Una platea gelida, dove non manca qualche protesta, annunciata, ma nessun fischio. L’ironia sulla “Ferragni metalmeccanica” e un posto condiviso in prima fila con Landini, uno accanto all’altra, seppure per pochi minuti. Nella sala del Palacongressi di Rimini, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni interviene per mezz’ora davanti ai mille delegati della Cgil. Il segretario generale Maurizio Landini le va incontro, la accoglie con una stretta di mano, tra la ressa dei fotografi e dei cronisti, quando entra dall’ingresso principale. Lo stesso dove, prima dell’avvio dei lavori, la minoranza interna al sindacato si mette in presidio con striscioni, “Non in mio nome”, e peluche per contestare la presenza della premier. La prima di un governo di destra, che interviene all’assise nazionale, e dopo 27 anni dall’ultimo premier che aveva preso la parola in quel contesto: Romano Prodi nel 1996, ai tempi dell’Ulivo, quando a guidare la Cgil era Sergio Cofferati. Prima di Prodi, Bettino Craxi nel 1986 e Giovanni Spadolini nel 1981. Nel 2010 era intervenuto Gianni Letta a nome del governo Berlusconi. In platea le sue parole sono per lo più accompagnate dal silenzio. Un applauso, timido, scatta quando Meloni ricorda l’assalto alla sede della Cgil, del 9 ottobre 2021.
Lo ricorda e ne prende le distanze. Come atteso, il gruppo che fa capo all’opposizione interna del sindacato e guidato dalla portavoce, Eliana Como, abbandona la sala non appena Meloni sale sul palco. Esce mostrando il pugno chiuso, intonando “Bella ciao” e lasciando ai loro banchi un peluche. In segno di protesta. Ancora i peluche, come a Cutro, a ricordare la strage di bambini migranti in mare. Risponde anche a lei, alla sindacalista iscritta alla Fiom, che già si era mostrata avvolta dalla stola con la scritta “Meloni pensati sgradita” e ironizza: “Non sapevo che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica…”. Ricorda Marco Biagi, il giuslavorista assassinato dalle Br, a due giorni dall’anniversario della sua morte nel 2002. Cita Argentina Altobelli, la politica e sindacalista che a inizio del secolo scorso contribuì alla fondazione della Federazione nazionale dei lavoratori della terra (Federterra), nata a Bologna. Lo fa per rilanciare il confronto “con la forza delle idee che ciascuno legittimamente rivendica”. Landini la ascolta seduto sul banco della presidenza, al lato del palco: le braccia spesso incrociate, l’immancabile cravatta rossa, ogni tanto prende la penna e appunta dei passaggi. La sua replica, dopo la lunga relazione di apertura, la rimanda a domani, quando sarà rieletto alla guida del sindacato per il secondo mandato di quattro anni. La presenza di Meloni su quel palco, per la minoranza che la contesta, è uno “strappo”, una immagine che collide con il simbolo della Cgil, posto davanti al microfono. Ma sia Landini che Meloni vedono la presenza della premier al congresso come un “segno di rispetto”. Quando va via, prima di salire sull’auto, a Meloni viene consegnato da due parlamentari di Fratelli d’Italia un mazzo di rose bianche con la fascia tricolore.