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Economia

L’industria italiana dello Sport cresce, i ricavi volano a quota 9,3 miliardi

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Il mercato dello sport in Italia vale oltre 9  miliardi di euro. Insomma è un settore quell dell’articolo sportivo che gode di eccellente salute. Lo scorso anno, in particolare, il comparto è cresciuto del 2% rispetto al 2016, sospinto dalle performance del settore bike (1 miliardo e 770mila euro di fatturato) e del footwear (2,3 miliardi di fatturato) che hanno registrato rispettivamente il +5 e +4% sull’anno precedente. Più 1% invece per l’attrezzatura sportiva che ha ottenuto introiti per quasi tre miliardi (+1%), mentre l’abbigliamento ha subito una lieve flessione con -1% per un totale di ricavi comunque vicini a quota tre miliardi.

Industria dello sport. Fatturati ancora in aumento

Parte da questi dati incoraggianti il mandato del nuovo presidente di Assosport, Federico De Ponti, presidente e ceo di Boxeur Des Rues, che ha preso il posto al vertice dell’Associazione, fondata nel 1958, che rappresenta 130 aziende e 350 brand per un fatturato aggregato di 4,5 miliardi e 12mila addetti fra i produttori di articoli sportivi, di Luca Businaro (Novation) numero uno per otto anni.
“La Sport Industry italiana vive un’ottima fase grazie alle sue numerose eccellenze – spiega De Ponti – anche se il nostro mercato sta cambiando radicalmente. Ma alle sfide globali gli imprenditori italiani sanno rispondere con un asset unico e non soggetto ai rischi di delocalizzazione, vale a dire la creatività. Se oggi ad esempio quando si pensa a una scarpa sportiva la mente va ai colossi Usa, tedeschi o giapponesi, non si può dimenticare che la scarpa sportiva è nata in Veneto e qui se ne conserva l’impronta creativa”.

I nuovo presidente di Assosport. Federico De Ponti, presidente e ceo di Boxeur Des Rues,

L’ outdoor è senza dubbio la punta di diamante di un comparto che fa leva su tecnologia e ricerca. «Quando all’ estero si parla di macchinari o di fibre all’ avanguardia si parla di Italia e di fattori centrali della nostra industria dello sport di cui bisogna essere orgogliosi», aggiunge De Ponti.
Anche se l’ orgoglio e la cultura industriale rappresentano oggi solo una parte dei segreti di un primato riconosciuto anche a livello internazionale. Per restare avanti occorre agire rapidamente su muovi versanti. «Internazionalizzare ovviamente è cruciale. Non solo per difendersi. Ma soprattutto per crescere. In quest’ ottica nel mio programma – sottolinea il neopresidente di Assosport – ho posto l’ accento sulla tutela del marchio, intendo non solo come brand, ma come un ombrello che copre tutto ciò che è ricerca, brevetto, know how, esperienza. Le aziende italiane devono essere capaci di promuovere, facendo squadra, i propri marchi e di tutelarli giuridicamente in tutte le sedi”.
Un pensiero condiviso da Andrea Tomat, presidente di Lotto Sport e vicepresidente di Assosport: “Dobbiamo continuare a sostenere le aziende del settore nel loro impegno al di fuori del mercato nazionale. Nel 2017, un anno record per l’Italia, le esportazioni di prodotti sportivi sono cresciute ad un tasso leggermente superiore a quello nazionale. E il trend è continuato nel primo semestre del 2018 a testimonianza dell’ enorme impegno di tutte le imprese dello sportsystem italiano. Ma non basta. Serve un sistema Paese favorevole, dove stabilità, centralità dell’ impresa e dell’ attività imprenditoriale riprendano una posizione apicale nell’azione del Governo che sembra smarrita”.
Per le aziende dello sport l’ export solo nel primo semestre 2018 ha segnato un + 9,3% rispetto al primo semestre 2017.
Per De Ponti che con la Boxeur des Rues, brand dello streetwear e dello sportswear fondato nel 2003, viene dal retail, inoltre è fondamentale che le aziende produttrici abbiano una propria vetrina che le metta in comunicazione diretta con il consumatore finale vuoi con il classico negozio fisico, vuoi con il proprio siti Internet. “Per la maggior parte dei nostri associati – conclude – l’ e-commerce è già un alleato. Ma bisogna investire di più”.

