“Non c’è alcun presupposto per la pace, l’operazione militare proseguirà nel prossimo futuro”. Le parole del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov all’indomani del vertice di Gedda fotografano forse il passo avanti più concreto che, nell’ottica ucraina, poteva rappresentare il summit sulla pace convocato dall’Arabia Saudita: aumentare ulteriormente l’isolamento diplomatico della Russia. Mosca, infatti, non ha fatto nulla per nascondere la sua irritazione al termine di un appuntamento che ha riunito una quarantina di Paesi – inclusi quelli che con la Russia hanno tuttora rapporti diplomatici e commerciali, – per parlare di un negoziato che ponga fine al conflitto sulla base della formula proposta da Volodymyr Zelensky.
A Gedda non erano previste dichiarazioni congiunte. E’ stata riunione lontana dai riflettori, che ha fatto seguito a quella di fine giugno a Copenaghen. E, rispetto al suo predecessore, il summit saudita sembra aver registrato dei progressi sostanziali. Nel Paese scandinavo, infatti, erano di fatto presenti le delegazioni di governi membri della Nato. In Arabia Saudita la platea è stata ben più estesa, allargandosi a Giordania, Qatar, Bahrein, India, Kuwait, Egitto, Sudafrica, Brasile, Argentina e Cile. E, soprattutto, alla Cina. Tutti insieme allo stesso tavolo, con il G7, l’Ue e gran parte dei Paesi del Vecchio continente. “Pechino non vuole mancare a qualsiasi iniziativa credibile per la pace che sia guidata da Paesi che non siano occidentali”, ha osservato Yun Sun, del think tank americano Stimson Center, citato dalla Reuters, cercando di interpretare la mossa del Dragone.
L’inviato cinese, il rappresentante speciale per gli Affari euroasiatici Li Hui, da fonti presenti alla riunione è stato descritto come piuttosto attivo. E ha dato il suo placet a un terzo incontro allo stesso livello. E se è vero che non c’è stata nessuna intesa scritta a Gedda, è anche vero che, al summit, c’è stato un accordo sostanziale su un dato: qualsiasi negoziato di pace non può prescindere dall’integrità territoriale ucraina e dal primato del diritto internazionale e della Carta dell’Onu. “A Gedda c’è stato un passo avanti verso l’attuazione pratica delle iniziative di pace proposte dall’Ucraina. Sono emerse opinioni diverse ma abbiamo avuto una conversazione estremamente aperta e produttiva”; ha sottolineato l’inviato di Kiev Andriy Yermak.
A Mosca non l’hanno presa affatto bene. Alle parole del Cremlino si sono affiancate quelle di Sergey Ryabkov. “Ci sarà un rilevante scambio di opinioni tra noi e i Paesi Brics che hanno partecipato sui risultati di Gedda”, è stata la stoccata del membro del vice ministro degli Esteri russo. E ancora oltre, come è solito fare dall’inizio del conflitto, è andato il vice presidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev. “I negoziati non sono ancora necessari, il nemico deve strisciare in ginocchio, implorando pietà”, ha tuonato il falco del Cremlino. Parole che, alla coalizione pro-Kiev, potrebbero attestare quanto osservato dagli Usa: “I colloqui di Gedda sono stati buoni e costruttivi”, ha spiegato un alto funzionario della Casa Bianca ringraziando l’Arabia Saudita. La prossima tappa della via diplomatica per il negoziato sarà a settembre a New York, all’Assemblea generale dell’Onu. Un appuntamento al quale Kiev vuole arrivare con il maggior numero di alleati possibile.