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Economia

La Uefa ha distribuito 1,4 miliardi di euro alle società che hanno partecipato alla Champions lo scorso anno: 84 milioni alla Roma, 81 alla Juve e 39 al Napoli

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La Uefa ha reso noto oggi come ha distribuito le risorse per la partecipazione alla Champions dello scorso anno, l’ultimo del triennio 2015/2018.  Un focus sui vari club mostra come il Real Madrid vincitore del trofeo abbia incassato 88,654 milioni di euro, oltre 7 milioni di euro in più rispetto al Liverpool finalista, che ha portato a casa 81,283 milioni di euro. Tra i grandi club inglesi il Manchester United ha guadagnato 40,347 milioni, mentre i rivali del City sono arrivati a 63,821 milioni. Si fermano invece a 57,439 milioni di euro i ricavi del Barcellona – eliminato ai quarti dalla Roma –, mentre le due big di Francia e Germania hanno rispettivamente ottenuto 62,058 milioni (Paris Saint-Germain) e 70,494 milioni (Bayern Monaco). Per quanto riguarda invece le società italiane impegnate nella competizione, è molto interessante notare come – Napoli a parte (38,967 milioni più 1,219 milioni dall’Europa League), eliminato durante la fase a gironi –, sia Juventus che Roma abbiano incassato cifre molto vicine a quelle dei club finalisti. I bianconeri, eliminati ai quarti, hanno incassato 80,057 milioni di euro, mentre i giallorossi sono arrivati addirittura a 83,802 milioni. Una cifra superiore anche a quella del Liverpool finalista, dovuta a incassi superiori derivanti dalla quota di market pool rispetto alla società inglese (45,209 milioni contro 29,190 milioni).

 La Champions in corso è la più ricca di sempre. La UEFA incasserà dalla commercializzazione delle sue due competizioni europee (compresa quindi l’Europa League) circa 3,4 miliardi a stagione. Parliamo di 1,1 miliardi in più rispetto ai 2,3 miliardi a stagione con cui a Nyon avevano venduto il pacchetto 2015-2018.

Queste risorse saranno destinate a entrare anche nelle casse dei club che vi parteciperanno. Rispetto al passato, però, cambia un po’ la modalità di spartizione dei premi. Dei 3,4 miliardi incassati dalla UEFA attraverso televisioni e sponsor, circa 2 miliardi sono destinati al montepremi della Champions League. Si tratta di un incremento importante rispetto all’1,4 miliardi di questa stagione. All’Europa League sono invece destinati 500 milioni di euro. Dal prossimo anno, oltre alle 3 classiche voci premi di partecipazione, market pool e quota da calcolare sui risultati stagionali, viene introdotta anche una nuova voce, ovvero: premi da risultati storici. Questa ultima voce, come potete capire, è stata spinta, voluta o se vi piace di più imposta dai club più blasonati che potranno ottenere risorse aggiuntive anche importanti anche solo per la loro storia di partecipazioni e vittorie.

  • Premi di partecipazione (25%).

Ogni squadra che otterrà l’accesso in Champions nel prossimo triennio incasserà 15 milioni di euro.

  • Market Pool (15%).

È la quota dei diritti tv nazional. Nel triennio 2015/2018  valeva un totale di 580 milioni di euro, nel prossimo varrà 300 milioni.

  • Premi da risultati stagionali (30%).

Ogni partita giocata e ogni passaggio del turno porterà molti più soldi alle casse delle squadre. Da un semplice pareggio che passa da 500mila a 900 mila euro (nella fase a gironi), alla singola partita vinta, che da 1,5 passa a 2,7 milioni. Poi ci sono tutti i passaggi del turno: 9,5 milioni per l’accesso agli ottavi, 10,5 per quello ai quarti, per quello alle semifinali, 15 alla finale e chi vincerà la coppa potrà portarsi a casa un totale di 19 milioni di euro.

  • Premi da risultati storici (30%).

Ma è qui che c’è la vera novità. Ovvero l’introduzione di un coefficiente di calcolo che premia “lo storico” a livello della competizione. Una sorta tabellario di incassi stilato in base al ranking del club. Potete facilmente intuire come questa voce sia stata voluta dai club più blasonati e potenti, perché di fatto un 30% della quota va a premiare “a priori” per quanto fatto in passato.

 

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Economia

Dazi USA, Trump alza i toni: intesa fragile con l’Ue, von der Leyen tratta per evitare lo scontro

Donald Trump annuncia dazi fino al 40% contro sette Paesi. Von der Leyen tratta per evitare l’escalation e tenere l’Europa fuori dalla guerra commerciale. Berlino, Roma e Parigi in pressing.

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Nessuna comunicazione ufficiale a Bruxelles, ma una mossa unilaterale da parte di Donald Trump, annunciata via Truth Social, ha riacceso lo scontro commerciale tra Stati Uniti e mondo. Il presidente americano ha indicato i primi sette Paesi destinatari di nuove tariffe doganali tra il 25% e il 40% a partire dal primo agosto: Giappone, Corea del Sud, Myanmar, Laos, Sudafrica, Malesia e Kazakistan.

