Collegati con noi

Cronache

Inchiesta choc sul “Chimaera”, il batterio killer che potrebbe aver infettato migliaia di malati passati per le sale operatorie

Pubblicato

del

Quarantamila procedure di circolazione extracorporea in un anno. In un anno nelle strutture sanitarie italiane abbiamo usato la macchina cuore-polmone  ovvero il dispositivo biomedicale  che garantisce la sopravvivenza dei pazienti chirurgici sostituendo temporaneamente le funzioni cardio-polmonari. Si tratta in generale di una sorta di terza circolazione che funziona artificialmente durante l’intervento chirurgico aspirando il sangue prima che arrivi al cuore destro, cioè dalla vena cava superiore e da quella inferiore (sangue desaturato), convogliandolo attraverso cannule e tubi in un ossigenatore e reimmettendolo poi nel sistema arterioso del paziente. 

Ebbene queste 40mila procedure eseguite in Italia, che hanno salvato 40mila volte un essere umano, sono state quasi tutte compiute con lo stesso dispositivo. Ne sono 218 installati questi dispostivi negli ospedali italiani e potrebbero aver sì salvato migliaia di persone ma anche  provocato l’ infezione da batterio “chimaera”, spiegano al ministero della Salute. Ecco perché i pazienti vivi che sono passati attraverso questa procedura riceveranno a casa una comunicazione delle autorità sanitarie per essere  avvertiti, in caso di febbre anomala, di contattare il medico di base.

C’è grande preoccupazione rispetto al batterio che si annida nelle macchine per la circolazione extracorporea. Anche perchè il rischio è la morte se non individuata in tempo la causa. Nel mondo si contano, a giudicare dai numeri della letteratura medica,185 decessi. Dieci di questi in Italia (8 in Veneto e 2 in Emilia Romagna).

Le segnalazioni della presenza del batterio negli apparecchi elettromedicali in uso presso gli ospedali d’Italia però aumentano. Ed aumentano in ragione dei controlli che il Ministero della Salute ha chiesto alle Asl di far eseguire dopo alcune morte sospette in Veneto ed Emilia. Nelle prossime settimane i dati possono crescere esponenzialmente, perché tutte le Regioni sono state richiamate dal ministero a indagare nei propri database per vedere se vi siano casi sospetti. Finora poche hanno presentato i risultati, ma il ministero è pronto a sollecitarle per stringere i tempi.


Soltanto allora potremo sapere quante vittime ha fatto e rischia di fare il batterio. Decine di migliaia di persone potrebbero essere entrate in contatto con il chimaera: 40 mila l’anno dal 2011, quando il fenomeno venne per la prima volta segnalato: “Il guaio è che questo batterio si manifesta dopo un periodo che va da 17 mesi a cinque anni”, spiegano al ministero dove un gruppo di lavoro monitora la situazione.

L’ opinione pubblica, però, è venuta a conoscenza della minaccia del chimaera soltanto pochi giorni fa. Il 2 novembre scorso, infatti, a Vicenza è morto il dottor Paolo Demo, 66 anni. Parliamo di un noto e stimato anestesista che nel 2016 era stato operato a cuore aperto per la sostituzione di una valvola aortica.

Proprio nell’ospedale dove lavorava, il San Bortolo di Vicenza. Demo, purtroppo, in quell’occasione fu infettato dal batterio che nelle forme più gravi può essere mortale. Fu lui a scoprirlo e a raccogliere, nonostante il male che lo consumava, un dossier. Un pesante atto d’accusa che subito dopo la morte i suoi familiari hanno presentato alla Procura di Vicenza, che ha cominciato le indagini. E subito sono emersi altri casi su cui indagare: 8 decessi e 18 pazienti contagiati.

Advertisement

Cronache

Carcere Lager Beccaria, la Procura di Milano: sulle torture omissioni dai vertici

Pubblicato

del

Una struttura senza alcun controllo interno, nella quale quel “sistema consolidato” negli anni di pestaggi e torture su ragazzi di 16 e 17 anni con storie problematiche, tra disagio, reati e tossicodipendenza, aveva preso piede indisturbato, almeno fino a qualche mese fa con l’arrivo del nuovo direttore al carcere minorile Beccaria. E’ lo scenario inquietante che viene a galla non solo dagli atti della Procura di Milano, nell’inchiesta che ha portato in carcere 13 agenti della Penitenziaria e alla sospensione di otto colleghi, ma dalle stesse parole degli arrestati nei primi interrogatori.

