Collegati con noi

Cronache

I condoni edilizi e l’ipocrisia della politica che riversa su ischia le frustrazioni dell’abusivismo del Belpaese

Pubblicato

del

Viaggiano molto velocemente le norme previste dal Governo per accelerare le pratiche di condono edilizio là dove trattasi di opere condonabili ai sensi delle leggi vigenti pensate per i comuni dell’isola d’Ischia colpiti dal terremoto (Casamicciola, Lacco Ameno e Forio) e i Comuni terremotati del Centro Italia. La polemica mediatica per motivi che pochi apprezzano ma che sono semplici da capire siparla solo di Ischia ma la questione riguarda molti comuni terremotati dal 2016 ad oggi. Non si vara un nuovo condono edilizio ma si prova a semplificare quelli che già sono stati approvati. La polemica politica spicciola quotidiana però impone mediaticamente un argomento che non esiste: il condono a Ischia. In due parole (“condono” e “Ischia”) vengono riassunte due bugie e si commette una grave omissione. Le due bugie le abbiamo già chiarite. Non c’è un condono ma la semplificazione di norme in zone terremotate per consentire una rapida ricostruzione. E queste norme non interessano l’Isola d’ischia ma tre dei sei comuni dell’isola e tantissimi altri comuni del Centro Italia di cui nessuno parla. Veniamo all’omissione. Se è vero che queste norme varate dal Governo saranno approvate presto, è vero anche che poi il Parlamento smetterà i panni della finta litigiosità di queste settimane e nei mesi successivi si impegnerà ad estendere le norme per accelerare e definire le pratiche di condono edilizio nei comuni del Centro Italia e quelli terremotati dell’isola d’Ischia a tutti i comuni d’Italia. Perchè definire le pratiche di condono edilizio in Italia significa incassare oltre 10 miliardi di euro in oneri di urbanizzazione e oblazioni che da anni i comuni non possono incassare. E non si incassano perchè le vecchie norme espongono i sindaci a responsabilità penali solitarie enormi nel rilasciare concessioni edilizie in sanatoria. Quali che siano i nostri giudizi su questa delicata vicenda, i condoni (non solo edilizi) sarebbero da evitare perchè abbassano il livello di eticità di un Paese. Comunque sia, in Italia ne abbiamo fatti tre di condoni edilizi e non chiuderli, lasciarli aperti significa non voler chiudere questo capitolo doloroso del nostro Paese una volta e per sempre.

Terremoto. Norme per la ricostruzione post sisma non solo a Ischia ma anche in centro Italia dopo il sisma

Al primo condono edilizio varato doveva seguire l’istituzione di un “osservatorio” e norme inflessibili per reprimere sul nascere qualunque tentativo di commettere nuovi abusi edilizi. Il primo condono risale al 1985, era la Legge 47/85, fu la mamma (o la manna) di altri condoni che sarebbero arrivati. Perchè da quella legge in poi lo Stato italiano non ha mai dato l’impressione di voler fare sul serio nella difesa del territorio dallo scempio edilizio. Assieme al primo maxi-condono edilizio doveva infatti seguire la creazione di una  mappa delle costruzioni abusive sul nostro territorio. Nel 1985, erano i bei tempi del pentapartito (qualcuno ribattezzò la formula di Governo con l’appellativo più azzeccato di Pentaspartito) lo Stato, da una parte, chiudeva un occhio sulle costruzioni illegali realizzate fino a quel momento e, dall’altra, prendeva il solenne impegno di voltare pagina. E di cominciare a monitorare il fenomeno. Conoscere per demolire, insomma. Trentatré anni e tre condoni dopo l’Osservatorio è rimasto lettera morta.
Per provare a capirci qualcosa sullo scempio edilizio del territorio italiano (ad ogni latitudine) occorre spulciare dati credibili di istituti di ricerca privati.

Quello più attendibile e anche uno dei pochi, pluricitato dai media italiani, è il rapporto del Cresme (Centro di ricerche di mercato, servizi per chi opera nel mondo delle costruzioni e dell’edilizia) che calcola una media di 20mila nuovi abusi ogni anno.
Paradossalmente, l’unico censimento di una istituzione pubblica dell’abusivismo si deve al Fisco. In particolare all’operazione “Case fantasma”, realizzata tra il 2007 e il 2009. Sovrapponendo alle mappe catastali le fotografie aeree, sono venute fuori anomalie in oltre la metà delle particelle. Una fotografia sfocata, perché non tutte le anomalie possono essere ricondotte ad abusi veri e propri, ma certo è l’unica realizzata da una pubblica amministrazione. Eppure non c’è dubbio che una banca dati completa e aggiornata degli abusi sarebbe stata certamente utile. Per esempio per evitare tragedie come quelle siciliana di Casteldaccia, dove nove persone hanno perso la vita travolte dall’esondazione del fiume Milicia in una villetta risultata completamente abusiva che si trovava in una zona di inedificabilità assoluta .

