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L’Onu accusa Mosca e Kiev di ‘esecuzioni sommarie’

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L’ombra dei crimini di guerra si allunga ancora una volta in Ucraina. Dopo il mandato di arresto contro il presidente Vladimir Putin per le deportazioni di bambini in Russia, questa volta è l’Onu a muovere accuse a entrambe le parti per decine di esecuzioni sommarie. “Siamo profondamente preoccupati per l’esecuzione sommaria di 25 prigionieri di guerra russi e di persone fuori combattimento” e per quella di “15 prigionieri di guerra ucraini”, ha affermato Matilda Bogner, capo della missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Da Kiev, la replica è affidata al difensore civico Dmytro Lubinets, che respinge gli addebiti e chiede di “conoscere i fatti e gli argomenti indiscutibili su cui si basano le conclusioni della missione”. Ma le accuse dell’Onu raccontano l’atrocità di un’invasione che non vede ancora tregua, anzi: se la Cina dovesse decidere di armare Mosca “prolungherebbe il conflitto e certamente amplierebbe la guerra potenzialmente non solo nella regione ma a livello globale”, è stato il monito lanciato a Pechino dal capo del Pentagono Lloyd Austin.

Mosca da parte sua non pensa ad alcun ritiro, e minaccia anzi di spingersi fino a Kiev e Leopoli, se necessario: parola del falco Dmitri Medvedev. Secondo Bogner, l’Onu è a conoscenza di cinque indagini condotte da Kiev che coinvolgono 22 vittime di esecuzioni sommarie, ma “non siamo a conoscenza di alcun procedimento contro gli autori” di questi crimini. Per quanto riguarda le esecuzioni di 15 prigionieri di guerra ucraini “poco dopo la loro cattura” da parte delle forze armate russe, 11 di loro sono state perpetrate dal gruppo paramilitare russo Wagner, ha aggiunto la funzionaria. Dall’inizio dell’invasione, la missione Onu in Ucraina ha poi documentato 621 casi di sparizione forzata e detenzione illegale di civili da parte delle forze armate russe, mentre sono 91 gli episodi analoghi commessi dagli ucraini.

La denuncia delle Nazioni Unite mostra il volto di una guerra che non conosce regole, mentre crescono le tensioni internazionali tra un Occidente che rafforza il suo sostegno a Kiev e il Cremlino che minaccia ritorsioni. Come nel caso della fornitura di armi all’uranio impoverito annunciata da Londra: significherebbe “aprire il vaso di Pandora”, è stato il commento di Medvedev, tornato a ribadire le intenzioni di Mosca di difendere la Crimea occupata con “qualsiasi arma”. Ma nonostante le tensioni, secondo l’ex presidente la Russia non cerca un confronto diretto con la Nato, e vuole risolvere la guerra “pacificamente attraverso i negoziati”, che restano però lontani. L’attenzione è ancora puntata sul piano di pace della Cina, che intanto accusa gli Usa di “gettare benzina sul fuoco” e “ostacolare” gli sforzi per i colloqui. Ma l’interesse occidentale, o almeno europeo, per la proposta c’è: lo confermano gli annunci delle prossime visite a Pechino dell’alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell, della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del presidente francese Emmanuel Macron. E prima ancora a incontrare Xi Jinping in Cina sarà il premier spagnolo Pedro Sanchez, la prossima settimana.

Se da una parte la proposta cinese sembra essere ormai la base per lavorare a una soluzione mediata del conflitto, Kiev ha più volte ribadito che diversi punti del piano sono lontani dalla pace immaginata dagli ucraini, mentre cresce l’attesa per una telefonata tra Zelensky e Xi. Secondo il consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak, la chiamata è prevista, ma ci sono alcune “difficoltà” nell’organizzarla. Pechino invece ha chiarito che al momento “non ha nulla da condividere” al riguardo. Intanto continua a cadere la pioggia di bombe su tutta l’Ucraina, mentre cresce l’allarme di Kiev per la centrale di Zaporizhzhia: “A seguito del calo dell’acqua dal bacino idrico di Kakhovka, esiste il rischio di un guasto dei sistemi di raffreddamento” e “questo potrebbe significare un possibile scenario Fukushima nel mezzo del continente europeo”, secondo il ministro della Protezione ambientale e Risorse naturali dell’Ucraina, Ruslan Strilets.