Il “metodo di violenze” attuato al Beccaria, scrivono l’aggiunto Letizia Mannella e i pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, “ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali”. Tra questi viene citato l’ex comandante della Polizia penitenziaria Francesco Ferone, ieri sospeso e accusato di falso nelle relazioni, “che ha consapevolmente agevolato e rafforzato le determinazioni criminose dei suoi sottoposti”.

Per questo le indagini, condotte dalla Squadra mobile e dalla stessa Polizia penitenziaria, vanno avanti per accertare, sempre da testimonianze e segnalazioni, eventuali altri casi di abusi, ma pure sospette coperture e depistaggi nell’istituto in relazione all’operato degli agenti. Intanto, cinque arrestati su sei (uno si è avvalso della facoltà di non rispondere e gli altri saranno sentiti nei prossimi giorni), interrogati dal gip Stefania Donadeo, hanno detto di essersi sentiti “abbandonati a loro stessi”, “senza controlli gerarchici e anche aiuto da parte della struttura, incapaci di gestire le situazioni”. Hanno raccontato di essersi trovati a dover affrontare il rapporto coi ragazzi detenuti senza adeguata formazione, loro stessi giovani, tra i 25 e i 35 anni, di prima nomina e con scarsa esperienza. Nessun aiuto da superiori o da altre figure.

In certi casi avrebbero salvato vite intervenendo per tentativi di suicidio o incendi scoppiati. In altri, invece, sarebbe loro partita la mano come reazione violenta. Nella carte, nel frattempo, si trova uno scambio di mail del gennaio 2023 tra la mamma di un detenuto e l’allora direttrice facente funzione Maria Vittoria Menenti. La madre, dopo aver visto in videochiamata il figlio con “segni di percosse sul viso”, aveva segnalato l’episodio alla direzione. Otto giorni più tardi Menenti le aveva risposto rassicurandola “sull’adozione delle procedure previste nel caso specifico”.

Lo stesso ragazzo, mettendo a verbale l’aggressione subita il 22 dicembre 2022 da tre agenti, ha dichiarato che “mentre si trovava steso a terra davanti all’ufficio del capoposto, ancora ammanettato e sanguinante in volto”, era intervenuta l’allora direttrice “che intimava agli assistenti di togliergli le manette” e “disponeva l’invio in infermeria”. Gli agenti, scrivono i pm, “interrompevano il violento pestaggio solo per l’arrivo della direttrice”, la quale “vedeva il detenuto a terra sanguinante”. Menenti avrebbe preso parte anche al colloquio di un altro ragazzo “con il comandante e la psicologa” su presunte violenze del 18 dicembre 2022. Lo scorso dicembre si è insediato il nuovo direttore Claudio Ferrari, il quale, secondo le parole intercettate degli indagati, non avrebbe più dato “protezione” agli agenti. Nel marzo scorso, quando i vertici avevano deciso infatti di acquisire le telecamere interne, c’era preoccupazione tra i poliziotti, perché “le immagini sono veramente disastrose (…) Non solo schiaffi, calci, pugni…quello a terra”. In un altro dialogo captato una agente diceva ad un collega, ora in carcere, di mettere “un po’ di ghiaccio” sulla mano.

L’altro poco prima le aveva raccontato di aver “battezzato” un ragazzo che faceva “il bulletto”, di averlo colpito tanto forte da farsi male. E mentre dalle opposizioni sono arrivate richieste al ministro Nordio di riferire in Parlamento, il Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Antonio Sangermano, si è recato oggi al Beccaria con i propri funzionari per ascoltare vertici, personale della struttura e giovani detenuti e stilare una relazione ispettiva. Altre ispezioni avevano già evidenziato anche la “omessa vigilanza da parte del personale rispetto a plurimi episodi violenti anche di natura sessuale accaduti fra i detenuti”.

