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Cronache

Il senatore Occhiuto racconta il figlio Francesco, la sua battaglia interiore e il dramma della salute mentale

L’intervista al Corriere della Sera: “Aveva tutto, ma lottava in silenzio. La salute mentale è ancora un tema marginale”.

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Un lungo post di dolore e amore per ricordare Francesco Occhiuto, il figlio di 30 anni, psicologo, scomparso sei giorni fa dopo essere precipitato dalla finestra della sua abitazione. Il senatore di Forza Italia Mario Occhiuto ha voluto condividere il ritratto di un figlio brillante e sensibile, che ha combattuto una battaglia interiore senza far trapelare nulla.

Una battaglia silenziosa: il peso invisibile del disagio mentale

Senatore, perché Francesco ha lottato in solitudine contro il suo dramma umano?
“Francesco era un ragazzo straordinario: dolce, brillante, sensibile. Aveva tutto: una famiglia che lo amava, una carriera avviata, tanti sogni da realizzare. Eppure, dentro di sé, portava un peso che nessuno poteva davvero vedere”.

Quando ha colto i primi segnali del suo disagio?
“Nel tempo. Una volta mi disse: ‘Papà, io sogno a occhi aperti e immagino di essere un supereroe’. La presi come una fantasia giovanile, gli dissi che lo facevo anche io da ragazzo. Ma per lui non era un semplice gioco della mente, era qualcosa che scavava più in profondità. Studiava psicologia, leggeva moltissimo, cercava risposte dentro sé stesso. Voleva capire, aiutare. Forse anche salvarsi”.

Da psicologo, gli è stato difficile comprendere sé stesso?
“Sì. Secondo me conoscere la mente umana non significa automaticamente sapersi salvare. Capire gli altri è più semplice che guardarsi dentro”.

Il talento, la passione per la psicologia e il tormento interiore

Francesco si era laureato con il massimo dei voti. Il suo talento non lo ha aiutato?
“Si è laureato a Bologna e aveva superato l’esame di abilitazione con il massimo dei voti. Da poco aveva ottenuto un contratto di ricerca all’Università di Roma. Ogni traguardo era una vittoria contro la sua fatica interiore”.

Ma non è bastato a superare il suo dramma?
“Aveva una mente brillante, ma anche affollata di pensieri. Mi diceva che spesso faticava a concentrarsi, che il controllo della sua mente lo assorbiva. Ma non si è mai fermato, ha sempre trovato la forza di andare avanti”.

Era consapevole della sua sofferenza?
“Sapeva di essere diverso. Un giorno mi confidò: ‘Papà, forse alcuni mi vedono distante, chiuso, ma nessuno immagina che il mio è un malessere interiore. Nessuno sa quanto sto lottando'”.

Non credeva nei farmaci?
“Non come unica soluzione. Diceva che la scienza aveva fatto progressi enormi per le malattie del corpo, ma ancora troppo poco, quasi niente, per quelle della mente. Credeva nella psicologia, nel potere dell’ascolto, nella terapia”.

L’ultima conversazione: una supplica a non perdere la speranza

L’ultima cosa che vi siete detti?
“Le ultime parole tra noi sono state una supplica a non perdere la speranza. Gli dicevo che il malessere che stava vivendo in questo momento era temporaneo e dovuto alla sospensione troppo veloce dei farmaci; che si sarebbe stabilizzato in pochi giorni, che i dottori dicevano che era solo questione di tempo”.

Ma lui non ci ha creduto?
“No. Lui non riusciva più a vedere via d’uscita. La crisi in atto aveva già strutturato un pensiero ossessivo. Le mie parole non lo hanno raggiunto, non sono riuscite a fargli vedere uno spiraglio di luce. E questa è la cosa più dura da accettare. Come può una persona così intelligente, così piena di sogni, essere travolta da un solo pensiero?”

“L’amore non basta”: la necessità di un sistema di sostegno per la salute mentale

La famiglia, l’amore, gli amici non sono sufficienti?
“Pensiamo sempre che l’amore di una famiglia basti. Ma la verità è che, a volte, non è sufficiente. L’affetto, la vicinanza, il supporto sono fondamentali, ma chi soffre di una fragilità mentale ha bisogno di molto di più: sistemi strutturati, reti di sostegno, di cure che non si attivino solo nell’emergenza. Oggi la salute mentale è ancora considerata un argomento marginale”.

Cosa si sente di dire ai genitori che si trovano in queste situazioni?
“Lottate per i vostri figli, ma non fatelo da soli”.

