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Cronache

Papa, via vescovo tedesco pro-coppie gay e sacerdoti sposati

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Papa Francesco ha accettato oggi la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Osnabrück, in Germania, presentata da mons. Franz-Josef Bode. Il vescovo, che ha 72 anni, e che quindi era ancora ben lontano dall’età del pensionamento, era anche vicepresidente della Conferenza episcopale di Germania. I motivi dell’allontanamento anticipato, come sempre, non vengono spiegati dalla Santa Sede, ma mons. Bode, anche nell’ambito del “cammino sinodale” della Chiesa tedesca, è stato uno dei vescovi più impegnati sulle questioni della morale sessuale, come la benedizione delle coppie gay, sul diaconato femminile e sulla possibilità di avere preti sposati. In passato è incappato comunque in accuse di negligenza sulla gestione di casi di abusi sessuali nella sua diocesi.

Il 20 settembre scorso, la ARD ha riferito di uno studio sui casi di abuso nella diocesi di Osnabrück, commissionato dalla stessa diocesi. In un rapporto provvisorio del settembre 2022, storici e giuristi dell’Università di Osnabrück hanno accusato la diocesi di Osnabrück, due ex vescovi e il vescovo in carica Bode di gravi violazioni dei doveri nell’affrontare casi di violenza sessuale. Fino a poco tempo prima, gli ecclesiastici accusati di gravi abusi sessuali su minori continuavano ad essere impiegati nella pastorale giovanile. Inoltre, “le persone colpite sono state trattate in modo burocratico e sprezzante”. Secondo i casi presi in esame nel rapporto interlocutorio, anche il vescovo Bode è stato coinvolto “a un livello numerico basso”. Lo studio riconosce che Bode e il suo team hanno fatto progressi nel trattare con i sacerdoti accusati, soprattutto negli ultimi anni, ma non nella comunicazione con le vittime o negli aiuti e nei risarcimenti.

Il vescovo Bode ha riconosciuto la responsabilità personale, affermando che in alcuni casi ha agito per negligenza e la sua credibilità è stata “gravemente danneggiata”. Tuttavia, ha dapprima escluso le dimissioni perché le dimissioni e il posto vacante avrebbero ritardato il processo di rivalutazione in corso. Nel dicembre scorso, il Consiglio congiunto per le persone colpite dell’arcidiocesi di Amburgo e delle diocesi di Hildesheim e Osnabrück ha avviato una denuncia di diritto canonico contro Bode tramite l’arcidiocesi responsabile di Amburgo. L’atteggiamento di Bode è ancora più orientato al perpetratore che alla vittima. Bode ha agito “contro le chiare linee guida papali e, ad esempio, quest’anno ha dichiarato la violenza sessualizzata contro i minori come una ‘relazione'”. Per quanto riguarda le sue posizioni riformatrici nella Chiesa, nel gennaio 2018 Bode ha avviato una nuova discussione sull’introduzione della benedizione delle coppie dello stesso sesso. Si è anche espresso a favore di una discussione più forte sul diaconato delle donne.

Nel maggio 2019, Bode ha dichiarato di poter immaginare sacerdoti con famiglia e lavori civili insieme a sacerdoti celibi. Nel novembre 2019, Bode ha dichiarato di poter immaginare che le donne presiedano l’Eucaristia nella sua diocesi negli anni a venire, ma non la considerava una prospettiva realistica poiché la dottrina della Chiesa e il diritto canonico la contraddicevano. Tuttavia, era determinato – ad esempio riguardo al diaconato delle donne – a “sfruttare tutto ciò che è possibile per le donne ora e nel prossimo futuro”. Nella diocesi di Osnabrück, una donna è stata assunta per la prima volta nel 2019 come “addetta parrocchiale” con funzione dirigenziale e dirigenziale in una parrocchia. Nel dicembre 2021, Bode ha espresso il suo sostegno alle esigenze di riforma del cammino sinodale.

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Voto di scambio a Sant’Antimo, il giudice: non luogo a procedere

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“Non luogo a procedere”: si è praticamente concluso con un nulla di fatto il processo sul voto di scambio a Sant’Antimo, in provincia di Napoli, iniziato e conclusosi presso il Tribunale di Napoli Nord dopo le eccezioni sollevate dagli avvocati. I reati contestati agli imputati, complessivamente 23, erano l’associazione a delinquere e la corruzione elettorale. I fatti risalgono alle elezioni comunali dell’11 giugno 2017 e il procedimento giudiziario sarebbe dovuto iniziare al massimo entro due anni. Ma così non è stato e quindi, a iniziare dall’avvocato Pietro Rossi, i legali dei difensori hanno puntato le loro discussioni evidenziando il ritardo con il quale ha preso il via il giudizio. Alcune posizioni, comunque, sono state stralciate, per difetti di notifica, e adesso sarà necessaria un’altra udienza, dopo il nuovo invio delle convocazioni, che purtroppo non potrà avere esito diverso da quello cui si è giunti oggi. Il “non luogo a procedere” è stato riconosciuto sussistente, dal giudice, per il reato di corruzione elettorale mentre per l’associazione a delinquere sono stati ritenuti insussistenti i criteri sui quali si sono basati gli inquirenti. Per gli investigatori i presunti componenti dell’associazione a delinquere si sarebbero resi responsabili di avere contattato gli elettori (attraverso il passaparola e appostamenti nei pressi di esercizi commerciali particolarmente frequentati) proponendo denaro e altre utilità (anche posti di lavoro, in taluni casi) in cambio del voto per specifici candidati. Ma l’inizio del processo oltre i limiti prestabiliti ha vanificato gli sforzi della Procura.

