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Cultura

La lettura nostalgica di “Così fan tutte” segna il trionfo di Muti al San Carlo

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Dieci minuti di applausi quando alla ribalta Riccardo Muti saluta Napoli, il San Carlo. L’abbraccio del pubblico è calorosissimo. Quelli che frequentano il San Carlo non sono di bocca buona ma fini intenditori. Niente sconti a nessuno. E Muti li ha colpiti dritti al cuore con  “Così fan tutte”.


Nel parterre di vip con  la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, i ministri Sergio Costa e Giovanni Tria, il governatore Vincenzo De Luca e il sindaco Luigi de Magistris tutti ad applaudire la nostalgica lettura mozartiana di Muti. Il primo cittadino che è anche presidente della Fondazione San Carlo ha salutato il maestro già l’altro giorno in occasione della visita del capo del governo Conte: “Gli ho dato il benvenuto a nome della città, il ringraziamento e la gratitudine per aver garantito una apertura di stagione unica con una gran serata di musica e cultura”. “Io vedrò il maestro nei prossimi giorni, lo spettacolo è innovativo, vivace, spigliato”, sottolinea De Luca. Ad accogliere gli ospiti la sovrintendente Rosanna Purchia, “grata a Muti del regalo che ha fatto al teatro, un riconoscimento al lavoro fatto negli ultimi anni”. E il maestro alla fine è soddisfatto: “L’orchestra ha suonato bene, anche il coro è stato bravo, con la mia lettura si riallaccia il vecchio legame tra Napoli capitale del Sud e della musica e Vienna”.

Riccardo Muti. Un successo straordinario per lui la prima al San Carlo

Le quattro ore con un solo intervallo sembrano volare. Ed è un trionfo annunciato per il maestro tornato a dirigere un’opera nella sua città a trentaquattro anni da “Macbeth”. Un successo per la regia della figlia Chiara, per il cast, per il coro e l’ orchestra del teatro che escono vincenti dalla sfida. Gli applausi travolgono la Fiordiligi della soprano svedese Maria Bengtsson, la spigliata Dorabella di Paola Gardina, il severo Guglielmo di Alessio Arduini, il Ferrando del tenore russo Pavel Kolgatin, l’allegra Despina di Emmanuelle de Negri e il Don Alfonso del baritono siciliano Marco Filippo Romano, un personaggio chiave, motore di tutta la vicenda, che parte da una scommessa che l’ uomo fa con due militari a proposito della fedeltà delle rispettive fidanzate, due sorelle ferraresi che abitano in una villa affacciata sul golfo di Napoli. La città non si vede nello spettacolo, ma è continuamente evocata dalle note di Mozart.

 

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Cultura

Addio Sebastiao Salgado, fotografò l’anima della Terra

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Addio a Sebastião Salgado, il fotografo dell’anima della Terra, morto all’età di 81 anni a Parigi. “Attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, si è battuto senza tregua per un mondo più giusto, più umano e più ecologico”, sottolinea la famiglia. “Fotografo senza sosta in giro per il mondo”, Salgado ha “contratto una forma particolare di malaria nel 2010, in Indonesia, nell’ambito del suo progetto Genesis. Quindici anni più tardi, le complicazioni di questa malattia si sono trasformate in una severa leucemia, che ha avuto la meglio su di lui”.

“È morto uno dei più grandi fotografi al mondo, se non il più grande”, ha commentato il presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva, che gli ha subito dedicato un minuto di silenzio, ricordando come “Salgado non usasse solo gli occhi e la macchina fotografica per ritrarre le persone” ma “anche la pienezza del suo cuore”. Sabato scorso l’artista avrebbe dovuto partecipare all’inaugurazione delle vetrate disegnate dal figlio Rodrigo per una chiesa della città di Reims, ma già il giorno prima aveva annullato la sua partecipazione a un incontro con i giornalisti, per problemi di salute. Aveva dato forfait anche all’inaugurazione, al Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento, della mostra “Ghiacciai”, con 54 scatti quasi tutti inediti, che resterà aperta fino al 21 settembre. Nato nel 1944 nella cittadina di Aimorés, nell’interno di Minas Gerais, Salgado aveva studiato economia, campo in cui ottenne un master all’Università di San Paolo.

