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Cronache

Open Arms, ispezione a bordo dei medici della procura: migranti ammassati come bestie sul ponte della nave, dormono a terra e sono psicologicamente stremati

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La Procura di Agrigento sta valutando quanto è emerso dall’ispezione effettuata ieri sulla Open Arms per verificare le condizioni igienico-sanitarie nella nave dove si trovano 107 naufraghi. I migranti sono ammassati sul ponte dell’imbarcazione, dormono per terra senza alcun materassino, si coprono con lenzuoli e tovaglie, e secondo la Ong sono psicologicamente stremati. Vengono non solo da 17 giorni e 17 notti di mare, senza mai scendere a terra, ma vengono dalla Libia, da storie allucinanti di trafficanti di carne umana, di detenzione, di soprusi, umiliazioni, abusi sessuali e ogni sorta di nefandezza vi dovesse venire in mente. E qui la questione Ong e altre polemiche politiche più o meno spicciole, più o meno ossessive, non c’entrano nulla. Stiamo parlando, al netto di ogni miseria umana, delle condizioni di salute di 107 esseri umani. Secondo la relazione dei medici del Cismo ci sarebbero casi di scabbia, ma parliamo di casi curabili in pochi gironi di tiene decente e qualche farmaco. La scabbia non è la peste del secolo. La contrae chi vive nelle condizioni in cui hanno vissuto in questi mesi questa gente.

Per 107 migranti, quelli rimasti sulla nave, è il 17esimo giorno a bordo, con la Open Arms ancora sulla fonda di Lampedusa, di fronte Cala Francese. Può stare là, possono sbarcare minori e chi sta male ed è bisognoso di cure ma nessun altro. C’è il divieto di sbarco del ministro dell’Interno, Mattei Salvini. Che si è opposto alla sentenza del Tar del Lazio che ordinava di far sbarcare le persone bisognose di cure. Salvini è stato obbligato da Conte a non opporsi allo sbarco dei minori. Ora tocca aspettare che il Consiglio di Stato si pronunci sulla opposizione alla sentenza del Tar del Viminale. Mentre le cartuscelle giudiziarie vanno avanti, a bordo della Open Arms fanno quel che si può per vivere. L’Europa guarda. L’Europa giudica l’Italia. Ma nessun paese europeo al momento si è fatto avanti per condividere il dramma di questa povera gente.

L’ispezione sanitaria disposta dalla procura sarà la base di partenza dell’inchiesta aperta dai magistrati che acquisiranno dichiarazioni e certificati medici rilasciati dal responsabile del Poliambulatorio di Lampedusa, Francesco Cascio che aveva riferito ai media quali fossero le condizioni dei pazienti sbarcati perchè bisognosi di cure mediche.

Cascio, ex parlamentare di Fi, spiegò che “dei 13 naufraghi fatti sbarcare dalla Open Arms solo uno aveva una otite, gli altri non avevano alcuna patologia come abbiamo accertato in banchina. Infatti, sono stati tutti condotti nell’hotspot”. Le dichiarazioni di Cascio furono prese dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che parlò di “ennesima presa in giro della ong spagnola che per giorni ha girovagato nel Mediterraneo al solo scopo di raccogliere più persone possibili per portarle sempre e solo in Italia – aggiunge – Queste Ong fanno solo battaglia politica sulla pelle degli immigrati e contro il nostro paese. Ma io non mollo”. E infatti non molla. Da giorni, ogni ora, la sua ossessione è questa gente sulla Open Arms. Se sbarcano i minori lui ci spiega che fonti della polizia fanno sapere che molti non sono minori. Se sbarcano malati, lui ci spiega che stanno bene. “A bordo stanno tutti bene” dice Salvini. E noi lo usiamo come titolo. Ma vi mostriamo le foto e i video di bordo. Valgono più di ogni chiacchiera di un giornalista.

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In Cina i soldi della droga ripuliti, 33 arresti

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Una centrale di riciclaggio di denaro nel cuore di Rona. Nel quartiere Esquilino, a due passi dalla stazione Termini, soggetti di nazionalità cinese hanno messo in atto “sistematiche” operazioni di ripulitura del contante, un fiume di denaro proveniente dalla attività di spaccio, che veniva poi spedito in Cina. E’ quanto emerge da una indagine della Guardia di Finanza coordinata dai pm della Dda di piazzale Clodio. Complessivamente 33 le misure cautelari emesse dal gip. Ad applicarle uomini del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (Gico) del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma e dal Gruppo di Fiumicino, coadiuvati dallo Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (Scico) della Guardia di Finanza e dalla Direzione Centrale Servizi Antidroga (Dcsa).