Continua a leggere

Cronache

Ventenne denuncia, stuprata e drogata da due uomini

Pubblicato

del

Violentata da due uomini in un appartamento alla periferia di Roma dopo essere stata adescata su Instagram. E’ l’incubo vissuto una ragazza romana di 20 anni. La giovane ha presentato denuncia nei giorni scorsi ai poliziotti del commissariato Casilino e sulla vicenda sono subito scattate le indagini. La violenza si sarebbe consumata la settimana scorsa, precisamente il 17 aprile. L’allarme è arrivato il giorno dopo quando il fidanzato, preoccupato perché non riusciva a rintracciarla, è riuscito a localizzarla attraverso il cellulare. L’ha rintracciata davanti a un bar in zona Torre Angela, alla periferia est di Roma.

Quando l’ha raggiunta la giovane era sconvolta, in stato di shock. E’ stata visitata in ospedale e dimessa dai medici con una prognosi di 40 giorni. La ventenne avrebbe raccontato agli investigatori di aver conosciuto i due ragazzi, forse nordafricani, sul social e di aver accettato di incontrarli per un aperitivo. Dopo aver bevuto qualcosa insieme in un locale quei due ragazzi si sarebbero offerti di darle un passaggio fino alla fermata della metropolitana che doveva prendere per tornare a casa. Ma le cose sarebbero andate diversamente. Invece di fermare l’auto davanti alla stazione della metro più vicina si sarebbero diretti in un appartamento alla periferia della città.

Qui sarebbe iniziato un vero e proprio incubo per lei: l’avrebbero narcotizzata e poi l’avrebbero stuprata. Dopo aver raccolto la denuncia la polizia ha avviato le prime indagini. Sono in corso accertamenti da parte degli investigatori per ricostruire con esattezza quello che è accaduto e risalire ai due ragazzi descritti dalla giovane. Sotto la lente, in queste ore, la piattaforma social per individuare chi c’è dietro al profilo utilizzato per dare appuntamento alla vittima e per dare un nome e un volto ai due ragazzi accusati dalla ragazza della violenza. E solo pochi giorni fa nella capitale un’altra giovanissima aveva denunciato di essere stata narcotizzata all’interno di un campo nomadi. Lo scorso 11 aprile una quattordicenne fu soccorsa, in stato confusionale, da una pattuglia della polizia locale nel campo di via Salone dove vive con la famiglia. Raccontò di essere stata drogata nei giorni precedenti all’interno dell’insediamento.

Continua a leggere

Cronache

Caso Ferragni-Balocco, per il tribunale hanno ragione i consumatori: fu pratica scorretta

Pubblicato

del

La prima sezione civile del Tribunale di Torino ha emesso una sentenza significativa riguardante il caso Balocco, il ruolo di Chiara Ferragni, che hanno attirato l’attenzione nazionale. Il tribunale ha accolto il ricorso presentato da diverse associazioni, tra cui il Codacons, Utenti dei servizi radiotelevisivi e Adusbef, contro la campagna di beneficenza condotta dall’industria dolciaria Balocco. La campagna in questione era stata realizzata attraverso la vendita di pandori griffati dall’influencer Chiara Ferragni, a favore di un ospedale torinese.

La giudice Gabriella Ratti ha emesso una dichiarazione che conferma le accuse mosse dalle associazioni ricorrenti. Secondo quanto riportato dalle associazioni stesse, la sentenza ha accertato la pratica commerciale scorretta messa in atto dall’azienda Balocco. Inoltre, ha evidenziato l’ingannevolezza dei messaggi diffusi al pubblico riguardo alla natura benefica della campagna associata alla vendita del prodotto.

Questa sentenza rappresenta un importante punto di svolta nel panorama delle pratiche commerciali e delle campagne di beneficenza condotte dalle aziende. Mette in luce la necessità di maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle imprese nell’affrontare iniziative di questo tipo. La decisione del tribunale di Torino sottolinea l’importanza di verificare attentamente le pratiche di marketing e di beneficenza per garantire che siano etiche e rispettose dei consumatori.

Il caso Balocco ha suscitato un dibattito su scala nazionale riguardo alla relazione tra marketing, beneficenza e trasparenza aziendale. È probabile che questa sentenza abbia un impatto significativo sul modo in cui le aziende progettano e promuovono le loro campagne di responsabilità sociale d’impresa, mettendo in evidenza la necessità di una maggiore chiarezza e autenticità nelle loro iniziative benefiche

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto