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I decreti che interessano a Salvini rimandati a dopo il voto, lungo colloquio Conte-Mattarella

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Quasi due ore di colloquio, per chiarirsi dopo le tensioni per come il Quirinale è stato trascinato nelle dinamiche interne al governo sul decreto sicurezza. Sergio Mattarella riceve a pranzo Giuseppe Conte. E dell’incontro, assai delicato a quattro giorni dal voto per le europee, trapela pochissimo. Il colloquio è stato “cordiale”, dicono le fonti ufficiali. Nulla di più. Ma da quanto raccontano fonti di maggioranza emerge il tentativo di riportare in un alveo istituzionale le intemerate della campagna elettorale. E inquadrare nello stesso alveo gli scenari del dopo. Si parla innanzitutto del decreto sicurezza di Salvini, al Quirinale. Il presidente della Repubblica ricorda al premier che, ferma restando l’interlocuzione informale tra gli uffici, il suo intervento sui testi normativi è successivo, in fase di emanazione o promulgazione. Dunque è improprio aver tirato in ballo il suo ruolo nel Consiglio dei ministri di lunedi’ notte.

Soprattutto in una fase cosi’ delicata della vita istituzionale, osservano in ambienti parlamentari, il Colle non puo’ essere “schierato” in favore di una parte. Quanto ai testi, i dubbi non sarebbero dissipati del tutto dalle correzioni apportate al decreto dal Viminale. Cosi’ come, ammettono negli ambienti governativi, restano problemi di coperture per il decreto famiglia di Di Maio. Meglio fermarsi e rinviare tutto a dopo le europee, e’ l’idea che – dopo il colloquio con Mattarella – Conte espone ai suoi vicepremier. Da lunedi’ gli equilibri nel governo dipenderanno dal risultato del voto ma il confronto non sara’ piu’ condizionato dalle esigenze della campagna elettorale. Non solo sulla sicurezza ma anche su un tema come l’Autonomia, avrebbe spiegato Conte al Colle, le pressioni della Lega sono state molto forti nelle ultime settimane, incuranti di dubbi giuridici e politici. Dal 27 maggio, osservano in ambienti pentastellati, queste pressioni rischiano di aumentare, se la Lega sara’ prima con largo distacco dai Cinque stelle. Il rischio e’ di arrivare a uno strappo nella maggioranza. Non e’ un mistero la pressione di una parte della Lega per rompere l’alleanza di governo. E anche di questo avrebbe ragionato Conte con Mattarella. Esaminando i prossimi appuntamenti e i diversi scenari politici e istituzionali, anche da un punto di vista procedurale, cui si puo’ andare incontro in caso di crisi. L’attenzione del Colle e’ centrata soprattutto sull’esigenza di tenere al riparo i conti pubblici. Questo fattore guidera’ tempi e modi di ogni eventuale scelta del presidente che certamente non entra nelle scelte strettamente politiche. Ma da mesi in ambienti del Quirinale si fa sapere che esaurita l’adrenalina da campagna elettorale andranno affrontati con realismo le scadenze economiche. E qui, con tutta probabilita’, Conte e Mattarella potrebbero aver esaminato il calendario. Estremamente complesso, come quello dell’anno precedente. Anche una eventuale crisi di governo, che certamente il presidente non caldeggia, si scontrerebbe con le vacanze estive e la successiva apertura della manovra.

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Il Pd volta pagina in Campania: Schlein prepara il dopo De Luca e lancia l’alleanza larga

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Al congresso nazionale del Psi a Napoli, la segretaria dem annuncia: “In Campania come a Napoli, via i personalismi. Il futuro è un centrosinistra unito, senza De Luca”.

«Il Pd non aspetta il 9 aprile, siamo già al lavoro per costruire una coalizione ampia per vincere le elezioni in Campania». Elly Schlein lo dice chiaro e forte, dal palco del congresso nazionale del Partito Socialista Italiano, riunito all’Hotel Ramada di Napoli. Non nomina mai Vincenzo De Luca, ma il riferimento è diretto. E la linea è tracciata: il tempo del presidente uscente è finito, almeno per il Partito Democratico.

«In Campania via i personalismi: come a Napoli»

Nel suo intervento, la segretaria dem ribadisce il modello da seguire: l’esperienza del Comune di Napoli con Gaetano Manfredi, presente in sala e visibilmente in sintonia con lei. «In Campania faremo come nel resto d’Italia – ha detto Schlein – cancellando i personalismi». Una frase che vale più di mille dichiarazioni: il Pd è già oltre De Luca, senza attendere la pronuncia della Consulta del 9 aprile sul terzo mandato.

Dialogo con gli alleati, riconoscendo i risultati

La segretaria fa però una distinzione netta: niente terzo mandato per De Luca, ma riconoscimento del lavoro svolto dalla Regione in questi anni. «Stiamo dialogando sui grandi temi per la Campania del futuro – ha spiegato – partendo anche dal buon lavoro fatto in campo sociale, culturale, infrastrutturale e sull’utilizzo dei fondi».