Il sangue continua a scorrere nel Paese, dove nell’ultima giornata almeno 10 civili sono stati uccisi e 20 feriti a causa dei bombardamenti russi in diverse aree, tra cui 5 morti per un attacco ad un rifugio per civili a Kostiantynivka, nel Donetsk. Nella notte, le forze russe hanno colpito con droni l’area di Kryvyi Rih, città natale di Zelensky. E prosegue l’assedio russo per conquistare la città simbolo di Bakhmut, dove circa 10.000 civili, molti dei quali anziani e con disabilità, vivono ancora dentro e intorno all’insediamento in “condizioni disastrose”, secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa.

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Gli Obama con Harris, ‘sarai una presidente fantastica’

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Last but not least: ultimo, ma non certo per importanza, a dare l’endorsement a Kamala Harris per la Casa Bianca è Barack Obama con la moglie Michelle. Un sostegno ben coreografato anche nei tempi. Quasi a serrare definitivamente le fila del partito dopo aver evitato un abbraccio immediato per apparire al di sopra delle parti e non oscurare né la nuova ribalta per Kamala né il sofferto addio di Joe Biden alla corsa. Nell’aria da giorni, l’endorsement è arrivato con un video che immortala la telefonata dell’ex coppia presidenziale alla Harris, sullo sfondo di un Suv nero. Una chiamata che evidenzia una amicizia lunga oltre 20 anni e un potenziale legame storico tra il primo presidente afroamericano e quella che potrebbe diventare la prima donna di colore alla Casa Bianca. Con uno slogan apparso tra i fan dei primi comizi che già li unisce: ‘Yes, we Kam’ (le iniziali di Kamala, ndr), un richiamo al vincente slogan obamiamo ‘Yes, we can’.

“Non posso fare questa telefonata senza dire alla mia ragazza, Kamala, che sono orgogliosa di te. Sarà storico”, ha esordito l’ex first lady. “Michelle e io non potremmo essere più orgogliosi di sostenerti e di fare tutto il possibile per farti vincere queste elezioni e arrivare allo Studio Ovale”, le ha fatto eco Barack, che poi su X si è detto sicuro che sarà “una fantastica presidente”. Kamala ha ringraziato, con malcelata sorpresa: “Oh mio Dio. Michelle, Barack, questo significa così tanto per me. Non vediamo l’ora di compiere questa impresa con voi due, Doug e io…”, ha affermato la vicepresidente Usa. “Ma più di tutto, voglio solo dirvi che le parole che avete detto e l’amicizia che ci avete dato in tutti questi anni significano più di quanto io possa esprimere, quindi grazie a entrambi… E ci divertiremo anche in questo, non è vero?” ha aggiunto. Gli Obama hanno diffuso anche una dichiarazione.

“Non potremmo essere più entusiasti ed eccitati di sostenere Kamala Harris come candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti. Siamo d’accordo con il presidente Biden: scegliere Kamala è stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Ha il curriculum per dimostrarlo”, scrivono, ricordandone l’impegno come procuratrice generale in California, senatrice e vicepresidente. “Ma Kamala – sottolineano – ha più di un curriculum. Ha la visione, il carattere e la forza che questo momento critico richiede. Non abbiamo dubbi che abbia esattamente ciò che serve per vincere queste elezioni… In un momento in cui la posta in gioco non è mai stata così alta, ci dà a tutti motivo di sperare”. Quindi l’impegno a fare “tutto il possibile” per farla eleggere. Già si parla di comizi ed eventi insieme, capaci sicuramente di mobilitare grandi folle. Come quelle che Harris sta attirando sui social: il suo nuovo account su TikTok ha conquistato 100 mila follower in 30 minuti. Prosegue intanto il braccio di ferro sul duello tv tra lei e Trump.