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Dieci indagati per ragazza morta nel fiume in Calabria

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Arrivano i primi indagati per la morte della studentessa 19enne trovata morta nel fiume Lao, sul Pollino, dopo una gita scolastica con professori e compagni di istituto. La Procura di Castrovillari ha iscritto nel registro dieci persone, tra cui il sindaco di Laino Borgo, Mariangelina Russo, i responsabili della “Pollino rafting” e sette guide della stessa società. Contestualmente i magistrati hanno disposto anche il sequestro della società che si è occupata dell’escursione fatale per la giovane. Si tratta del primo passo ufficiale dell’inchiesta avviata dalla procura subito dopo la scomparsa della giovane, di cui si erano perse le tracce già martedì in seguito proprio alla caduta nelle acque del fiume.

“Le indagini in corso – ha spiegato il procuratore di Castrovillari, Alessandro D’Alessio – riguardano sia l’accertamento preciso delle cause della morte della diciannovenne, sia l’esatta ricostruzione della dinamica dell’incidente e della programmazione ed esecuzione dell’attività nel corso della quale si è verificato il decesso”. Stando a quanto raccontato da professori e compagni, il gruppo del liceo statale “Rechichi” di Polistena era in gita da alcuni giorni in provincia di Cosenza. Tra le attività previste dal viaggio d’istruzione c’era anche il rafting sul fiume Lao, nel comune di Laino Borgo. Proprio durante l’escursione, stando ai racconti delle compagne della 19enne, il gommone sul quale viaggiava Denise Galatà avrebbe urtato quello che lo precedeva facendo sbalzare la ragazza in acqua. Una volta finita sott’acqua, in un punto in cui il torrente é profondo alcuni metri, la giovane non avrebbe avuto la forza di risalire in superficie e sarebbe morta annegata.

“All’inizio – ha raccontato una delle ragazze che si trovavano insieme a Denise sul gommone – le acque erano calme, ma subito dopo la forza della corrente è aumentata. I gommoni sfioravano pericolosamente enormi massi nell’alveo del fiume. Ad un certo punto siamo stati sbattuti contro uno di questi massi ed in tre siamo caduti in acqua. Io ed un’altra mia compagna siamo stati soccorsi e portati sulla terraferma, mentre di Denise si é persa ogni traccia”. La procura, che a disposto per domani l’autopsia sul corpo della giovane, assicura che procederà nel minor tempo possibile “a tutti gli accertamenti, anche tecnici, necessari per acquisire gli elementi informativi”. Contemporaneamente proseguono anche le attività del ministero dell’Istruzione che ha attende dall’Ufficio scolastico regionale i risultati delle verifiche disposte per accertare che siano state effettivamente adottate tutte le misure di sicurezza previste in questi casi.

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L’orrore e la gelida opera di depistaggio dell’assassino di Giulia Tramontano

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Una vicina di casa di Alessandro Impagnatiello, il 30enne in carcere per aver ucciso Giulia Tramontano incinta di 7 mesi, ha raccontato agli inquirenti di aver visto nel pomeriggio di domenica 28 maggio “una quantità ingente di cenere provenire dalla porta d’ingresso dell’appartamento” dell’uomo, “continuare sulle scale del condominio sino al box” della coppia. E’ un altro degli elementi agli atti dell’inchiesta. Sempre nel pomeriggio di domenica Impagnatiello, che aveva già ucciso Giulia la sera prima, le mandava messaggi sul suo telefono con scritto “baby dove sei? Ci stiamo preoccupando tutti”. E il giorno dopo: “Dicci solo che sei fuggita in qualche paese lontano”. Nel verbale della sua confessione si leggono frasi gelide come “non sono riuscito nell’intenzione di ridurre il corpo in cenere”.

E ancora: “Quando io faccio la denuncia di scomparsa il cadavere di Giulia era nel box”. E al pm che gli chiede “non ha temuto che i carabinieri aprissero il box?”, lui ha risposto: “Forse speravo lo facessero”. Lunedì avrebbe spostato, a suo dire, “il corpo dal box alla cantina”. Martedì, ha detto ancora, “porto la macchina nel box e carico il corpo nel bagagliaio” dove, stando al suo racconto, sarebbe rimasto fino alla notte successiva, prima di essere gettato in un buco vicino a dei box. Prima, ha messo a verbale l’uomo, “ho comunque usato la macchina andandoci in giro con il cadavere nel bagagliaio”. Ha detto di aver gettato il “telefono di Giulia in un tombino”, così come il bancomat, mentre il passaporto di lei lo avrebbe bruciato. Ha sostenuto di non aver chiesto aiuto ad alcuno: “Forse mia mamma ha dubitato, ma per 30 anni non ho dato mai motivo che potessi mai fare una cosa simile”. Tra le esigenze cautelari contestate il pericolo di inquinamento probatorio (riuscì a “falsificare” anche un test di paternità), quello di fuga, anche perché nei giorni dopo l’omicidio faceva ricerche per acquistare uno “zaino da trekking” per una “fuga veloce”. E infine il pericolo di reiterazione per la sua “pericolosità sociale” e per la “crudeltà” di aver ucciso con “premeditazione” anche il “figlio che ella portava in grembo”. Anche l’amante, scrivono i pm, aveva “timore” di lui: non voleva “subire la medesima sorte” di Giulia.

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