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Musica

Napoli sogna con Sting e Shaggy in concerto all’Arena Flegrea

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Il primo è tra i cantanti e musicisti più influenti della musica, l’altro il re della musica afroamericana.  Sting & Shaggy: la strana coppia del reggae/rock/blues si sono esibiti all’Arena flegrea di Napoli. L’ex Police e Mr Boombastic sul palco dimostrano un affiatamento coinvolgente che si riverbera sul pubblico, sedotto dalla voce limpida, pulita e incisiva nel falsetto di Sting e dalla guasconeria del rapper giamaicano, bravissimo nel coinvolgere tutti.
A battezzare la collaborazione tra Sting e Shaggy è stato Martin Kierszenbaum, attuale manager di Sting ed ex responsabile delle edizioni di Shaggy. È stato lui ad inviare lo scorso anno all’ex Police una demo del brano “Don’t make me wait” incisa da Shaggy: l’artista inglese ne è rimasto talmente colpito da decidere di raggiungere il collega in uno studio di registrazione a Los Angeles per realizzarne insieme una nuova versione. “Quando ci incontrammo cantai il ritornello, e poi provammo a rendere il pezzo un po’ più vicino a me, e abbiamo inciso anche una strofa insieme”, ha spiegato lo stesso Sting. Quello che doveva essere un semplice duetto, ad ogni modo, si è trasformato in una collaborazione su un intero disco, “44/876”: “sono rispettivamente i prefissi internazionali telefonici del Regno Unito e della Giamaica – hanno spiegato i due – una sorta di legame che unisce i due Paesi, un legame fatto di gioia e di speranza”.

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Damiano David debutta da solista: «Funny little fears è la mia verità. Ma i Måneskin restano casa»

Il frontman dei Måneskin lancia il primo album da solista e un tour mondiale: «Un viaggio dentro me stesso, per superare le mie paure».

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Damiano David torna in Italia da Los Angeles con un disco nuovo e una consapevolezza diversa. Mentre a Basilea si apriva il sipario sulla 69ª edizione dell’Eurovision Song Contest, lui – che nel 2021 ha riscritto la storia dell’Italia musicale con Zitti e buoni – ha atterrato a Roma per chiudere idealmente il cerchio: dai Måneskin a Hollywood, fino al primo progetto solista.

Il disco si intitola «Funny little fears» ed è il suo debutto da solista, composto da 14 brani nati al Forum Village di Roma, che segnano uno scarto sonoro netto dal rock della band. Il progetto sarà seguito da un tour mondiale al via l’11 settembre da Varsavia, con tutte le date europee già sold out, compresi i live di Assago e Roma.

«Le relazioni sono il 90% della mia felicità»

«Le paure a cui faccio riferimento sono quelle che riesco a ridimensionare scrivendoci sopra», spiega Damiano. Al centro del disco c’è la solitudine, ma anche il dolore per la fine di una relazione sentimentale importante, diversa da quella pubblica con Giorgia Soleri. «Lavorare all’album è stato terapeutico. Avevo un senso d’insoddisfazione che non capivo, ora ho fatto pace con molte cose».

Oggi, accanto a lui, c’è l’attrice e cantante americana Dove Cameron, e l’inizio di questa nuova relazione ha contribuito a dargli una rinnovata energia. «Mi ha aiutato a superare le mie paure», racconta.

«Un suono diverso dai Måneskin. Non potevo rubare in casa mia»

Il disco, tutto cantato in inglese, si muove tra pop ed echi vintage, con atmosfere intime e armonizzazioni che rimandano perfino agli anni Cinquanta. «I Måneskin hanno un suono preciso, io dovevo trovarne uno mio. Non ho mai avuto paura di spiazzare: a X Factor ero già in scena vestito da drag».

Tra gli ospiti del disco, Suki Waterhouse e D4vd, in due brani scritti rispettivamente con Noah Cyrus e con sonorità americane. Il nuovo singolo «Zombie Levy», in uscita venerdì, cita Emily e Victor de La sposa cadavere, «un film che trovo romanticissimo».

«Non ho lasciato la band. Tornerò più forte di prima»

Nonostante il debutto solista, Damiano chiarisce: «I Måneskin restano la mia casa. Questa è solo una vacanza rigenerante». Lontano da Victoria, Thomas ed Ethan, il cantante ha vissuto momenti di incertezza: «Il timore di non farcela senza loro si è fatto sentire. Ma ora mi sento più forte, e tornerò nella band migliorato».

La reunion dei Måneskin, però, non avverrà prima di un anno e mezzo, quando sarà concluso il tour solista. «Quel che abbiamo fatto come gruppo non può essere oscurato. Resterà per sempre».

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Geolier annuncia il tour negli stadi del 2026: dopo Agnano e l’estate record, tre date epocali

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Geolier non si ferma. Dopo il trionfale tour nei palazzetti, culminato con successi anche in Germania, il rapper del rione Gescal guarda già al futuro. E mentre l’Italia si prepara a un’estate all’insegna del suo rap “veracissimo”, Emmanuele Palumbo – questo il suo vero nome – annuncia per il 2026 un tour negli stadi, con tappe nei tre simboli del calcio e della musica: San Siro, Olimpico e Franco Scoglio.

