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Matteo Ricci indagato per corruzione, campagna elettorale sospesa in attesa dell’interrogatorio

Il candidato del centrosinistra nelle Marche Matteo Ricci indagato per corruzione. Campagna sospesa, mercoledì sarà ascoltato dai magistrati. Pressioni dal centrodestra, attesa per la decisione del M5S.

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Matteo Ricci (foto Imagoeconomica), candidato del centrosinistra allargato al M5S per la presidenza delle Marche, si prepara a un momento decisivo: mercoledì comparirà davanti ai magistrati per chiarire la sua posizione nell’inchiesta che lo vede indagato per corruzione. L’inchiesta riguarda presunti affidamenti diretti per oltre 500 mila euro, quando era sindaco di Pesaro, a due associazioni culturali vicine all’ex collaboratore Massimiliano Santini, anch’egli indagato.

La strategia della difesa

Dopo le prime dichiarazioni pubbliche in cui ha ribadito la propria «completa estraneità» ai fatti, Ricci ha scelto il profilo basso. «Non vedo l’ora di rispondere», ha detto, preferendo sospendere appuntamenti televisivi già programmati. Il suo staff ostenta tranquillità: «Il programma è pronto, abbiamo già visitato la quasi totalità dei Comuni marchigiani, l’alleanza è solida».

Ma lo stop alle uscite pubbliche è evidente. E, con l’avvicinarsi del voto del 28 e 29 settembre, il silenzio del candidato pesa sempre di più.

Le accuse e il pressing dell’opposizione

Il centrodestra pesarese insiste nel ritenere Ricci informato degli affidamenti. In particolare, la consigliera comunale d’opposizione Giulia Marchionni afferma: «Non può dire di non conoscere l’associazione Opera Maestra, è citata nelle delibere di giunta». La stessa opposizione aveva chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta e l’audizione di Ricci in Commissione Trasparenza, ma entrambe le richieste sono state respinte dalla maggioranza.

Nella giornata di oggi è previsto l’interrogatorio del principale collaboratore di Ricci, Massimiliano Santini. Sabato scorso, invece, Stefano Esposto — presidente delle due associazioni coinvolte — si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Le ricadute politiche nazionali

L’inchiesta marchigiana si intreccia con le manovre in corso nelle altre Regioni al voto. Elly Schlein, da Napoli, ha tentato di distendere i toni dopo le critiche di Vincenzo De Luca a Roberto Fico, possibile candidato alla successione in Campania: «Stiamo lavorando per costruire alleanze forti e inclusive in tutte le regioni per battere la destra», ha detto la segretaria Pd.

Il Movimento 5 Stelle resta in attesa di sviluppi: la conferma del sostegno a Ricci potrebbe arrivare solo dopo il suo interrogatorio.

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Gino Paoli: «Il cielo in una stanza, la mia vita irregolare e quel dolore che non passa»

Gino Paoli racconta al Corriere della Sera i suoi 90 anni tra jazz, amori, la nascita della canzone d’autore e il dolore per la morte del figlio Giovanni.

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A pochi mesi dai 91 anni, Gino Paoli (foto Imagoeconomia in evidenza) si racconta con la lucidità e la libertà di chi ha vissuto tutto. Attorno a un piatto di tagliatelle preparato dalla suocera Leda, 93 anni, seduto con la moglie Paola e la figlia Amanda Sandrelli, Paoli ricorda l’amicizia con Maurizio Costanzo, gli anni con i grandi del teatro e della canzone italiana, l’infanzia tra madre austriaca e padre ufficiale della Marina. Una famiglia divisa dalla guerra, con un nonno socialista e mani d’acciaio, una nonna cieca ma tenace, e la memoria delle foibe.

L’anima jazz e le origini della canzone d’autore

Gino Paoli non si considera il primo cantautore italiano: «Lo è stato Modugno, con “Vecchio frac”». La sua vera origine è il jazz, ascoltato fin da piccolo, mentre il padre improvvisava spettacoli in casa. Poi arrivarono i chansonniers francesi, Brassens e Brel, e la coscienza che una canzone potesse raccontare una storia, rompendo le regole della melodia tradizionale. «Scrivevo come mi piaceva, non seguendo schemi», confessa.

