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Misteri lombardi: la ditta della moglie di Fontana incassa 513mila euro per una fornitura di materiali sanitari ma… era una donazione

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Che c’è di male? Che vuol dire? La moglie ha un’azienda, non deve più lavorare in Lombardia perchè il marito fa il politico? E allora? Uno non può contribuire al momento di emergenza sanitaria in tempi di epidemia con una fornitura di materiale medico? Ricordatevi queste domande. Poi vi sembrerà di sentirle come se invece di leggere un articolo guardaste in tv un bel servizio giornalistico d’inchiesta, di quelli che se ne vedono sempre meno. Giorgio Mottola, bravo, pignolo e tignosissimo giornalista di Report ha fatto una scoperta. Per l’emergenza Covid 19 in Lombardia una azienda che inizialmente avrebbe dovuto o voluto fare una donazione,  nella realtà si è trasformata quella donazione in una procedura di affidamento diretto di un appalto di fornitura senza una gara pubblica. La somma impegnata per questo appalto è di mezzo milione di euro. L’ente che paga è la Regione Lombardia. La società che incassa per una donazione che diventa fornitura p di Varese ed è riconducibile direttamente alla famiglia della moglie di Attilio Fontana. Ora, tornate indietro e ricordate le domande iniziali. Ecco, comunque la pensiamo, da qualunque angolo la guardiamo, questa storia non è nitidissima come pure qualcuno legittimamente proverà a farci credere. Su questa storia tirata fuori dalla Rai, con Report, condotto da Sigfrido Ranucci, il Fatto quotidiano di Travaglio, ci ha aperto il giornale, facendo il titolo principale. Chi crede, come Giorgio Mottola, il giornalista di Report, di aver pescato in fallo d’imbarazzo il presidente della Regione Lombardia, con professionalità e correttezza ha voluto anche la sua versione. È giusto, è buona norma professionale. E Mottola che sa di non essere un pm, sa che non è lui che decide se un comportamento è lecito o meno, voleva da Fontana la sua versione. Non è obbligatorio, è buona norma di un professionista entro i limiti del possibile chiedere la versione anche di chi ci si occupa. Fontana, non direttamente ma attraverso il suo portavoce (che poi certamente sarà smentito da Fontana), ha fatto sapere a Report che “della vicenda il presidente non era a conoscenza. Sapeva che diverse aziende, fra cui la Dama Spa, avevano dato disponibilità a collaborare con la Regione per reperire con urgenza Dpi in particolare mascherine e camici per strutture sanitarie”. Quindi, vi domanderete, qual è il problema? Lo spiega Mottola a Report.

La situazione contagi e decessi non è ancora delle migliori in Lombardia ma gli affari sono andati via spediti

Necessaria una premessa per capire la questione. La storia inizia il 16 aprile con l’affidamento della fornitura e termina il 22 maggio quando la ditta stornerà quei soldi restituendoli alla Regione. Perchè l’azienda restituisce i fondi incassati alla Regione? Occorre capirlo.  L’affidamento diretto di denaro pubblico viene firmato da Aria, la centrale acquisiti della Regione. La regia della spesa pubblica regionale della Lombardia creata per snellire le procedure di acquisto e per strappare i migliori prezzi sul mercato. Negli elenchi dei fornitori presenti sul sito di Aria c’è anche questa ditta Dama Spa. Tutto chiaro? Mah. Diciamo che a leggere il portale della Regione dove ci dovrebbe essere chiarezza e trasparenza, compare il nome della ditta, ma non si capisce  che cosa venda e a quali prezzi questa azienda. Quello che si capisce è che la Dama Spa è una società nota che detiene il famoso marchio Paul&Shark. Un marchio sul cui passato glorioso dal punto di vista imprenditoriale e su come è cambiato tanto potrebbe dire un bravo imprenditore napoletano, Alfredo Giacometti.  Il capo della Dama Spa è Andrea Dini, fratello di Roberta Dini, la moglie del presidente Attilio Fontana. La signora è nell’impresa una socia che detiene il 10% delle azioni attraverso la Divadue Srl. La Diva Spa, invece, detiene il 90% di Dama Spa. La Diva Spa inoltre ha come socio al 90% una fiduciaria del Credit Suisse che amministra un trust denominato “Trust Diva”. Lo so, non ci avete capito quasi niente. Bene, così funzione nella finanza creativa.

Ospedale Covid Fiera Milano. Questa struttura costata l’iradiddio è deserta, non ci sono pazienti

Ma chiarito chi è,  che cosa fa e qual è il ruolo di Roberta Dini in questa vicenda societaria, torniamo al fatto. Il 16 aprile la Lombardia è nel pieno dell’emergenza. Morti a cataste, le delle bare di Bergamo portati fuori città dai camion militari. A Milano è già scoppiato lo scandalo delle Rsa e dei tanti anziani che muoiono come mosche perchè contagiati. Insomma la situazione è drammatica. Il contagio fuori controllo, Nel frattempo, il 16 aprile Filippo Bongiovanni, direttore generale di Aria (di nomina leghista, “maroniano di ferro”), ex finanziere poi passato in Regione con ruoli di prestigio in Eupolis e Infrastrutture lombarde, firma un ordine di forniture e lo invia alla Dama Spa. Che cosa c’è scritto in questo ordine di forniture firmato da Bongiovanni?  “Stante l’emergenza inerente all’epidemia Covid-19….  e in considerazione della vostra offerta con la presente si conferma l’ordine”. Di quale ordine stiamo parlando? Che cosa ha ordinato questa centrale di acquisti della Regione Lombardia? E pagando quale cifra?  Allora, da quel che emerge, si tratterebbe di una fornitura per complessivi 513 mila euro così ripartiti:

  • 63 mila euro per 7 mila set di camici, cappellini e calzari.
  • 450 mila euro per 75 mila camici singoli.