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Economia

L’Ue media con Trump sui dazi e tende la mano alla Cina

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“Non ci siamo ancora. Per ballare il tango bisogna essere in due”. Ormai da mesi in bilico sull’orlo della guerra commerciale, nei giorni scorsi Maros Sefcovic ha usato l’ironia per descrivere i complessi negoziati sui dazi tra Bruxelles e Washington, lasciando tuttavia intendere che le prove d’intesa sono all’inizio. Il commissario europeo al Commercio lavora sotto traccia per scongiurare lo scontro frontale e raggiungere un compromesso prima del fatidico 2 aprile, la data annunciata da Donald Trump per far calare la sua scure e “liberare l’America”.

Messi per ora da parte i toni più infuocati, la squadra di Ursula von der Leyen è alla ricerca di un equilibrio spinta anche dal pressing di Italia e Francia, in prima linea per salvare prosecco e champagne. Le contromisure – appena rinviate – restano comunque pronte all’uso e la Commissione tesse la sua tela alternativa guardando a Oriente, dove intanto Cina, Giappone e Corea del Sud si sono compattate per sfidare il tycoon. A metà settimana Sefcovic volerà a Pechino con un mandato chiaro in tasca: raffreddare le tensioni sulle auto elettriche e strappare garanzie su una concorrenza leale utile a tenere a bada dumping e sovraccapacità industriale, nodi destinati ad aggravarsi con la possibile linea dura Usa.

Annotate le pur vaghe aperture di “flessibilità” da parte della Casa Bianca, il primo segnale di dialogo dell’Ue è arrivato con la decisione di rinviare – dal primo aprile al 13 – l’entrata in vigore del primo pacchetto di dazi sui beni americani dal valore di 4,5 miliardi di euro annunciato per rispondere alle sovrattasse Usa su alluminio e acciaio che rischiano di colpire duramente anche l’automotive e la difesa. Un elenco di contromisure già utilizzato da Bruxelles nello scontro commerciale con la prima amministrazione Trump, che colpisce le icone a stelle e strisce Harley-Davidson, yacht e il bourbon.

Ma proprio sul whiskey americano le tensioni interne ai Ventisette si sono riaccese: Parigi è insorta, temendo la rappresaglia su champagne e cognac, mentre Roma osserva la situazione con apprensione soprattutto per i possibili contraccolpi su prosecco e vino. Tanto che il ministro degli Esteri Antonio Tajani ne ha discusso di persona con Sefcovic.

L’impegno di Bruxelles, nelle parole del portavoce Olof Gill, è “trovare il giusto equilibrio tra i prodotti” in vista anche della seconda maxi-lista di misure – da sfoderare sempre il 13 aprile – messa a punto per colpire 18 miliardi di beni americani tra industria e agroalimentare, puntando dritto alle roccaforti repubblicane. Il cantiere della nuova strategia Ue per la sicurezza economica – da misure protezionistiche a nuove partnership globali – resta aperto, con le fondamenta gettate già ai tempi dell’amministrazione Biden, ben prima che lo spettro di Trump tornasse a far tremare i mercati. Oltre alla diversificazione delle alleanze, Bruxelles ha però un nodo ben chiaro sul tavolo: la sovracapacità cinese destinata a peggiorare – inondando il mercato continentale di merce a basso costo – con i dazi Usa.

“Rischiamo una massiccia deviazione degli scambi commerciali”, è stato l’avvertimento di Sefcovic che, dal 27 al 29 marzo a Pechino cercherà di negoziare con l’omologo Wang Wentao per rafforzare le condizioni di parità di mercato. Alla ricerca anche di un’intesa che potrebbe portare Bruxelles a rimuovere le sovrattasse sulle e-car cinesi, al centro di un duello da mesi pendente al Wto.

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Economia

Pasqua amara per i rincari, uova e colombe costano il 30% in più

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Uova di Pasqua e colombe a peso d’oro. L’aumento delle quotazioni del cacao e la crisi del burro spingono al rialzo i listini dei dolci tipici della festa. Lo afferma il Codacons sulla base di una indagine sulle marche più note di questi dolci venduti nelle catene della grande distribuzione. Prezzi alle stelle, dunque, più alti di quelli dell’anno scorso. Che sia di cioccolato al latte o fondente, i rincari dei prezzi per le marche più note di uova, al netto di offerte o promozioni dei supermercati, si attestano a quota +30% rispetto al 2024, ma possono superare il 40% se il prodotto è di gamma medio-alta: il prezzo a singola confezione può superare i 22 euro (oltre 70 euro al chilogrammo).

