A sole quattro ore di volo dall’Italia e a due passi dalle coste mediterranee, è andato in scena un altro round della guerra aperta, ormai in corso da anni, tra Iran e Stati Uniti nella Siria nord-orientale, ricca di petrolio e al centro degli interessi anche della Russia e della Turchia. Un contractor americano è stato ucciso e altri cinque militari Usa sono stati feriti in un attacco compiuto contro una base americana da un drone iraniano nella regione di Hasake, a soli 12 chilometri dal confine con l’Iraq. Il Pentagono ha subito puntato il dito contro i Pasdaran, le forze d’elite della Repubblica islamica presenti in varie aree del Medio Oriente dall’Iran al Libano passando per Siria e Iraq. Poco dopo l’attacco aereo di Hasake, jet statunitensi si sono levati in volo e hanno bombardato tre diverse postazioni di jihadisti sciiti filo-iraniani nell’est della Siria, colpendo depositi di armi e rifugi nei distretti di Mayadin, Bukamal e Dayr az-Zor. Secondo fonti locali in Siria, l’Iran dispone nel paese mediterraneo di circa 70mila tra miliziani libanesi, afgani e iracheni. A seguito di questi attacchi, nei quali sono stati uccisi almeno 11 miliziani filo-iraniani, di cui 7 di nazionalità siriana, i jihadisti sciiti vicini a Teheran hanno sparato colpi di mortaio sulle installazioni petrolifere di al Omar, a est del fiume Eufrate, in un’area controllata da forze curdo-siriane e dove sorge l’altra principale base militare Usa in Medio Oriente.
Centinaia di militari americani sono presenti in Siria dal 2014 con l’obiettivo dichiarato di “sconfiggere il terrorismo dell’Isis” e sono per questo a capo della Coalizione globale anti-Isis. Sul terreno, Washington sostiene le forze curdo-siriane, emanazione del Partito dei lavoratori curdi (Pkk) in lotta con il governo turco del presidente Recep Tayyip Erdogan. Nella stessa area nord-orientale siriana, poco lontano dove i Pasdaran hanno ucciso nella notte un contractor Usa, sono presenti anche militari turchi e soldati russi. Solo ieri mezzi blindati di Mosca e di Ankara hanno condotto il periodico pattugliamento congiunto della frontiera siro-turca in pieno territorio siriano, in una regione ricca di giacimenti di petrolio. Nella Siria in guerra da 12 anni e alle prese con la peggiore crisi economica della sua storia, la spartizione del territorio orientale contiguo all’Iraq occidentale, dove sono presenti altri militari Usa, non avviene solo tramite eserciti e milizie straniere.
Ma avviene anche tramite la cooptazione, da parte di potenze straniere, di attori locali: si tratta, per lo più, di giovani adulti costretti da anni a scegliere la via della migrazione clandestina o l’arruolamento, per sostentamento, in gruppi armati al soldo di quello o quell’altro paese. Mentre si intensifica la guerra guerreggiata tra Stati Uniti e Iran, si fa così sempre più netta, sul terreno, la contrapposizione sociale tra i siriani che lavorano al servizio degli americani e degli ascari curdi, e i siriani che rispondono invece agli ordini degli iraniani, dei russi e delle forze governative di Damasco.