Attivista di sinistra, si era trasferito in Francia nel 1969, in fuga dalla dittatura. La notizia della sua morte è stata commentata anche dall’Istituto Terra, che l’intellettuale aveva fondato assieme alla moglie Lélia Wanick: “Sebastião ha seminato speranza dove c’era devastazione, ed ha fatto fiorire l’idea che il ripristino ambientale sia anche un profondo gesto d’amore per l’umanità”. Nel corso della sua carriera, iniziata nel 1973, il fotografo ha visitato più di 100 Paesi, tra cui l’Italia, per sviluppare i suoi progetti fotografici basati sulla cura della vita umana, della natura e del lavoro. Nel 1993, Salgado ha iniziato un viaggio fotografico, fisico ed esistenziale attraverso la galassia delle migrazioni e in sei anni, viaggiando in quattro continenti e producendo opere sfociate nella mostra “Exodus – Umanità in movimento”, 180 scatti per diverse sezioni geopolitiche, che raccontano la realtà dei campi profughi.

In Amazzonia Salgado ha vissuto con 12 gruppi indigeni e ha trasformato le sue foto in un messaggio globale per mostrare la potenza della natura, ma anche la sua fragilità, e per mettere in guardia l’umanità sui pericoli della distruzione dell’ecosistema. Il suo lavoro ha portato anche alla splendida mostra “Amazônia”, che immortala la ricchezza e la varietà della foresta pluviale e lo stile di vita delle popolazioni locali. Nel 2014, il documentario “Il sale della terra”, co-diretto dal regista tedesco Wim Wenders e da Juliano Ribeiro Salgado, figlio di Sebastião, ha vinto un premio al Festival di Cannes ed è stato candidato all’Oscar. In un’intervista rilasciata di recente alla stampa internazionale a Londra, l’artista aveva dichiarato che l’unica cosa che gli restava da fare era morire, dopo aver annunciato il suo ritiro dal lavoro sul campo nel 2024. “Ora devo solo morire. Ho avuto una carriera di 50 anni e ho 80 anni. Sono più vicino alla morte che a qualsiasi altra cosa. Una persona vive al massimo 90 anni. Quindi non sono lontano”.

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Cultura

Massimo Osanna: “Io, archeologo cresciuto tra le necropoli. E non ditemi che in Italia i gay sono ancora discriminati”

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Un sorriso aperto, un tono colloquiale e diretto, una passione contagiosa per l’archeologia e per la cultura. Così si presenta Massimo Osanna, professore ordinario alla Federico II di Napoli, direttore generale dei musei nazionali e, per sette anni, anima e mente del rilancio del Parco archeologico di Pompei. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, racconta la sua infanzia “tra le necropoli”, il suo lavoro e la sua vita personale con naturalezza e ironia, smontando con leggerezza pregiudizi e cliché.

Necropoli come luna park

Osanna è nato a Venosa, in provincia di Potenza, un paese dove storia e archeologia sono parte del paesaggio quotidiano: “Ci giocavo da bambino, ci sono le catacombe e le rovine della Venusia romana e medievale”. Un imprinting naturale per chi, come lui, sarebbe poi diventato uno dei volti più noti dell’archeologia italiana. “Una volta trovammo un teschio e lo tenemmo come un giocattolo. All’epoca non sapevo cosa fosse, ma ha segnato la mia vita”.

Da Pompei al PNRR

Nel 2020, in piena pandemia, è stato nominato direttore dei musei nazionali italiani. “Visitavo i musei da solo, vuoti. Un privilegio assoluto”. Oggi coordina un sistema vastissimo: circa 500 musei nazionali e migliaia di realtà culturali pubbliche e private. Ma con un obiettivo chiaro: l’accessibilità. “Stiamo abbattendo le barriere fisiche, ma anche quelle cognitive: semplificare i linguaggi, avvicinare il patrimonio a tutti, dai bambini alle persone con disabilità, ai visitatori stranieri”. Fiore all’occhiello: l’app “Musei italiani”, pensata per offrire uno strumento inclusivo a portata di smartphone.

MASSIMO OSANNA DIRETTORE GENERALE DEI MUSEI

L’eredità di Pompei

Sette anni meravigliosi”, ricorda parlando del suo incarico a Pompei, segnato dall’arrivo dei fondi del Grande Progetto Pompei. “Abbiamo aperto venticinque domus. È stato un grande lavoro di squadra, anche grazie al generale Giovanni Nistri”. Le case Championnet, la Venere in Conchiglia, la domus dei Vettii: “Pompei mi è rimasta nel cuore”.