Domenica il tycoon si era detto disponibile a mantenere il confronto del 10 settembre – concordato in precedenza con Biden – ma spostandolo dalla “fake” Abc a Fox News, l’emittente dei conservatori dove lui è di casa. Quindi martedì aveva ribadito di essere “assolutamente” pronto a dibattere con il probabile nominee dem, aggiungendo però di non aver concordato nulla, se non il duello con Biden. Giovedì l’ultima correzione di tiro: la sua campagna ha precisato che non ci sarà alcun dibattito finchè i dem non avranno nominato formalmente il candidato. “Che cosa è successo al ‘quando vuoi, dove vuoi’?”, lo ha provocato Kamala rinfacciandogli le parole che il tycoon aveva usato per sfidare Biden e accusandolo di fare marcia indietro. Probabilmente Trump sta cercando di minare la credibilità di Abc, sperando che la tv spinga il confronto a suo favore o come alibi nel caso Harris se la cavasse bene. Oppure, secondo altri, lui e il suo team hanno semplicemente paura della sua performance contro l’ex procuratrice che lo paragona a truffatori e predatori sessuali.

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Dall’Ue i primi 1,5 miliardi a Kiev dagli asset russi

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Una prima tranche simbolica di aiuti per Kiev e una risposta decisa a Mosca. Dopo mesi di negoziati estenuanti culminati nell’accordo siglato al G7 di Borgo Egnazia, l’Europa riesce a tradurre in realtà l’ambizione di utilizzare gli extraprofitti derivanti dagli asset sovrani russi congelati in pancia al continente per dare nuova linfa alle forze ucraine nella resistenza all’invasione e nella ricostruzione. L’annuncio di un trasferimento iniziale da 1,5 miliardi di euro – arrivato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – ha subito scatenato l’ira del Cremlino, che ha bollato come “illegale” l’operazione minacciando ritorsioni giuridiche.

Arginato il veto di Viktor Orban con uno stratagemma legale, i Ventisette sono riusciti nei giorni scorsi a concordare di impiegare i proventi generati dagli interessi sui 192 miliardi di euro di beni russi immobilizzati e detenuti a Bruxelles dal deposito di titoli Euroclear. Beni che – stando ai dati diffusi dallo stesso istituto finanziario – tra febbraio e giugno di quest’anno hanno fruttato extraprofitti per 1,55 miliardi. Risolti anche gli ultimi cavilli giuridici – dopo un lungo dibattito per evitare che l’operazione finisse per assumere le sembianze di una confisca -, il via libera ufficiale per far partire la prima tranche è arrivato dalla società belga il 23 luglio. Con una trattenuta del 10% dei proventi come cuscinetto contro rischi legali e finanziari. Un passo per dimostrare che l’Europa “resta dalla parte dell’Ucraina” e che, ha rivendicato von der Leyen spalleggiata anche dall’Alto rappresentante Josep Borrell, “non esiste simbolo o uso migliore del denaro del Cremlino che usarlo per rendere l’Ucraina e tutta l’Europa un posto più sicuro in cui vivere”.

La quasi totalità del denaro sarà ora convogliato a Kiev tramite la European Peace Facility (Epf) – lo strumento dell’Ue per gestire gli interventi nei conflitti – per fornire armi alle truppe ucraine. Un restante 10% sarà invece allocato in aiuti umanitari attraverso la Ukraine Facility, il fondo Ue dedicato alla ricostruzione post-bellica. Un sostegno “fondamentale”, nell’ottica del premier ucraino Denys Shmyhal, per “rafforzare le capacità di difesa” nazionali impegnate a schermare gli attacchi di Mosca, che nelle ultime ore ha colpito con droni le strutture energetiche nelle regioni settentrionali di Chernihiv e Zhytomyr. La collera di Vladimir Putin però non si è fatta attendere.