Un appello per la salute mentale: più sostegno, meno stigma

L’intervista al Corriere della Sera di Mario Occhiuto è un toccante appello a riconsiderare l’importanza della salute mentale, ancora oggi poco tutelata e spesso trattata come un tema secondario. Il senatore invita a rafforzare le reti di supporto, affinché chi soffre non sia lasciato solo nella sua battaglia.

La storia di Francesco Occhiuto, brillante psicologo con il mondo davanti, è una tragedia che deve far riflettere: la fragilità mentale non risparmia nessuno, nemmeno chi ha talento, affetti e prospettive.

L’augurio di Mario Occhiuto è che il dolore della sua famiglia possa servire a sensibilizzare l’opinione pubblica, affinché nessuno debba più lottare da solo.

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Cronache

Vincenzo Nibali: «Ero un carusu dannificu. La bici mi ha salvato dalla strada»

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Messina, la Sicilia, la fatica, la gloria. Vincenzo Nibali si racconta al Corriere della Sera, tra ricordi di un’infanzia ribelle, il riscatto sulla bicicletta e la consapevolezza maturata solo dopo il ritiro. Un’intervista intensa, autentica, a cuore aperto.

Una giovinezza a rischio: «Compagni con la pistola nello zaino»

«Ero un carusu dannificu», dice Nibali, usando l’espressione siciliana per “bambino disastroso”. Uno che attirava guai: sassate alle vetrate, petardi nelle cassette postali, motorini lanciati contro i muri. Una giovinezza vissuta in un quartiere difficile di Messina, dove alcuni compagni portavano la pistola a scuola. Nessuna mafia organizzata, ma il pizzo sì: «Colpì anche la cartoleria dei miei genitori».

La salvezza arriva su due ruote: «Sempre in salita, come da Messina»

La svolta arriva con la bici, a 12 anni, grazie al padre e ai suoi amici cicloturisti. Le prime gare, l’ammiraglia della Cicli Molonia, il traghetto per Villa San Giovanni che diventava un passaggio simbolico verso il sogno. A 15 anni vince a Siena e non torna più: «Mai avuto nostalgia. I miei genitori mi dissero: se ti impongono cose sbagliate torna, qui avrai sempre un lavoro. Mi ha aiutato a non cedere al doping».

L’ascesa, la gloria, il peso della vittoria

Nibali è uno dei pochi ciclisti ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri. Il Tour de France del 2014 è stato l’apice, ma anche l’inizio di un incubo: «Non potevamo camminare con la carrozzina di nostra figlia senza essere assaliti. Solo adesso che ho smesso, vivo davvero». E confessa: «Mai provato e mai pensato di doparmi. Ma ho pagato il sospetto solo perché vincevo ed ero italiano».

La caduta che fa crescere: l’Olimpiade sfumata

Nel 2016 era lanciato verso l’oro olimpico, ma cadde in curva. «Scelsi io di rischiare, e sbagliai. Nessuna scusa». Parla anche del secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, “scippato” da un dopato, ma senza rancore: «Non mi chiedo mai quanto ho perso per colpa del doping».

Il ritorno da turista: «Messina è ‘u megghiu postu nto munnu’»

Oggi Nibali è ambasciatore del Giro e padre presente. Ha visitato la Sicilia con le figlie per farla conoscere da turista: «Antonello da Messina, i templi di Agrigento, i boschi dei Peloritani… È il posto più bello del mondo». Un campione che, a distanza di anni, può guardarsi indietro con orgoglio: «A testa alta, sempre».

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Guerra dei cassonetti ai Parioli: scompaiono i bidoni davanti a casa Castellitto

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Nel quartiere elegante e silenzioso dei Parioli esplode una singolare guerra urbana, fatta di strisce gialle, rifiuti e cortili privati. Oggetto del contendere: un set di cassonetti della raccolta differenziata, misteriosamente spariti dalla carreggiata davanti alla villa dell’attore Sergio Castellitto.

I cassonetti finiscono nel cortile dell’attore

La miccia si accende nella notte tra il 20 e il 21 aprile. I bidoni che servivano i residenti della zona vengono spostati oltre il cancello della villa in cui vive Castellitto, allineati ordinatamente nel cortile. Una rimozione anomala che di fatto priva della raccolta l’intero isolato. Le strisce gialle, predisposte per accogliere i cassonetti, rimangono desolatamente vuote.

Secondo indiscrezioni, l’attore avrebbe più volte manifestato il suo malcontento per la presenza dei contenitori davanti all’ingresso della sua abitazione, considerandoli poco decorosi. I vicini, al contrario, li ritengono un servizio essenziale, invocandone semmai una manutenzione più frequente.