L’amore e il matrimonio con Gianluca

Dal cuore di Pompei a Villa Lysis a Capri, dove nel 2022 Osanna ha sposato il compagno Gianluca: “È il mondano della coppia, dalla mia parte solo accademici. La cerimonia è stata complicata, ma bellissima”. Il regista Paolo Sorrentino ha celebrato l’unione con un’omelia ironica e commovente, Valeria Golino era la testimone (almeno nel matrimonio simbolico precedente a Paros, andato… non benissimo).

“Non ho mai subìto discriminazioni, ma non vale”

Parlando della sua identità e della visibilità come uomo gay, Osanna è netto: “Nessuno mi ha mai fatto sentire diverso. Ma non si può usare la mia esperienza personale per negare le discriminazioni”. La sua domanda è provocatoria e lucida: “Davvero in Italia ci sono ancora discriminazioni contro i gay?”. Una provocazione che è anche uno stimolo alla riflessione.

(le foto sono di Imagoeconomica)

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Cultura

Bocconi prima università italiana ad adottare l’AI di OpenAI: via alla trasformazione digitale

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Un assistente AI per studenti e professori, strumenti evoluti per la ricerca e la didattica, applicazioni intelligenti nel cuore delle scienze sociali. L’Università Bocconi di Milano è la prima università italiana ad adottare le soluzioni di intelligenza artificiale di OpenAI, avviando una trasformazione profonda nel modo di studiare, insegnare e fare ricerca.

L’annuncio arriva in seguito alla firma di un accordo strategico con OpenAI, la società statunitense leader globale nel settore. L’intesa prevede un accesso equo e sicuro alle tecnologie di AI più avanzate per tutti i membri della comunità Bocconi, composta da oltre 17.000 persone.

AI per la didattica e la formazione personalizzata

«Abbiamo già da tempo investito sull’intelligenza artificiale», spiega il rettore Francesco Billari (foto Imagoeconomica in evidenza). «Negli ultimi cinque anni abbiamo lanciato nuovi corsi e laboratori dedicati. L’alleanza con OpenAI ci consente ora di alzare l’asticella nell’applicazione quotidiana dell’AI a didattica e ricerca».

Tra le prime novità, l’introduzione di un AI Assistant per aiutare gli studenti nella raccolta di fonti, nella sintesi degli appunti, nella preparazione delle lezioni e nello studio individuale. Uno strumento pensato per rendere l’apprendimento più interattivo, autonomo e profondo.

Ricerca potenziata e agenti intelligenti

Sul fronte della ricerca, l’obiettivo è ambizioso: sviluppare e applicare sistemi AI agentici, capaci di raggiungere autonomamente obiettivi specifici, simulare comportamenti, condurre esperimenti, generare dati e costruire modelli teorici. Un vero salto di paradigma per le scienze economiche, giuridiche, manageriali e di policy.

Una delle frontiere più interessanti sarà la misurazione concettuale da dati non strutturati: testi, video e altri contenuti verranno analizzati per quantificare concetti astratti, come tratti psicologici, stili comunicativi o narrazioni collettive. «È una fusione tra dati qualitativi e quantitativi resa possibile dall’AI», precisa Billari. «Un’evoluzione che promette di accelerare radicalmente i tempi di analisi».

Un nuovo prorettore per la transizione digitale

Per guidare questa trasformazione, l’ateneo ha nominato il professor Dirk Hovy – esperto in linguaggio naturale e scienze computazionali – prorettore per la Trasformazione digitale e l’Intelligenza artificiale. Sarà lui a coordinare l’implementazione delle tecnologie in tutte le aree dell’università.

Bocconi tiene anche a chiarire che la proprietà intellettuale dei dati resta all’ateneo, a tutela del lavoro di studenti, ricercatori e docenti.

Una scelta strategica per l’internazionalizzazione

La partnership con OpenAI rappresenta un ulteriore tassello della strategia di crescita e internazionalizzazione dell’università: «Nel 2025 contiamo di chiudere con circa il 60% delle domande di iscrizione provenienti dall’estero», conclude il rettore Billari. «L’intelligenza artificiale rafforza il nostro ruolo come polo di innovazione accademica nelle scienze sociali a livello globale».

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