, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone e i tre agenti di scorta, non si placano le polemiche innescate dalle parole di Alfredo Morvillo, il fratello della moglie del magistrato uccisa con lui a Capaci. Morvillo aveva stigmatizzato la presenza alle commemorazioni organizzate dalla Fondazione Falcone di personaggi, come il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, “colpevole” di non aver preso le distanze dai suoi sponsor politici: Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri, entrambi condannati per rapporti con la mafia. Alle accuse del cognato di Falcone si è associato Giuseppe Di Lello, ex componente del pool antimafia e membro della Fondazione Falcone. Oggi sulle pagine locali de La Repubblica arriva la risposta di Maria Falcone, sorella del giudice assassinato dalla mafia.

“I candidati e le persone che hanno attorno devono essere adamantini. Ma Giovanni ci ha lasciato una lezione ben precisa: una volta che un candidato viene eletto, bisogna avere rispetto dell’istituzione che rappresenta. L’ho sempre detto, è una lezione di diritto costituzionale. E io l’ho sempre osservata”, dice. E, a conferma delle sue parole, cita l’aver sempre invitato anche l’ex sindaco Leoluca Orlando. “Lo detestavo per tutto ciò che aveva detto contro Giovanni, – spiega – fu il tormento dell’ultimo periodo della vita di mio fratello. Lo aveva anche indebolito dal punto di vista del consenso, lo aveva in parte isolato e reso più appetibile alla mafia. Eppure, dopo la sua elezione a sindaco, io l’ho invitato alla commemorazione del 23 maggio, e ho continuato a farlo negli anni successivi, concluso il suo mandato”.

A surriscaldare il clima, nel giorno della commemorazione, è stata anche la gestione della polizia del “contro-corteo”. I manifestanti che tentavano di esprimere il loro dissenso verso le cerimonie ufficiali sono stati caricati dalla polizia ed è stato impedito loro di raggiungere l’Albero Falcone. “Io sono del parere che la possibilità di manifestare, con le dovute regole, debba essere garantita a tutti. Di quello che poi è avvenuto ho avuto contezza solo alla fine della manifestazione, dal palco non me n’ero resa conto. Secondo me c’è stato un corto circuito che ha fatto nascere il problema, forse nella trasmissione degli ordini dai superiori ai poliziotti sul campo”, dice Maria Falcone. Ma il caso potrebbe finire in Procura perchè alcuni dei ragazzi picchiati dagli agenti annunciano denuncia.

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