Denuncia in arrivo e reazione dei residenti

A seguito dell’episodio, il quartiere insorge. I residenti, costretti a girovagare per il quartiere con buste e cartoni, scattano foto e si interrogano sul destino dei contenitori. Tra loro anche il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, recentemente trasferitosi nella zona.

Dopo poche ore, i cassonetti scompaiono anche dalla visuale del villino: né davanti al cancello né sul marciapiede. Ma non vengono ricollocati nella loro sede originaria. La vicenda, lungi dal concludersi, potrebbe ora avere conseguenze legali.

Ama pronta a sporgere denuncia

La municipalizzata dei rifiuti, Ama (foto Imagoeconomica), non intende lasciar cadere il caso. I vertici dell’azienda starebbero preparando una denuncia ai carabinieri per la scomparsa dei contenitori. Anche l’assessore al Verde del Municipio, Rosario Fabiano, si è attivato per fare luce sull’accaduto.

Il comitato Le Muse: “I cassonetti tornino al loro posto”

Dal comitato di zona Le Muse l’appello è chiaro: «Speriamo che quei cassonetti tornino al più presto al loro posto. Sarebbe grave se così non fosse. Si tratta di oggetti che appartengono alla collettività, ricordiamolo».

Intanto, nel quartiere ovattato dei Parioli, il decoro urbano si trasforma in una guerra di nervi, tra privacy e servizio pubblico, in attesa che si ristabilisca un fragile equilibrio tra rifiuti e rispetto.

 

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La madre del 17enne condannato per l’omicidio di Santo Romano: «Non è lui l’autore dei post provocatori»

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Ha deciso di rivolgersi alla polizia postale la madre del 17enne condannato a 18 anni e 8 mesi per l’omicidio di Santo Romano, ucciso nella notte tra l’uno e il due novembre scorsi a San Sebastiano al Vesuvio. Lo fa per chiedere chiarezza su una vicenda che – a suo dire – rischia di danneggiare ulteriormente il figlio.

La denuncia: «Quei post non li ha scritti mio figlio»

«Mio figlio è detenuto ad Airola, non ha accesso ai social e non è stato mai segnalato per l’uso di telefoni cellulari in modo clandestino», spiega la donna, assistita dall’avvocato Luca Raviele. E chiarisce: «Non può essere lui l’autore dei messaggi comparsi in rete dopo la sentenza». Messaggi che – accompagnati da immagini del ragazzo risalenti a mesi fa – contengono frasi provocatorie e offensive, come: «Io 18 anni e 8 mesi me li faccio seduto su un cesso».

Una pioggia di messaggi offensivi

Quei post, circolati in modo virale sui social, hanno fatto riesplodere le tensioni tra i familiari delle due fazioni coinvolte nella tragica vicenda. E la madre del minore condannato prende le distanze: «Non c’entriamo nulla. Né io, né parenti o conoscenti abbiamo scritto o condiviso quei contenuti. Spero che la polizia postale indaghi per risalire ai veri responsabili».

La notte dell’omicidio: una lite per una scarpa sporca

Tutto è iniziato in piazza Capasso, cuore della movida di San Sebastiano. Un banale litigio per una scarpa pestata ha innescato lo scontro tra due gruppi di ragazzi. Dopo un primo alterco, la situazione sembrava rientrata, ma secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – anche grazie a un video – Santo Romano sarebbe tornato indietro rivolgendosi all’auto dove si trovava L.D.M. Un gesto, forse un lancio, e poi il dramma: due colpi di pistola al petto, esplosi dal 17enne. Santo muore sul colpo.

Un processo doloroso e una sentenza pesante

Martedì scorso è arrivata la condanna in primo grado: 18 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio, tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco. L’indagine è stata condotta dal pm Ettore La Ragione della Procura per i Minori. Una sentenza che ha alimentato il dolore dei familiari di Santo Romano, un ragazzo di 19 anni, portiere di una squadra di calcio, noto nel suo gruppo per essere sempre un paciere.

Il timore di nuove tensioni

I post emersi nelle ultime ore rischiano di avvelenare ulteriormente il clima. «Non voglio neanche ripetere il contenuto di certi messaggi – spiega la madre del ragazzo – sono offensivi, gratuiti, e danneggiano mio figlio. Non possiamo permettere che a una tragedia come questa si aggiungano nuove ingiustizie». Per questo è stata sporta una formale denuncia contro ignoti: sarà ora compito degli investigatori della polizia postale stabilire chi si nasconde dietro quegli account.

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