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Salute

L’inquinamento dell’aria aumenta il rischio di tumore al seno

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L’inquinamento dell’aria può favorire il cancro al seno. Donne che vivono e lavorano in luoghi con livelli più elevati di particelle sottili nell’aria hanno infatti maggiori probabilità di contrarre il cancro al seno rispetto a coloro che vivono e lavorano in aree meno inquinate. I risultati del primo studio sugli effetti dell’esposizione sia residenziale che lavorativa all’inquinamento atmosferico sul rischio di cancro al seno sono presentati al Congresso della European Society of clinical oncology (Esmo) a Madrid. E gli esperti chiedono una riduzione dei limiti.

“I nostri dati hanno mostrato un’associazione statisticamente significativa tra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico da particelle sottili, in casa e sul lavoro, e rischio di cancro al seno. Ciò contrasta con una ricerca precedente che esaminava l’esposizione alle particelle fini solo dove le donne vivevano, mostrando effetti minimi o nulli sul rischio di cancro al seno”, ha affermato Béatrice Fervers, responsabile del Dipartimento di Prevenzione del Cancro e dell’Ambiente del Centro oncologico globale Léon Bérard di Lione.

Nello studio, l’esposizione all’inquinamento domestico e lavorativo di 2.419 donne affette da cancro al seno è stata confrontata con quella di 2.984 donne senza cancro al seno nel periodo 1990-2011. I risultati hanno mostrato che il rischio di cancro al seno è aumentato del 28% quando l’esposizione all’inquinamento atmosferico da particelle fini (PM2,5) aumenta di 10 µg/m3, che equivale alla differenza di concentrazione che si rileva passando da aree rurali ad aree urbane. Aumenti minori del rischio di cancro al seno sono stati registrati anche nelle donne esposte a livelli elevati di inquinamento atmosferico da particelle più grandi (PM10 e biossido di azoto).

“Queste particelle molto piccole – spiega l’oncologo Charles Swanton, del Francis Crick Institute di Londra – possono penetrare in profondità nei polmoni ed entrare nel flusso sanguigno da dove vengono assorbite nel seno e in altri tessuti. Sarà importante verificare se gli inquinanti consentono alle cellule del tessuto mammario con mutazioni preesistenti di espandersi e muoversi verso la promozione del tumore attraverso processi infiammatori, simili alle nostre osservazioni nei non fumatori con cancro al polmone. È molto preoccupante che piccole particelle inquinanti e microplastiche stiano entrando nell’ambiente quando non comprendiamo ancora il loro potenziale nel promuovere il cancro”.

Netta la posizione di Jean Blay, direttore delle Politiche pubbliche dell’Esmo: “Ora esistono forti prove epidemiologiche e biologiche del legame tra l’esposizione alle particelle PM2.5 e il cancro, e ci sono buone ragioni cliniche ed economiche per ridurre l’inquinamento al fine di prevenire i tumori”.

A seguito di una proposta della Commissione Europea dell’ottobre 2022 per ridurre il limite per le particelle PM2,5 nell’aria dagli attuali 25 µg/m3 a 10 µg/m3 entro il 2030, l’Esmo ha sollecitato un’ulteriore riduzione del limite del PM2,5 a 5 µg/m3, in linea con gli orientamenti sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della sanità. La riduzione delle particelle PM2,5 nell’aria al livello raccomandato dall’Oms “è fondamentale a causa della loro associazione con una varietà di tipi di tumore, compreso il cancro al seno”, ha aggiunto Blay. Più recentemente, nel settembre 2023, il Parlamento europeo ha adottato in sessione plenaria la relazione sulla revisione delle direttive UE sulla qualità dell’aria, che riflette le raccomandazioni dell’Esmo.

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L’Ema blocca un medicinale contro l’Alzheimer

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L’Agenzia europea per i medicinali ha respinto la raccomandazione per il farmaco Lecanemab contro l’Alzheimer. L’Ema ha annunciato che il rischio di gravi effetti collaterali è superiore all’effetto positivo atteso.