Stadi nel 2026: Milano, Roma e Messina

Il comunicato ufficiale è stato anticipato da un post criptico sui social e ora è ufficiale: Geolier sarà il 13 giugno a San Siro, il 19 all’Olimpico di Roma, e il 23 giugno a Messina, allo stadio Franco Scoglio. I biglietti – sia fisici che digitali – sono disponibili da oggi alle 14, e si prevede un boom di vendite. Dopo aver conquistato la vetta delle classifiche, il giovane artista si prepara a entrare nel gotha della musica live italiana.

Estate 2024: Agnano e non solo

Prima del 2026, però, Geolier vivrà un’estate da record. I due concerti del 25 e 26 luglio all’Ippodromo di Agnanosono già tra gli eventi musicali più attesi dell’anno e promettono numeri da primato in termini di incassi e presenze. La sua città, Napoli, si prepara a un doppio abbraccio che sarà anche celebrazione di un percorso incredibile.

Ma il tour non si ferma a Napoli. Geolier sarà protagonista anche di numerosi festival estivi, a partire dal Trento Live Fest il 28 giugno, passando per l’Oversound Music Festival di Lecce il 31 luglio, il Campobasso Summer Festival il 2 agosto, fino a due date al Sotto il Vulcano Fest di Catania il 4 e 5 agosto.

La chiusura? A Verona, nell’Arena

Gran finale il 27 settembre all’Arena di Verona, cornice storica per un artista che, a soli 24 anni, ha già riscritto le regole dell’hip hop italiano. Intanto, il suo ultimo album Dio lo sa – Atto secondo resiste nella top ten delle vendite: questa settimana è al nono posto, segno che il fenomeno Geolier non accenna a rallentare.

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Bono e Napoli, la voce e l’anima: «Torna a Surriento è il mio omaggio. Al San Carlo ho portato la mia opera»

L’intervista al Corriere della Sera: il documentario “Stories of Surrender”, il legame con la città e il richiamo all’Europa come unico baluardo contro Trump e Putin.

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«Vid e ’o mare quant’è bello…». Parte così, con un napoletano teneramente imperfetto, il documentario Bono: Stories of Surrender che sarà presentato il 16 maggio a Cannes e debutterà su Apple TV+ il 30. La voce fuori campo dell’artista intona Torna a Surriento, lo stesso brano con cui aveva chiuso il suo emozionante show al Teatro San Carlo di Napoli nel 2023. Un omaggio sentito, profondo, a una città che l’ha accolto come un figlio e che lo ha ispirato. «Non criticare il mio napoletano: è una lingua difficile da padroneggiare», dice con un sorriso nell’intervista al Corriere della Sera.

Napoli, il San Carlo e il coraggio di raccontarsi

Nel documentario diretto da Andrew Dominik, Bono (foto Imagoeconomica) si mette a nudo. Racconta la perdita precoce della madre, il rapporto mai risolto col padre, l’origine degli U2 nella cucina di un amico, la fama, l’attivismo. Il tutto intrecciando monologhi e canzoni in un bianco e nero denso, drammatico, girato tra New York e Napoli. «Al San Carlo ho fatto come i cantanti lirici: nessun incontro prima o dopo lo spettacolo, solo silenzio. Era un tempio sacro», confessa. E aggiunge: «Quando Pavarotti faceva un do di petto, era per far fuggire l’anima dal corpo. Comunicare emozioni senza parole è il dono più grande».

L’uomo, il figlio, il padre

Nel documentario Bono impersona anche suo padre, con cui ha avuto un rapporto complicato: «Era un tenore, ma di poche parole. Si è allontanato dal problema, come fanno tanti uomini». Riflettendo sulla mascolinità tossica, cita i casi italiani di Sara e Ilaria e parla della necessità di una rivoluzione emotiva maschile: «È giusto avere paura, è giusto provare rabbia, ma non possiamo esprimerla con la violenza».

Gli U2, la musica, il futuro

Bono ammette che detesta stare sul palco senza Edge, Adam e Larry. Il nuovo disco della band è in preparazione: «Stanno facendo musica straordinaria. Con Edge ci siamo immersi nel folk, poi con Brian Eno finiamo sempre in altri mondi». E a chi gli chiede del rap risponde: «L’hip hop racconta la violenza, ma preferisco quando lo fa un genio come Kendrick Lamar».

L’Europa come sentimento, la politica come responsabilità

Inevitabile la domanda su Trump: «È un Nerone con orchestra: missili e dazi. L’Europa è l’unica barriera contro questo mostro a due teste, Trump e Putin». Pur non condividendo le posizioni della premier Giorgia Meloni, Bono riconosce: «Mi conforta che abbia capito il valore dell’Europa. Serve meno burocrazia e più visione, come dice Mario Draghi. Le nostre differenze sono la nostra forza».

L’incontro con papa Francesco

Un capitolo speciale riguarda il pontefice: «Un genio della grazia, dell’umiltà e dell’amore come verbo». Bono racconta la loro corrispondenza, la riflessione sul clima e sulla spiritualità contenuta nel Laudato si’. E svela: «Quando era malato, gli mandai il disegno di una pinta di Guinness con scritto ‘sláinte’. Lo feci sorridere».

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