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Cronache

La mafia si combatte in punta di diritto, ecco perchè un magistrato antimafia di prima linea ha scritto un manuale universitario

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La sede per il dibattito è stata quella del Dipartimento di Giurisprudenza della Federico II. Alla tavola rotonda “Nuove mafie: strategie europee di eradicamento”, è stato presentato il “Manuale di legislazione antimafia” del magistrato Catello Maresca. Un convegno che ha visto la partecipazione del mondo universitario, dell’avvocatura e della magistratura, al fine di avere una visione d’insieme e di ampio respiro sulla legislazione antimafia, una materia intricata, complessa e spesso contraddittoria. In un paese in cui si parla di mafia da oltre due secoli, non esisteva un manuale sulla normativa antimafia. Ci ha pensato è stato il pubblico ministero Catello Maresca.
Ad introdurre il convegno Sandro Staiano, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza. Per il direttore, il manuale è un’opera meritoria su una legislazione dal carattere emergenziale, che spesso deroga al sistema delle garanzie costituzionali e ai principi del garantismo penale.
“E´ un ossimoro – spiega Staiano -, da una parte, la normativa è dettata dall’emergenza, dall’altra, si consolida nel tempo e si estende nelle sue connotazioni. Dovremmo allora parlare di un’emergenza stabilizzata, permanente. Un’emergenza stabilizzata – prosegue – che evidenzia un tratto tipico della legislazione penale del nostro tempo: il legiferare non per politiche meditate, ma per emozioni, di fronte ad eventi ed emergenze che chiamano in causa sentimenti forti”.
Così avvenne con l’articolo 416 bis del codice penale, che introdusse il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il 416 bis fu infatti approvato il 17 settembre 1982,  sull’onda emotiva scaturita dall’omicidio del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, avvenuto pochi giorni prima. La tendenza del legislatore a produrre norme emozionali su temi che, in un dato momento storico, la politica e l’opinione pubblica individuano come particolarmente allarmanti, si estende o si potrebbe estendere anche ad altri ambiti, quali la legittima difesa, la lotta alla corruzione o alla pedopornografia, e può essere una tendenza pericolosa che rischia di violare quelle garanzie personali sancite dalla costituzione.
Leitmotiv del convegno è proprio la critica nei confronti del “doppio binario”, ossia l’adozione di regole processuali diverse e più severe per alcuni reati, perché ritenuti di maggiore allarme per la collettività, come appunto l’associazione di stampo mafioso.
Molto interessante è anche l’intervento del professore emerito Sergio Moccia. Per il professore “il manuale è un opera meritoria perché rappresenta un tentativo di sistematizzare un guazzabuglio, una materia in perenne evoluzione; è però anche la denuncia di un caos normativo, che segue la logica del diritto penale del nemico”.
Vale a dire un diritto penale parallelo che si rivolge ad una categoria specifica, identificata come nemico all’interno della società. Nei confronti di questa categoria il legislatore scende in campo, adotta vie privilegiate e nel farlo spesso deroga a principi e garanzie costituzionali.
“Una riforma del diritto penale richiederebbe la volontà di attuare quel sistema che emerge dalla costituzione, per raggiungere un assetto conforme allo stato sociale di diritto”, chiarisce Moccia. Il docente poi conclude ribadendo l’importanza dell’opera di Maresca “che serve ad orientarci, ai fini di una giurisprudenza che non sia oscillante, ma costante e prevedibile”.
Il professore Alfonso Furgiuele chiarisce il concetto, prima accennato, di diritto penale del nemico. “Una visione conflittuale in cui il legislatore diventa un combattente in guerra – spiega – ; ma un legislatore che scende in campo per combattere non si comporta più nel rispetto dei principi costituzionali”. Furgiuele chiarisce con un esempio. “Parliamo dei mezzi di ricerca della prova: le intercettazioni, un tema scottante e di estrema attualità. Si può intercettare tutto; pur di contrastare il male assoluto, il nemico in guerra, tutto è consentito”.
Intercettazioni, valutazioni della prova, caduta del contraddittorio, sono tutte discipline processuali che hanno dato vita al doppio binario.
Il magistrato Giuliano Caputo analizza invece un altro tema trattato dal manuale: mafie straniere e cooperazione giudiziaria internazionale. L’Italia, storicamente paese di esportazione del fenomeno mafioso nel secolo scorso, è adesso divenuto anche un paese di importazione.
L’avvocato Antonio Di Marco evidenzia come l’Unione Europea, con i trattati sulla libera circolazione di capitali e persone, abbia consentito alla mafia di ramificare con maggiore facilità le proprie attività nei vari paesi dell’Unione. Va però sottolineato come l’UE abbia anche configurato importanti strumenti di accertamento e repressione dei reati, ossia i nuovi strumenti di cooperazione giudiziaria, quali il mandato di arresto europeo e l’ordine europeo di indagine.
Chiude il cerchio Catello Maresca, autore del manuale. “Quando mi è stata affidata la cattedra in diritto e procedura della legislazione antimafia all’Università Vanvitelli, ho cercato un manuale di legislazione antimafia e ho scoperto che non esisteva. Mi piace pensare di aver mosso il primo passo per dare dignità scientifica alla materia della legislazione antimafia. Credo sia il caso di iniziare a pensare al diritto dell’antimafia come scienza giuridica universitaria”.
La legislazione antimafia non è più un settore emergenziale – conclude il pm – bisogna allora studiare insieme i limiti, le garanzie, le nuove prospettive. Il problema non è legato ad un momento specifico di emergenza, ma risiede nell’inadeguatezza dell’interprete nel cogliere la gravità del fenomeno mafioso in un dato momento storico.

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Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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