Questa operazione, ha tuonato il portavoce dello zar, Dmitry Peskov, “non rimarrà senza risposta”. Minacce davanti alle quali l’Europa non dà comunque cenno di volersi fermare perché il Cremlino, è stata la replica della vicepresidente Vera Jourova, “è uno spietato aggressore e deve pagare per questa guerra”. Al summit in Puglia i Grandi della Terra avevano concordato di sostenere un prestito di 50 miliardi di dollari a favore di Kiev da ripagare proprio con gli interessi sui circa 300 miliardi di dollari di asset russi congelati complessivamente in Occidente.

Un’intesa trovata in un delicato equilibrio tra il pressing americano e la prudenza degli europei, impegnati a fare da garanti all’operazione e preoccupati anche da possibili reazioni dei mercati e ripercussioni sul sistema monetario. Ora, negli auspici dei Ventisette, gli stanziamenti dovrebbero raggiungere una somma tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro l’anno. In attesa della prossima rata, nel marzo 2025, sul tavolo sono già planate le prime opzioni per estendere il rinnovo delle sanzioni sugli asset della Banca centrale russa e garantire il prestito.

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Domenica negoziati a Roma su Gaza con Cia e Mossad

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La trattativa per una nuova tregua a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani passa per Roma. Domenica la capitale italiana ospiterà un vertice tra il direttore del Mossad David Barnea, quello della Cia William Burns, il premier del Qatar Mohammed bin Abdel Rahman al-Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamal. Obiettivo della riunione – ha spiegato il sito israeliano Walla – è discutere il dossier tregua e ostaggi la cui soluzione da mesi appare inarrivabile, in un’altalena di spiragli che poi puntualmente si chiudono. E neppure stavolta – temono fonti israeliane e Usa citate da Walla – ci sarebbe una svolta all’orizzonte: i negoziati dovrebbero limitarsi a definire “la strategia da seguire”.

La missione di Benyamin Netanyahu negli Usa – con l’intervento al Congresso e gli incontri con Biden, Harris e anche Trump – non sembra per ora aver modificato la linea del premier. Il capo del governo israeliano – che ha irrigidito la sua posizione già prima della partenza per Washington – non intende cedere su due dei punti principali in discussione: il primo è l’istituzione di un meccanismo per monitorare il movimento di armi e militanti palestinesi dal sud al nord della Striscia; il secondo è il mantenimento del controllo israeliano del ‘Corridoio Filadelfia’, la striscia di terra tra Gaza e l’Egitto da cui in questi anni Hamas ha contrabbandato armi e mezzi nell’enclave palestinese. Quel rubinetto va chiuso, ha spiegato Netanyahu che invece è molto più disponibile, anche per le pressioni dell’Egitto, a riaffidare il controllo del Valico di Rafah agli europei e ai palestinesi. Nell’incontro di domenica non è previsto che Barnea sia affiancato dal capo dello Shin Bet Ronen Bar né dal capo del team che si occupa degli ostaggi, il generale Nitzan Alon.

Un funzionario israeliano – citato da Walla – ha escluso che a Roma si possa arrivare ad una svolta. Secondo lui, non ci sono segnali che la pressione di Biden su Netanyahu abbia convinto il premier ad ammorbidire le sue nuove richieste, che dovrebbero poi essere poi trasferite “entro due giorni” – come annunciato dal premier stesso – ad Hamas. “Netanyahu – ha spiegato con tono pessimistico una fonte israeliana a Walla – vuole un accordo che non può essere raggiunto. In questo momento non è pronto a muoversi, quindi potremmo finire in una crisi dei negoziati piuttosto che in un accordo”. Anche un’altra fonte negoziale, citata da Haaretz, ha parlato di crescenti tensioni tra Netanyahu e il team incaricato dei colloqui. “Il premier – ha detto al quotidiano – sta consapevolmente cercando di mettere in crisi i negoziati perché pensa di poter migliorare le posizioni. Questo significa correre un rischio non calcolato con la vita degli ostaggi”.

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