Non vengono risparmiate di certo le uova di cioccolato destinate ai più piccoli, con aumenti che partono da +8,3% e arrivano a +33% per le marche che hanno in licenza loghi legati società sportive, cartoni animati, bambole, serie tv amati dai bambini. Anche le colombe, che siano tradizionali o farcite, registrano incrementi di prezzo non indifferenti: l’indagine del Codacons rivela che per le marche più commercializzate in Italia i rincari sono nell’ordine del 21% rispetto allo scorso anno, ma con dei distinguo. Se il prezzo della colomba classica sale, a seconda della marca e del punto vendita, tra il 6% e il 9% rispetto al 2024, quelle farcite al cioccolato (con gocce di cioccolato, glasse o creme al cacao), segnano aumenti più pesanti, tra il 18% e il 36%. La spiegazione si trova nella crisi delle materie prime, sottolinea il Codacons.

Le quotazioni del cacao hanno raggiunto il record di 12mila dollari la tonnellata a fine 2024, e viaggiano attualmente attorno agli 8mila dollari, contro i 2.900 dollari del marzo 2023, con un incremento di oltre il 175% e impatti diretti sui prezzi al dettaglio di tutti i prodotti a base di cacao. Anche il burro, materia prima base della colomba, ha registrato aumenti astronomici, pari a +83% su base annua secondo gli ultimi dati della Commissione europea, con le quotazioni che hanno superato gli 8.300 dollari a tonnellata, fa notare l’associazione. Le tensioni sul fronte energetico, che appesantiscono i costi di produzione a carico dell’industria, si aggiungono alle cause dei rincari e si riflettono sui prezzi al dettaglio, “senza considerare che produttori e grande distribuzione possono contare sul fatto che uova di cioccolato e colombe non possono mancare a Pasqua sulle tavole degli italiani, perché parte della tradizione di festa”, conclude il Codacons.

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Economia

Settimana di dati, tra dazi e prezzi economia a raggi X

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Settimana ricca di dati macro, la prossima, con gli indici pmi che daranno indicazioni sull’andamento dell’economia e diversi indicatori, tra cui il deflatore Pce tanto caro alla Fed, che aiuteranno a capire la direzione dell’inflazione, a rischio surriscaldamento per la pressione dei dazi. Lunedì si parte con le stime flash degli indici pmi di Giappone, Francia, Germania, Eurozona, Gran Bretagna e Stati Uniti, dalle quali dovrebbe emergere il graduale recupero del settore manifatturiero dell’area euro, che resterà comunque ancora in una fase di contrazione. Attenzione in Cina alla trimestrale di Byd, le cui auto stanno mettendo in ombra le Tesla di Elon Musk. Sul fronte delle banche centrali a parlare sarà il falco della Bce Robert Holzmann. Martedì, oltre a Holzmann, sono attesi gli interventi di Joachim Nagel e Boris Vujcic per la Bce e John Williams per la Fed. In Germania verrà diffuso l’indice Ifo mentre dagli Usa arriveranno indicazioni sul mercato immobiliare con le vendite di case nuove, attese in ripresa a febbraio (+3,5%) dopo la gelata di gennaio.

Grande attenzione sulla fiducia dei consumatori americani, attesa in calo da 98,3 a 94 per effetto del clima di incertezza innescato dalla politica commerciale del presidente Usa, Donald Trump. Mercoledì l’inflazione in Gran Bretagna potrebbe registrare un lieve rallentamento a febbraio, dal 3 al 2,9% mentre dagli Usa sono attesi in calo (-0,7%) gli ordini di beni durevoli a febbraio. Giovedì occhi puntati sulla Bce, con gli interventi di Louis De Guindos, Francois Villeroy de Galhau, Pierre Wunsch, José Luis Escriva e Isabel Schnabel. Dagli Usa arriverà il dato finale sul Pil del quarto trimestre 2024, che potrebbe essere rivisto al rialzo al 2,5%, a cui si aggiungeranno i sussidi di disoccupazione e l’indice manifatturiero della Fed di Kansas City.

In Italia sotto i riflettori l’assemblea di Unicredit per approvare l’aumento di capitale al servizio dell’ops su Banco Bpm. Venerdì la giornata inizia con la pubblicazione dei verbali della Boj e con i dati preliminari dell’inflazione di Giappone, Francia e Spagna a marzo mentre dalla Gran Bretagna arriverà il dato finale sul pil del quarto trimestre. L’attenzione si concentrerà sui numeri relativi a reddito e spesa personale, ma soprattutto sul deflatore del Pil (indice Pce), la variabile di rifermento della Fed sui prezzi, per la quale gli economisti si attendono un dato stabile e un lieve rialzo della parte core. In Italia Unipol presenterà il suo nuovo piano industriale mentre sabato scade il termine per la presentazione delle liste Generali.

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