Questo si evince dal documento di ordine con obbligo per la società Dama Spa di iniziare le consegne dal 16 aprile ovvero sin da subito. La fattura viene emessa il 30 aprile, il pagamento di norma viene fatto dalla Regione Lombardia entro 60 giorni. Insomma, tutto chiaro. Non c’è niente di male. La Regione Lombardia fa un ordine per oltre mezzo milione di euro di materiale sanitario (soprattutto dispositivi di protezione personale per medici  infermieri lombardi) alla società Dama Spa dove c’è la moglie e la famiglia della moglie del presidente della Regione Attilio Fontana. Questo è il quadro dei fatti. Che cosa risponde Andrea Dini, ovvero il capo di questa Spa, l’amministratore delegato? Una risposta che invece di chiarire ulteriormente ingarbuglia tutto. Andrea Dini dice che “non è un appalto, è una donazione”. Bene, benissimo. Se fosse vero quello che dice Dini, il titolo di questo articolo dovrebbe essere: l’azienda della moglie del governatore della Lombardia ha regalato mezzo milione di euro alla regione in materiale sanitario. E invece… leggete il titolo! Non è quello che ci suggerisce il dottor Andrea Dini.

Ma qual è la reazione del presidente Attilio Fontana rispetto a queste anticipazioni? As usual, direbbero gli inglesi. Fontana, che non  ha voluto o non ha potuto parlare con Giorgio Mottola, risponde con il solito “ho dato mandato ai miei legali di querelare ‘Il Fatto Quotidiano’ in cui si racconta di una donazione di camici per protezione individuale forniti alla Regione Lombardia. Si tratta dell’ennesimo attacco politico vergognoso, basato su fatti volutamente artefatti e scientemente omissivi per raccontare una realtà che semplicemente non esiste”. “Agli inviati della trasmissione televisiva Report – prosegue Fontana – avevo già spiegato per iscritto che non sapevo nulla della procedura attivata da Aria SpA e che non sono mai intervenuto in alcun modo. Non vi è stato da parte mia alcun intervento”. “Il testo del Fatto – conclude il governatore – infatti, in maniera consapevole e capziosa omette di dire chiaramente che la Regione Lombardia attraverso la stazione appaltante Aria SpA non ha eseguito nessun pagamento per quei camici e l’intera fornitura è stata erogata dall’azienda a titolo gratuito. Ho anche dato mandato a miei legali di diffidare immediatamente Report dal trasmettere un servizio che non chiarisca in maniera inequivocabile come si sono svolti i fatti e la mia totale estraneità alla vicenda”. Ed è qui la questione nevralgica di quanto narrato. Dai documenti in possesso di Report, sembrerebbe che ci sia un ordinativo di quel materiale, una consegna, una fattura emessa, un pagamento e uno storno di quei fondi alla Regione perchè l’azienda Dama (che ha una partecipazione della moglie del presidente) avrebbe spiegato che nei rapporti con l’ente c’è stato un equivoco. Loro, la azienda, voleva che fosse una donazione e non una fornitura a pagamento. Anche perchè data la cifra sarebbe stata necessaria una gara d’appalto.

La questione ha avuto uno strascico politico. “Nei prossimi giorni capiremo i risvolti relativi all’affidamento, senza gara pubblica, di una fornitura di camici da parte della Regione Lombardia a una società di cui risultano soci la moglie e il cognato del Presidente Fontana. Il presidente Fontana dovrà dire qualcosa su quanto accaduto. Si tratta di una vicenda imbarazzante e inopportuna. Sarà stato un malinteso, sarà che poi il mezzo milione è stato stornato”, afferma Simona Malpezzi, sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento. “Il caso scoperto e sollevato da Report merita che sia fatta piena chiarezza, e lo chiediamo al presidente Fontana e all’assessore Caparini”, dichiara il capogruppo del Pd in Regione Fabio Pizzul. “Fontana si faccia da parte. Adesso abbiamo anche donazioni a pagamento! Una ‘gara non gara’ avvenuta ad insaputa dei protagonisti ma per errore dei collaboratori e quindi, a quanto pare quella che doveva essere una donazione si è trasformata in acquisto per poi ritrasformarsi in donazione, magie che solo i leghisti possono fare nonostante intorno a loro ci fossero migliaia di morti”, dice Massimo De Rosa, consigliere lombardo del M5s. “Quante balle dobbiamo ancora ascoltare? Quanti atti maldestri dobbiamo ancora vedere. Fontana dovrà riferire in Consiglio regionale sulla vicenda dei camici”, gli fa eco Marco Fumagalli, capogruppo del M5S Lombardia. “Totale solidarietà e sostegno al presidente Fontana. Sacrosanta la sua decisione di trascinare in tribunale gli autori dell’ennesimo attacco mediatico nei suoi confronti. Allo stesso modo ci auguriamo che la Rai non si renda a sua volta megafono dell’ormai evidente disegno politico studiato a tavolino per colpire il governatore della Lombardia e destabilizzare la guida di un’intera regione”, dichiarano i parlamentari della Lega in commissione di Vigilanza Rai: Paolo Tiramani (capogruppo), Massimiliano Capitanio, Dimitri Coin, Igor Iezzi, Giorgio Maria Bergesio, Umberto Fusco e Simona Pergreffi.

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Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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