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti gli esercizi commerciali in zona Esquilino, esistenti solo formalmente, fungevano in realtà da “centri di raccolta” del denaro di provenienza illecita destinato a essere trasferito all’estero (prevalentemente in Cina) in maniera anonima e non tracciabile. Questa intermediazione finanziaria illegale, si fondava sul metodo “Fei Ch’ien” (letteralmente “denaro volante”), che consiste nel virtuale trasferimento del denaro all’estero. Nei fatti, il denaro depositato presso il broker cinese non lasciava fisicamente il Paese di partenza, venendone invece trasferito il solo “valore nominale” alla controparte/broker presente nel Paese estero.

La successiva compensazione poteva avvenire con modalità diverse quali, tra le altre, il ricorso a corrieri di valuta, bonifici “diretti” di importo frazionato (al fine di aggirare i vincoli antiriciclaggio) ovvero a mezzo di trasferimento. A capo dell’organizzazione c’era Zheng Wen Kui, classe 1968. Era lui, secondo quanto accertato dagli inquirenti, che si occupava anche del reclutamento dei nuovi associati e di prendere accordi con i “clienti”, tra cui anche i ‘narcos’ attivi nella zona di Tor Bella Monaca e San Basilio.

Zheng, inoltre, offriva supporto “logistico” ai corrieri di valuta, per conto dei quali pianificava e organizzava dettagliatamente i viaggi aerei con cui trasportare il denaro all’estero con l’obiettivo di eludere i controlli alle frontiere. Gli inquirenti hanno proceduto, infine, al sequestro di circa 10 milioni euro nei confronti dei “money mule” incaricati di trasferire fisicamente la valuta fuori dal territorio ed hanno accertato conferimenti di denaro di provenienza illecita in favore della compagine cinese a Roma per oltre 4 milioni di euro.

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‘Solo una ringhiera’, le accuse della società del bus precipitato

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“Purtroppo non era un guard rail ma una ringhiera”. Le immagini delle telecamere sul luogo dell’incidente di Mestre appaiono unanimi: si vede il pullman guidato da Alberto Rizzotto salire lentamente lungo la parte destra della rampa del cavalcavia, nonostante il semaforo forse verde, e poi piegarsi, sfondare con estrema facilità il guard rail e precipitare di sotto. La domanda che tutti oggi si fanno è come sia stato possibile che un pullman, per quanto del peso ragguardevole di 13 tonnellate perchè elettrico, possa aver spazzato via la barriera di protezione tagliandola come fosse un coltello nel burro. In quel punto dalla notte scorsa sono state poste deli limitatori di jersey in cemento.

E il primo ad aver più di un dubbio sul fatto che la protezione a destra non abbia fatto il suo dovere è lo stesso amministratore delegato di ‘La Linea’, la compagnia di trasporto coinvolta nell’incidente, Massimo Fiorese. “C’è una telecamera fissa sopra il cavalcavia di cui ha visto solo frammenti di immagine: si vede l’autobus che a una velocità minima si appoggia su un guard rail – accusa – che purtroppo non è un guard rail ma una ringhiera”. E aggiunge: “in questi casi è colpa di tutto e di niente perchè non è stato il guard rail che è andato addosso all’autobus. Però sicuramente quel guard rail…. “.

Tanto è vero che, dice ancora l’amministratore delegato, “mi sembra che lo stiano sostituendo e ci sono dei lavori in corso, giusto poco prima” del punto dell’incidente. E in effetti da diverse settimane il Comune di Venezia ha avviato i lavori di rifacimento del cavalcavia, attualmente in pessimo stato e corroso dalla ruggine. Un progetto, spiega l’assessore comunale ai trasporti Renato Boraso, del costo di oltre 6 milioni di euro. Nel piano, assicura, era compresa anche una nuova barra di protezione a difesa dalle uscite di strada. Sulla tempistica della realizzazione, però, non vi è alcuna data certa.

“Quel guard rail è vetusto. Sapevamo di dover mettere in sicurezza il cavalcavia – rassicura – il cantiere è già avviato”. Che quel guard rail possa aver avuto un ruolo nell’incidente ne è convinto anche il presidente dell’Asaps, l’associazione di amici e sostenitori della Polizia Stradale, Giordano Biserni. “Parliamo di ipotesi – dice – ma da quello che abbiamo potuto accertare attraverso i nostri referenti, quello era un guard rail a unica onda alto un metro e mezzo e non il triplo, come sarebbe stato necessario per il contenimento di un veicolo che può raggiungere le 18 tonnellate. Un guard rail così può contenere un’auto ma un bus del genere è difficile”. Il prefetto di Venezia, Michele Di Bari, preferisce essere più cauto. Alla domanda dei giornalisti se erano in corso lavori di ammodernamento e rifacimento sul cavalcavia che riguardassero espressamente anche il guard rail risponde: “questo non lo so, so che ci sono dei lavori in corso per consolidare dei piloni. Questo da quanto emerge anche visivamente”.

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Manovra azzardata o malore? Le ipotesi sulla strage del cavalcavia di Mestre

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Sono due le ipotesi al vaglio della magistratura veneziana, che sta indagando sulla caduta del bus dal cavalcavia di Mestre; una manovra azzardata, con l’affiancamento a un altro bus e un guardrail vecchio; oppure, sommato a questo, un malore dell’autista che non è riuscito a controllare il mezzo, poi precipitato.

APERTA UN’INDAGINE CONTRO IGNOTI

La Procura della repubblica di Venezia ha aperto un fascicolo per ora contro ignoti, con l’ipotesi di reato di omicidio stradale plurimo. Il Procuratore capo Bruno Cherchi ha precisato che sono stati posti sotto sequestro il guardrail, la zona di caduta del bus e la carcassa del mezzo, con la ‘scatola nera’ “che sarà esaminata – ha rilevato – solo quando si saprà che non è un’operazione irripetibile”.

IL VIDEO CON LA CADUTA DELL’AUTOBUS

Sembra comunque da escludere un urto o una manovra per evitare un mezzo che tagliava la strada. Nel pomeriggio è stato diffuso un video tratto dalle telecamere di sicurezza della “Smart control room” del Comune di Venezia. Si vede l’autobus scendere la rampa del cavalcavia, quindi affiancare un altro bus che indica con la freccia di svoltare a sinistra, ‘sparire’ alla vista ma poi si nota che piega verso destra e cade dal bordo della carreggiata. L’altro bus accende le luci dei freni e le quattro frecce di emergenza.

LA ‘STRISCIATA’ DI 50 METRI CONTRO IL GUARDRAIL

Il Procuratore di Venezia ha escluso il ‘contatto’ con altri mezzi: “La dinamica – ha riferito – ha visto il bus toccare e scivolare lungo il guardrail per un cinquantina di metri, e infine, con un’ulteriore spinta a destra, precipitare al suolo. Non ci sono segni di frenata, né contatti con altri mezzi. Non si è verificato alcun incendio, né c’è stata una fuga di gas delle batterie a litio, che hanno provocato fuoco e fumo”. Anzi, proprio l’altro bus ha chiamato i soccorsi, e l’autista ha anche lanciato un suo estintore verso il mezzo precipitato.

SALVINI PUNTA IL DITO SULLE BATTERIE

Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini esclude un “problema di guardrail”, e ha puntato il dito sulle batterie elettriche del bus, che “prendono fuoco più velocemente di altre forme di alimentazione e in un momento in cui si dice che tutto deve essere elettrico uno spunto di riflessione è il caso di farlo”.

L’AUTOPSIA SULL’AUTISTA

L’attenzione degli investigatori si accentrerà dunque su un eventuale malore dell’autista del bus, Alberto Rizzotto, per cui verrà disposta l’autopsia, assieme all’esame del suo cellulare “e di quanto possa permettere di dare certezze su quanto è accaduto”, ha aggiunto Cherchi. Quanto alle condizioni dell’autista il direttore operativo della compagnia La Linea assicura che “stava guidando da tre ore e mezzo, peraltro non continuative” e che “non era certo stanco: Non lavorava dal giorno prima, quindi aveva goduto abbondantemente delle ore di riposo previste”.

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