“Il Comitato per i medicinali per uso umano” dell’Ema “ha raccomandato di non concedere un’autorizzazione all’immissione in commercio per Leqembi”, ha sottolineato l’autorità, facendo riferimento in particolare all’insorgere di rischi di emorragia cerebrale nelle persone trattate con il farmaco. Il Lecanemab – nome commerciale Leqembi – è disponibile negli Stati Uniti dall’inizio del 2023 per il trattamento dell’Alzheimer in stadio iniziale. Sebbene la terapia non migliori i sintomi, può rallentarne leggermente la progressione della malattia. Il farmaco, secondo gli esperti, sarebbe quindi adatto solo per un gruppo molto limitato di malati di Alzheimer, meno del 10%. A fronte dei possibili edemi ed emorragie cerebrali, la terapia deve essere monitorata regolarmente con esami di risonanza magnetica. Ora la società farmaceutica Eisai, che ha presentato la domanda, potrà richiedere un riesame entro 15 giorni.

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Corona Virus

Covid: continua l’ondata estiva, + 53% casi in 7 giorni

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L’ondata estiva di Covid-19 non accenna a rallentare. Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità e del ministero della Salute, la scorsa settimana i contagi sono aumentati del 53,3% rispetto a sette giorni prima, passando da circa 9mila a 13.672. Questo numero, tuttavia, potrebbe sottostimare l’intensità della circolazione del virus, la cui entità è difficilmente misurabile in assenza di un sistema capillare di sorveglianza sul territorio. Secondo la rilevazione, al 24 luglio risultano in leggero aumento i ricoveri in area medica, al 2,4% (1.517 ricoverati) e stabili quelli nelle terapie intensive, allo 0,4% (38 ricoverati). È stabile, ma sopra la soglia epidemica di 1, l’indice di trasmissibilità Rt: al 15 luglio è pari a 1,24, rispetto al valore di 1,20 della settimana precedente.

“L’aumento dei casi di Covid-19 all’inizio dell’estate è qualcosa che abbiamo visto anche nelle stagioni passate. È un segno che che il virus non si è ancora stagionalizzato del tutto”, dice Gianni Rezza, professore straordinario di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e già a capo della Prevenzione del ministero della Salute.

“Negli anni scorsi, dopo una piccola ondata estiva, il numero di casi è andato diminuendo per risalire poi in maniera più importante in autunno. Il trend potrebbe ripetersi anche quest’anno, ma a oggi non abbiamo certezza”, aggiunge. Come avviene ormai da tempo, i dati rilevano più contagi negli anziani: i ricoveri sono pari a 47 per milione di abitanti nell’età compresa fra 80 e 89 anni e a 86 su un milione per gli ultranovantenni; nelle terapie intensive sono pari a 1 su un milione per entrambe le fasce d’età e la mortalità risulta di 4 su un milione per l’età compresa fra 80 e 89 anni e di 12 su un milione oltre i 90 anni. “Questo dato potrebbe essere un bias, una distorsione”, avverte Rezza.

“È probabile che nei giovani la gran parte dei casi di malattia passi inosservata, mentre si tende ad avere più attenzione negli anziani. Questa popolazione è inoltre quella che più frequentemente viene ricoverata e su cui poi vengono eseguiti i tamponi”, ricorda. Quanto ai tamponi, il numero di quelli effettuati direttamente in farmacia è ormai esiguo, specie da quando non esiste l’obbligo di certificazione per il rientro al lavoro, mentre non ci sono dati sui test fai-da-te acquistati e fatti autonomamente dai cittadini, ricorda Federfarma.