Il cielo in una stanza e l’amore per una prostituta

Uno dei più grandi successi di Paoli, “Il cielo in una stanza”, è nato da una relazione con una prostituta di cui oggi non ricorda nemmeno il nome, ma che ha ispirato uno dei brani più poetici della musica italiana. «Mi piaceva tanto, ma finiti i soldi, fui costretto a rivendere i libri di mio padre per continuare a vederla. Alla fine lei doveva partire, mi chiese di seguirla, ma io dissi di no». La canzone fu rifiutata da tutti finché Mina la incise in lacrime, creando un capolavoro immortale.

Tra bordelli e ribellioni: la Genova degli anni Sessanta

Paoli ricorda gli anni delle case chiuse e della legge Merlin, i bordelli frequentati da ragazzino, le giornate a chiacchierare con le puttane per la disperazione delle madame venete. Poi la Genova della rivolta del 1960, contro il congresso del Msi e contro il ritorno dei collaborazionisti. «Fui fotografato con sotto il braccio la testa di un poliziotto, mio padre voleva uccidermi», ricorda.

Caproni, il dolore per il figlio e il dialogo con Dio

Nel racconto più intimo, Paoli si commuove parlando del figlio Giovanni, morto prematuramente. «Una ingiustizia atroce. Dovevo morire io prima di lui». Il suo dialogo con Dio è diretto: «Gli chiedo perché ha portato via tutti i miei amici. Lui mi risponde: “Preferisco circondarmi di persone buone e intelligenti”». Di fronte alla morte, Paoli oscilla tra due immagini: «O il buio più totale, o un luogo pieno di luce e di musica dove ci ritroveremo tutti».

La vecchiaia, Elodie e la canzone che cambia

«Un tempo avevamo Mina e Vanoni, oggi tante cantanti puntano tutto sul corpo», disse tempo fa. Non ce l’aveva con Elodie, precisa ora, ma con un sistema che ha cambiato la musica. Eppure, nonostante whisky e sigarette per anni, Paoli ha esami perfetti. «Il mio medico vuole rigarmi la macchina».

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Cronache

Raoul Bova minacciato con audio privati: indagato Federico Monzino, coinvolto anche Corona

Tentata estorsione a Raoul Bova con audio compromettenti. Indagato Federico Monzino. Spunta anche Fabrizio Corona. Al centro una relazione con Martina Ceretti.

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«Altro che Don Matteo… ho dei contenuti fra te e Martina Cerretti che ti farebbero molto male». È questo uno dei messaggi arrivati lo scorso 11 luglio a Raoul Bova (foto Imagoeconomica in evidenza), e che ha innescato un’indagine per tentata estorsione nei confronti dell’attore romano. A inviarlo, secondo la Procura di Milano, sarebbe stato Federico Monzino, 29 anni, industriale milanese e pr noto tra i vip, erede della famiglia co-proprietaria del marchio Cranchi Yachts e degli storici magazzini Standa.

La minaccia e la denuncia

Bova, rimasto in silenzio davanti alle minacce, ha deciso di rivolgersi alla polizia postale e poi all’avvocato David Lecci, presentando una denuncia prima che lo scandalo potesse deflagrare. La Procura di Milano, con il pm Eliana Dolce, ha aperto formalmente un fascicolo: Monzino avrebbe cercato di costringere l’attore a pagare una somma non specificata per impedire la diffusione di file audio e messaggi privati con la modella Martina Ceretti, 23 anni.

Falsissimo, Corona e i file riservati

Nel tentativo di alzare la posta, Monzino avrebbe minacciato che i contenuti sarebbero finiti a “Falsissimo”, programma di gossip legato a Fabrizio Corona. «Se poi vuoi essere così gentile e farmi un regalo, dato che ti sto salvando il culo…», scriveva ancora Monzino nei messaggi a Bova, evocando apertamente il rischio di uno scandalo mediatico.

Corona, che non è indagato, ha dichiarato di aver ricevuto spontaneamente il materiale da Monzino e Ceretti, sostenendo che lo scopo era solo quello di rendere nota la relazione tra l’attore e la giovane modella, «per farla diventare famosa». Tuttavia, a pubblicare gli audio, è stato proprio Corona, che ne ha dato ampia visibilità sui social, alimentando il caso.

