Il ministro Roberto Speranza, il prof Brusaferro, il dott. Miozzo, il dott. D’Amario erano a conoscenza del Piano Covid, degli scenari di previsione e della gravità della situazione e presero la decisione di segretare il piano per non allarmare l’opinione pubblica. Di queste circostante erano a conoscenza anche i vertici di Regione Lombardia. Nero su bianco lo scrive nella sua relazione, agli atti dell’inchiesta di Bergamo, Andrea Crisanti che parla di “responsabilità degli organi decisionali nazionali (Cts, ministero della Sanità e Presidenza del Consiglio) e di Regione Lombardia” nella mancata zona rossa in Val Seriana.
Crisanti, nel sostenere ciò, si riporta tra l’altro alle dichiarazioni spontanee rese da Claudio D’Amario, ex direttore generale della Prevenziona sanitaria del ministero e ora indagato, “che gettano luce sul processo decisionale che ha portato a ignorare il Piano pandemico nazionale”. Secondo la relazione “era l’unico documento operativo a disposizione che, sebbene non perfettamente allineato con le più recenti indicazioni di Oms conteneva ben dettagliate una serie di azioni (…) per contrastare la diffusione” del Covid. Crisanti, sempre proseguendo nella spiegazione del processo decisionale che portò a scartare il piano pandemico del 2006, ricorda che fu Silvio Brusaferro, alla guida del Iss e anche lui ora tra i 19 indagati, a proporre una “soluzione alternativa” e ipotizza che tale scelta sia stata fatta “dopo un’ attenta valutazione tecnico scientifica”. Ma lo stesso Brusaferro, quando venne sentito come teste dai pm bergamaschi, alla domanda “quando ha letto per la prima volta il piano pandemico del 2006?'”ha risposto: “nessuno lo ha mai portato alla mia attenzione. Ho letto, come presidente dell’Iss, per la prima volta il piano pandemico del 2006, nel maggio 2020”.
Nei giorni 27 e 28 febbraio 2020 “il Cts e il ministro Speranza hanno tutte le informazioni sulla progressione del contagio che dimostravano come lo scenario sul campo” fosse “di gran lunga peggiore di quello ritenuto catastrofico”. E le “informazioni sulla gravità della situazione” ad Alzano e Nembro furono oggetto di una riunione del Cts del 2 marzo “non verbalizzata ufficialmente” alla presenza “del ministro Speranza e del presidente Conte”. Speranza e Conte “raccontano alla Procura di Bergamo di essere venuti a conoscenza del caso di Alzano e Nembro rispettivamente” il 4 e il 5 marzo. Lo scrive Andrea Crisanti nella consulenza.
“La documentazione acquisita – scrive Crisanti – dimostra oltre ogni ragionevole dubbio di come il Cts, il Ministro Speranza e il Presidente Conte avessero a disposizione tutte le informazioni e gli strumenti per valutare la progressione del contagio e comprendere le conseguenze in termini di decessi”. E sulla base “delle previsioni dello scenario con Rt=2 il Cts stesso e il Ministro Speranza condivisero la decisione di secretare il Piano Covid”, elaborato dall’epidemiologo Stefano Merler, “per non allarmare l’opinione pubblica”. Sulla riunione del 2 marzo del Cts con Conte e Speranza, Crisanti scrive che “il Dott. Miozzo stende il verbale” che “non condivide con nessuno e rimane in suo possesso”. Nella consulenza viene riportato anche quel “modello matematico” con cui Crisanti ha stimato l’effetto che misure più restrittive e tempestive, come la zona rossa, avrebbero avuto “sulla diffusione del virus e della mortalità”. La zona rossa in Val Seriana, si legge, “al giorno 27 febbraio 2020 e al giorno 3 marzo 2020 avrebbe permesso di evitare, con una probabilità del 95%, rispettivamente 4148 e 2659 decessi”. Il 27 febbraio, secondo la consulenza, è la data in cui “il Cts e Regione Lombardia erano diventati consapevoli della gravità della situazione”. Anche il governatore lombardo Attilio Fontana e l’allora assessore Giulio Gallera erano “informati sulla previsione degli scenari e sulla decisione di segretare il piano Covid”. Sapevano, stando alla relazione, così come “gli organi decisionali nazionali”, che “al più tardi il 28 febbraio” l’indice di trasmissione aveva raggiunto e “superato il valore di due”. E la “diffusione del contagio non lasciava dubbi che le azioni intraprese non stavano avendo effetto”. E “ciononostante – scrive ancora il microbiologo – per 10 giorni non vengono prese azioni più restrittive”.
“Già dal giorno 12.02.2020”, ossia otto giorni prima di Paziente 1, i componenti “prima della della task force del ministero e poi del Cts, erano “consapevoli della difficoltà di reperire Dpi e materiali per la loro produzione” e quindi conoscevano “la situazione di vulnerabilità in cui si trovava l’Italia e del rischio a cui avrebbero esposto la popolazione e gli operatori sanitari non prendendo iniziative idonee”. Lo scrive il microbiologo Andrea Crisanti nella relazione agli atti dell’inchiesta sulla gestione del Covid in Val Seriana in cui tra gli indagati ci sono l’ex premier Conte, l’ex ministro Speranza e i suoi tecnici.
“Per 16 anni” ossia dal 2004 al 2020, non è “mai stata intrapresa una singola attività o progetto che avesse l’obiettivo di valutare lo stato di attuazione del Piano Pandemico Nazionale e/o di verificare lo stato di preparazione dell’Italia nei confronti del rischio pandemico”. Lo scrive il microbiologo Andrea Crisanti, in base ai dati raccolti, nella consulenza depositata nell’inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione della prima ondata di Covid in Val Seriana e nella quale tra i 19 indagati, ci sono l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex Ministro Roberto Speranza, i suoi tecnici e il governatore della Lombardia Attilio Fontana.