Maraio apre al centrosinistra, ma tiene socchiusa la porta

Prima di Schlein ha preso la parola il segretario nazionale del Psi Enzo Maraio, che ha confermato l’intenzione dei socialisti di far parte del progetto progressista in Campania: «Vogliamo costruire un centrosinistra vincente, in Campania e a livello nazionale». Maraio, però, non chiude del tutto a De Luca: «Noi aspettiamo il 9 aprile».

Manfredi in linea con il Pd: “Innovazione politica”

Dal palco anche Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, che ha accompagnato Schlein fin dall’ingresso in albergo: «In Campania vinceremo portando avanti l’innovazione politica sperimentata a Napoli». Nessuno scontro diretto con De Luca, neppure quando gli viene chiesto dei Campi Flegrei: «Non è tempo di polemiche», ha tagliato corto.

L’attacco alla destra e l’omaggio al riformismo

Schlein ha poi rivendicato i temi del lavoro e dell’antifascismo, ricevendo l’applauso più convinto: «A Pomigliano gli operai mi hanno raccontato che pagano tre volte il prezzo delle politiche di destra: sulle bollette, sull’inflazione e con la cassa integrazione». E rilancia: «Il Pd sta già lavorando alla costruzione dell’alleanza larga. I socialisti avranno un ruolo importante».

Il centrosinistra in Campania prende dunque una direzione chiara: ricostruzione politica, unità, e nessun passo indietro sul superamento della stagione De Luca.

 

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Politica

Marina Valensise: «Io, donna di destra, cresciuta tra libri e drammi antichi. La cultura non ha colore politico»

Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, la direttrice dell’Inda racconta la sua vita tra Roma, Parigi e Siracusa: l’infanzia nelle scuole delle suore, l’inizio con Ferrara al Foglio, l’impegno per la cultura italiana nel mondo.

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«Sono nata a Roma, da una famiglia di origine calabrese. Negli anni Settanta non era facile per una ragazza andare in una scuola pubblica, tra fascisti e comunisti. Così andai dalle suore del Sacro Cuore». Inizia così il racconto di Marina Valensise (foto Imagoeconomica in evidenza), 68 anni, intellettuale raffinata e oggi direttrice dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera.

Tre fratelli – Michele, ambasciatore; Herbert, ginecologo primario; Paolo, avvocato e docente – e un padre, Raffaele Valensise, tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, deputato e poi membro del Csm. Una famiglia benestante e profondamente di destra, in un mondo culturale storicamente segnato da egemonie opposte. Ma Marina ha costruito un percorso libero, intellettualmente autonomo, spiazzante.

La scialuppa corsara del Foglio

«Giuliano Ferrara l’ho conosciuto nel 1983, girava in Vespa con un cane lupo che lo seguiva. Era affabile, gentile, sapevamo che avrebbe fatto qualcosa di straordinario». Quando Ferrara fondò Il Foglio nel 1996, la chiamò: «Mi disse, “sto fondando un giornale di una sola pagina, vieni anche tu”». In redazione, un gruppo variegato: ex comunisti, ciellini, dandy, con un’unica bussola, la libertà di pensiero. Marina era l’unica donna. «Scrivevo di cultura. Ferrara disse: “Le recensioni vanno scritte così, dirette, immediate”».

«La cultura non appartiene né alla destra né alla sinistra»

«Un giornalista di Lotta Continua mi disse che il giornalismo era di sinistra, quindi non era per me. Ma se poi lo è stato, è grazie alla latitudine mentale di Ferrara». Marina rivendica la sua indipendenza: «La cultura non ha colore. È uno spazio di libertà. Indro Montanelli ci disse: “È il giornale che avrei voluto fare e non ci sono riuscito”».

Dalle suore del Sacro Cuore all’Istituto di Cultura di Parigi

«Papà, per proteggermi dal clima violento, mi mandò dalle suore. Lì nacque il mio amore per la cultura umanistica. Studiavo, non si faceva politica. Le suore conoscevano il greco alla perfezione». Dopo la laurea con Giovanni Macchia, approdò in Francia con una borsa di studio. Nel 2012 fu nominata direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi dal governo Monti: «Trovai una situazione raccapricciante. Resi quel luogo vivo, organizzai residenze per artisti, tra cui Beatrice Rana».

«La cultura è come la marmellata, va spalmata»

Valensise ha anche pubblicato un libro, La cultura è come la marmellata: «Era un motto del ’68: meno marmellata hai, più la mostri. Ma noi in Italia abbiamo così tanta cultura da non riuscire a tirarla fuori dai vasetti. Siamo una superpotenza culturale inconsapevole». A Siracusa, guida l’Inda con rigore e innovazione: «Faccio nuove traduzioni dei classici greci affidandole a grecisti di fama. Eschilo, Sofocle ed Euripide parlano ancora a noi. Abbiamo raggiunto 5 milioni di ricavi propri, il 70% del bilancio».