Anche un piccolo sondaggio effettuato su alcune grandi farmacie romane non rileva particolari aumenti delle richieste da parte dei cittadini. Tuttavia, i kit Covid sono ormai facilmente accessibili attraverso innumerevoli canali di vendita. È quindi difficile avere informazioni esaustive su come si stia muovendo il virus. Quel che sembra assodato è che si siano ormai affermate le varianti appartenenti alla famiglia Kp: secondo il monitoraggio Iss-ministero, le varianti Kp2, Kp3, Kp3.1.1 sono in aumento rispetto alla settimana precedente e, insieme, sono responsabili di circa il 70% dei contagi. Discendono tutte dalla variante JN.1 contro cui è diretto il vaccino aggiornato. Non ci sono quindi timori sulla sua efficacia per la prossima stagione.

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Preoccupa il virus Oropouche, primi 2 morti in Brasile

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Sale la preoccupazione per il virus Oropouche, diffuso soprattutto nell’America centro-meridionale e nei Caraibi ma che ha fatto registrare ad oggi 4 casi anche in Italia: l’infezione ha causato due primi decessi in Brasile, nello stato di Bahia, e si tratta dei primi registrati a livello mondiale. La conferma è giunta dal Ministero della Salute brasiliano. La febbre di Oropouche è un’infezione virale tropicale trasmessa da moscerini e zanzare e prende il nome dalla regione in cui è stata scoperta e isolata per la prima volta nel 1955, presso il laboratorio regionale di Trinidad, vicino al fiume Oropouche, a Trinidad e Tobago. Il primo decesso è stato confermato il 17 giugno. Il paziente aveva 24 anni, viveva a Valença ed è morto a marzo. Lunedì scorso è stato invece registrato il secondo decesso, di una donna, ed il ministero della Salute sta ancora indagando su un’altra morte sospetta nello stato di Santa Catarina.

L’Organizzazione panamericana della sanità (Paho) ha inoltre emesso un allarme epidemiologico per informare i Paesi membri sull’identificazione di possibili casi, attualmente in fase di indagine in Brasile, di trasmissione del virus Orov dalla madre al bambino durante la gravidanza. In Italia, ad oggi, sono stati diagnosticati 4 casi tutti di importazione, ovvero di soggetti rientranti dal Brasile e da Cuba. La malattia da virus Oropouche, spiega l’Istituto superiore di sanità, è una arbovirosi causata dal virus Oropouche (Orov), un virus a Rna che può essere trasmesso agli esseri umani principalmente attraverso la puntura di Culicoides paraensis, un piccolo dittero ematofago di 1-3 mm, simile ad un moscerino, che nelle aree endemiche si trova in zone boschive nei pressi di ruscelli, stagni e paludi, o di alcune zanzare come Culex quinquefasciatus.

Nessuno di questi vettori al momento è presente in Italia o in Europa. Non è stata al momento confermata la possibilità di una trasmissione da uomo a uomo del virus. Nel 2024 (al 23 luglio), sono stati registrati oltre 7700 casi nel mondo in cinque paesi: Brasile, Bolivia, Peru, Cuba e Colombia. I primi casi registrati anche in Italia sono senza conseguenze gravi. Il rischio di infezione, chiarisce l’Iss, è presente se si viaggia nei paesi in cui è presente il virus. Per chi si trova in queste zone si raccomanda di mettere in atto tutte le precauzioni necessarie ad evitare il contatto con gli insetti vettori: usare repellenti chimici, indossare vestiti che coprano braccia e gambe, soggiornare in case dotate di zanzariere e cercare di ridurre le attività all’aperto nei periodi di maggiore attività vettoriale (alba e crepuscolo).

I sintomi principali dell’infezione sono febbre, mal di testa, dolore articolare e, in qualche caso, fotofobia, diplopia (visione doppia), nausea e vomito. Se si è di ritorno da un viaggio nei paesi in cui è presente il virus e si hanno questi sintomi il consiglio è di rivolgersi al proprio medico. Grazie ad un team multi-disciplinare di esperti, L’Iss è in prima linea per monitorare il rischio da virus Oropouche in Italia per gli aspetti virologici ed epidemiologici.

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