Nel frattempo, un canale diretto tra Trump e Ursula von der Leyen resta l’ultima ancora di salvezza per l’Unione Europea, che cerca un’intesa fragile e complessa da costruire prima della scadenza. La finestra negoziale è stata prorogata da un nuovo ordine esecutivo del tycoon, ma i margini restano stretti.

L’Europa compatta ma divisa su come reagire

Mentre Wall Street vacilla, i vertici europei lavorano a una posizione comune. Von der Leyen ha ribadito al Parlamento europeo la necessità di negoziare “con forza e unità”, con un coordinamento stretto tra Berlino, Roma e Parigi. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente francese Emmanuel Macronsono in contatto continuo per rafforzare il fronte europeo.

L’ipotesi più concreta resta quella di un compromesso sull’aliquota unica al 10%, con esenzioni per settori strategicicome aerospazio, tecnologia e alimentare di qualità. Ma Parigi spinge per la linea dura, con l’Austria e la Spagna al suo fianco, evocando anche il ricorso allo strumento anti-coercizione, che colpirebbe le grandi aziende tech statunitensi.

Contromisure pronte a Bruxelles

Nel frattempo, due pacchetti di contromisure europee – uno congelato in primavera, l’altro in fase di rifinitura – sono già pronti: l’Europa potrebbe colpire prodotti americani per un valore fino a 120 miliardi di euro, con l’ipotesi di estendere la rappresaglia anche alle Big Tech.

Il timore principale è l’aumento delle tariffe già in vigore: 25% sulle auto europee, 50% su acciaio e alluminio, e la minaccia più recente di un ulteriore 17% sull’agroalimentare, che preoccupa soprattutto Italia e Francia.

La via del dialogo e il possibile viaggio a Washington

Nonostante tutto, la trattativa resta aperta. Un portavoce dell’UE ha dichiarato che “siamo all’inizio della fase finale e per posizionarci al meglio nel negoziato non possiamo aggiungere altro”, confermando la determinazione a ottenere “il miglior accordo possibile”.

Se nelle prossime settimane maturerà un’intesa di principio, von der Leyen potrebbe recarsi ufficialmente a Washington, ripetendo quanto fatto da Jean-Claude Juncker nel luglio 2018, quando ottenne una tregua in cambio dell’impegno europeo ad aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto e armamenti americani. Oggi, quella stessa contropartita torna sul tavolo, come carta geopolitica da giocare in una partita a scacchi dai risvolti economici esplosivi.

(Immagine realizzata con sistemi di Ia)

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Economia

‘Usa hanno proposto a Ue accordo con tariffe base del 10%’

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Gli Stati Uniti hanno proposto un accordo all’Unione Europea che manterrebbe una tariffa base del 10% su tutti i prodotti dell’Ue, con alcune eccezioni per settori sensibili come aerei e alcolici: lo scrive Politico citando un diplomatico di Bruxelles e un dirigente nazionale. I contorni di un accordo commerciale sono ancora incerti, hanno sottolineato fonti diplomatiche, e qualsiasi accordo è soggetto all’approvazione di Trump per procedere. Washington non ha dato alcuna indicazione di voler esentare settori politicamente sensibili come quello automobilistico, siderurgico e dell’alluminio o farmaceutico, come richiesto da Bruxelles. Francia, Italia e Irlanda sarebbero tuttavia probabilmente soddisfatte delle esenzioni per alcolici e aeromobili.

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Economia

Cina: difenderemo i nostri diritti da pressione dazi Usa

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Di fronte alle pressioni dei dazi Usa, la Cina “rimane ferma nel difendere i propri diritti e interessi e nel sostenere l’equità e la giustizia internazionale”. Il premier Li Qiang, durante l’incontro a margine del 17/mo vertice dei Brics con la numero uno dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), Ngozi Okonjo-Iweala, ha assicurato che Pechino dispone “di abbondanti risorse e mezzi per contrastare gli impatti esterni negativi” ed “è fiduciosa e in grado di promuovere uno sviluppo economico costante e sano”. La Cina introdurrà “ulteriori misure di apertura volontaria e unilaterale”, ha aggiunto Li, secondo l’agenzia Xinhua.

Il panorama commerciale globale “ha subito cambiamenti significativi a causa dell’intensificarsi dell’unilateralismo e del protezionismo, che hanno avuto un impatto significativo sull’ordine economico e commerciale internazionale”, ha aggiunto Li, auspicando la coesione da parte dei Paesi in via di sviluppo. Nel suo intervento alla sessione plenaria del vertice dei Brics, il premier cinese ha detto che il gruppo dovrebbe “guidare attivamente la cooperazione allo sviluppo e sfruttare il potenziale di crescita dei settori emergenti”. Anche per tale scopo, Pechino istituirà quest’anno “un centro di ricerca Cina-Brics sulle nuove forze produttive di qualità”, sempre nel resoconto della Xinhua.

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