Una donna del Sud che ha fatto il giro del mondo

Non si è mai sposata. «Sono calabrese, mi sono presa piccole soddisfazioni etniche», sorride. «Ho tre fratelli, cinque nipoti, tre pronipoti». La sua visione? «La cultura greca è equilibrio, misura e libertà. Senza, resta solo violenza e onnipotenza».

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Prodi al Corriere della Sera: “Trump? Con quei dazi ci faremo la frittata. E sull’Europa l’Italia non conta più”

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L’ex premier demolisce la strategia americana di Donald Trump e l’isolamento italiano in Europa: “Non siamo più indispensabili. L’Europa va avanti senza di noi”

È un Romano Prodi (foto Imagoeconomica in evidenza) senza freni quello che, intervistato dal Corriere della Sera, lancia stoccate pesanti alla nuova amministrazione americana guidata da Donald Trump e alla confusione politica italiana, incapace – secondo lui – di incidere davvero in Europa. L’analisi dell’ex presidente della Commissione UE parte dal voto del Parlamento europeo sul piano di riarmo, passando per i dazi americani, l’immobilismo europeo sulla difesa comune, fino al rischio che l’Italia diventi uno Stato marginale in una nuova alleanza franco-tedesca con la Polonia.

“Io avrei votato sì al piano europeo: è l’America che oggi è miope”

Prodi non ha dubbi: l’Italia doveva votare compatta a favore del piano di difesa europeo. «Avrei votato sì», dice, criticando l’approccio dilatorio e sterile di alcuni leader UE. La formula “Readiness 2030” di Ursula von der Leyen? «Mi ha fatto sorridere… si continua con passi troppo prudenti».

Ma la bordata più potente è riservata a chi crede ancora nel mito della protezione americana, proprio mentre Trump annuncia nuovi dazi e impone la sua agenda commerciale senza curarsi degli alleati. «Il voto all’unanimità per la difesa si può superare, basta volerlo. Se Orbán vuole, si faccia il suo esercito coi pennacchi. Ma l’Europa deve andare avanti, anche a due velocità».

“Trump parla di deficit? Allora tratteniamo i nostri soldi”

L’ex premier affonda: «Trump parla sempre del deficit americano con l’Europa. Ma se sommiamo anche i servizi e i big data, siamo noi in passivo». E lancia una proposta provocatoria: “Tratteniamo i 300 miliardi di risparmi europei investiti nei fondi americani”. Altro che trattative: una vera rappresaglia finanziaria mascherata da autonomia strategica.

Sull’atteggiamento di Trump, Prodi ironizza: «Vogliamo forse dirgli: fai pure? Ci faremo la frittata con i dazi, ma non stando a guardare».

“Meloni non conta nulla a Washington, e in Europa non siamo più centrali”

Per Prodi, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non ha alcuna centralità nello scacchiere internazionale. «Tutti vanno a Washington, lei no. Così rischiamo di diventare Arlecchino servo di due padroni». Un tempo, secondo l’ex premier, l’Italia era pilastro dell’Europa, ora è un ospite tollerato. «Chirac mi diceva: non c’è Europa senza l’Italia. Purtroppo oggi non è più così».

Anche la visione sull’Unione europea è oggetto di critica: la Meloni, secondo Prodi, attacca il Manifesto di Ventotenesenza comprenderne il senso profondo, mentre in realtà «l’Europa è figlia tanto del sogno quanto del realismo, di Ventotene come di De Gasperi».

“Sulla pace in Ucraina? Trump e Putin non possono fallire. Ma la difesa comune avrebbe evitato l’invasione”

Sul conflitto ucraino, Prodi crede che un processo di pace ci sarà, per forza. «Trump e Putin non possono permettersi di fallire». Ma attacca: «Se avessimo avuto una difesa comune, l’Ucraina non sarebbe stata invasa». Quanto alla possibilità di inviare truppe europee per garantire un eventuale cessate il fuoco, Prodi critica l’idea che debbano essere solo truppe neutrali: «Inglesi e francesi dicono di essere pronti, tanto sanno che non lo faranno mai».

“In Italia ideologismi di destra e sinistra. E l’alternativa di governo non c’è”

Prodi fotografa l’Italia come un Paese spaccato, incapace di parlare con una sola voce sia sulla difesa sia sugli aiuti a Kiev. «A destra c’è il radicalismo dell’estrema destra. A sinistra lo stesso. È il ritorno degli ideologismi», dice. E aggiunge: «Questa destra vive perché la sinistra non è saggia».

Sul Partito Democratico evita il tema del congresso, ma ammette che “serve un’alleanza progressista che possa vincere”. Per ora, però, il governo resiste perché “esistono opposizioni ma non un’alternativa di governo”.

 

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