Il nodo della provenienza dei file

Un punto cruciale dell’inchiesta è capire come Monzino sia entrato in possesso dei file. I dispositivi di Martina Ceretti, Monzino e Corona sono stati sequestrati, ma la ragazza, al momento non indagata, è sparita dai social. Resta da chiarire se sia stata lei a consegnare volontariamente i messaggi, oppure se le siano stati rubati o divulgati a sua insaputa. In base a questo si potrebbe configurare l’accusa di furto o ricettazione nei confronti dei soggetti coinvolti nella diffusione.

La frattura con Rocío Morales

Lo scandalo ha avuto ripercussioni anche nella vita privata dell’attore. Dopo la pubblicazione dei contenuti, la compagna Rocío Morales avrebbe deciso di rivolgersi a un legale, l’avvocato Antonio Conte, sancendo un momento di forte crisi nella coppia. Le indagini proseguono: al centro ci sono almeno dieci messaggi compromettenti ricevuti da Bova, che ha scelto di non rispondere, ma di agire legalmente.

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Esteri

Trump e lo stile paranoico nella politica americana: il caso Epstein e le teorie del complotto

Dal complottismo su Obama e le elezioni truccate al caso Epstein, Donald Trump incarna lo stile paranoico della politica americana teorizzato da Hofstadter nel 1964.

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Nel 1964 lo storico americano Richard Hofstadter descrisse con lucidità ciò che oggi sembra diventato il cuore pulsante della politica americana: il “paranoid style”, quello stile paranoico fatto di fantasie cospirative, sospetti esagerati e distorsioni emotive della realtà. Dalla minaccia degli Illuminati di Baviera nel Settecento al Maccartismo, fino ad arrivare a oggi: le teorie del complotto non sono una novità, ma ciò che cambia è chi le diffonde e con quale impatto politico.

Il complottismo come sfida alle élite

Negli Stati Uniti, la sfiducia verso le élite è un sentimento antico. L’idea che il potere nasconda verità inconfessabili è diffusa tra i cittadini: il 65% degli americani crede che l’omicidio Kennedy non sia opera del solo Oswald, molti pensano che lo sbarco sulla Luna sia stato una messinscena hollywoodiana, e che gli attacchi dell’11 settembre siano stati un “inside job”. Roswell, i rettiliani, i vaccini, le torri gemelle: tutto si tiene in un’America dove la verità ufficiale è spesso ritenuta menzogna organizzata.

Il caso Epstein e l’ossessione trasversale

Anche la vicenda di Jeffrey Epstein, miliardario implicato in traffico di minori, morto in carcere in circostanze mai chiarite, si è trasformata in un simbolo perfetto del complottismo moderno. Il suo caso non divide: unisce. Dai sostenitori di Donald Trump agli avversari, tutti sospettano, tutti cercano “la verità dietro le quinte”. E mentre Washington si affolla di teorie e illazioni, il nome di Trump figura nei file Epstein, e il popolo MAGA — quello del cappellino rosso e del deep state — ora pretende risposte.

Trump, il presidente dei complotti

A differenza dei presidenti del passato che cercavano di smentire le teorie cospirative per salvaguardare la credibilità delle istituzioni, Trump le ha utilizzate come arma politica. Nel 2008 rilancia la bufala dei birthers, secondo cui Barack Obama non sarebbe nato negli Stati Uniti. Nel 2011 sostiene che Bin Laden non sia mai stato ucciso, ma che Obama e Biden abbiano eliminato la squadra dei Navy Seals per coprire la verità. Nel 2016 insinua un coinvolgimento del padre di Ted Cruz nell’omicidio Kennedy. Il tutto senza prove, ma con effetti devastanti sulla fiducia pubblica.

Nemmeno l’accesso allo Studio Ovale ha fermato Trump. Ha continuato ad alimentare le teorie che delegittimano il sistema che lui stesso guida: dalle elezioni del 2020 truccate al clamoroso sospetto che le riserve d’oro di Fort Knox siano scomparse. Un’uscita che ha costretto il segretario al Tesoro a intervenire pubblicamente.

Quando il complotto divora il suo creatore

Il caso Epstein è diverso. È una mina che Trump non riesce più a disinnescare. Non bastano le accuse rimbalzate da Tulsi Gabbard su Obama e Clinton, né le insinuazioni su presunti abusi di potere. Il nome di Trump è nei documenti. E quando si alimentano le teorie cospirative, non si può più scegliere quali cavalcare e quali evitare: il mostro creato rischia di tornare a mordere la mano che lo ha nutrito.

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