Ogni tanto scatta quel barlume di intelligenza e fanno capolino i buoni propositi di monitorare il fenomeno. Ed accade, spesso, quando c’è la nuova sanatoria all’orizzonte. Sembra quasi una sorta di lavaggio della coscienza. Nel 2003 è accaduto. Anche allora c’era  un altro condono edilizio in arrivo. Il governo Berlusconi, dopo aver riaperto le sanatorie precedenti, era tornato a promettere un futuro pugno duro contro i nuovi abusi. Come avrebbero stroncato i prossimi abusi? Ma con gli stessi strumenti promessi e mai usati in precedenza. Con un censimento del patrimonio edilizio abusivo. La norma che modificava il Testo unico dell’ edilizia (articolo 41) recitava: “Entro il mese di dicembre di ogni anno il dirigente o il responsabile del servizio trasmette al prefetto l’elenco delle opere non sanabili”.
L’ obiettivo in questo caso era di attivare l’organo di Governo (il Prefetto) per la demolizione. Ma è finita male: stavolta per “colpa” della Corte costituzionale che ha bocciato la norma. Da allora, complice anche il riordino delle competenze urbanistiche tra Stato e Regioni, il monitoraggio centralizzato è rimasto affidato alle segnalazioni che i segretari comunali dovrebbero compilare mensilmente sugli abusi censiti dalla polizia giudiziaria. In teoria una massa enorme di dati: 12 rapporti l’anno per ognuno degli 8mila Comuni. Ma – anche ammettendo che tutti adempiano davvero – si tratta di un’arma spuntata in partenza: il ministero delle Infrastrutture ha chiesto l’invio in formato Pdf, “in assenza dell’operatività dell’Osservatorio” come spiega l’ultimo “Conto annuale” dove peraltro si sottolinea che i Comuni continuano a trasmettere “in maniera disordinatissima”.


A monitorare ci riprova la legge di Bilancio di quest’anno. Con una nuova “banca dati nazionale sull’abusivismo edilizio, di cui si avvalgono le amministrazioni statali, regionali e comunali nonché gli uffici giudiziari competenti”. Ma quasi un anno dopo l’annuncio di legge manca il decreto attuativo. Speriamo che il nuovo ministro Danilo Toninelli faccia seguire i fatti alle promesse.

Advertisement

Cronache

Dr. Aesthetic, bufera sulle presunte molestie estetiche: la class action dei deturpati

Pubblicato

del

Due procure, Napoli e Brindisi, stanno indagando per lesioni colpose su una serie di denunce contro un chirurgo estetico noto come Dr. Aesthetic Franco. Le accuse coinvolgono interventi di liposcultura, addominoplastica e mastoplastica, con settanta denunce già presentate e altrettante potenzialmente in arrivo. I pazienti lamentano gravi danni estetici e alla salute.

Antonio Francesco Franco, 30 anni, laureato in Romania e attivo come chirurgo estetico dal 2019 al 2024 in Campania e Puglia, è accusato di aver provocato gravi danni ai suoi pazienti. Le immagini e i referti raccolti dal medico legale Pasquale Bacco mostrano liposuzioni disastrose, cicatrici raccapriccianti e setticemie. Bacco riferisce di danni interni tra cui aderenze, evoluzioni fibrose, retrazioni muscolari, edemi incapsulati e infezioni, con una giovane paziente che rischia di non poter avere figli.

Dr. Aesthetic Franco, noto per i suoi saluti quotidiani ai 70.000 follower su Instagram, è sparito, probabilmente rifugiato a Dubai, dopo aver lamentato di essere “inseguito da falsità, diffamazione e calunnie”. Franco salutava i suoi follower con frasi come «Buongiornissimo a tutti, vi auguro una splendidissima giornata» e «Se volete essere operati, dovete pregare la Madonna che trovi un buco».

Daniela Sciarra, 48 anni, vittima di Franco, ha assunto il ruolo di capopopolo, convincendo decine di donne a denunciare il chirurgo e costringendo la Clinica Iatropolis di Caserta a licenziarlo. Daniela racconta di aver cercato di rimuovere una piega sulla pancia dovuta al cesareo e di essere rimasta devastata dall’intervento. Nonostante la vergogna iniziale, Daniela ha trovato la forza di denunciare dopo aver incontrato altre vittime e aver capito che la colpa non era loro.

L’inchiesta di “Zona Bianca” su Rete4 ha portato alla luce testimonianze sconvolgenti, come quella di una paziente che voleva operarsi alle gambe ma si è ritrovata con un intervento alle cosce, e quella di un’altra che afferma di essere stata anestetizzata contro la sua volontà. Daniela racconta: «In fase di visita, il dottor Franco era molto empatico. Diceva a tutte: sei la candidata perfetta per questo intervento. Era rassicurante quando ti visitava, poi, finiva di operarti e non ti salutava neanche. Io mi sono sentita guardata come se avesse finito di usare un giocattolo che non gli serviva più».

Le denunce sono state rese difficili anche dalla clausola che Franco faceva firmare ai pazienti, con una multa da 200.000 a un milione di euro per chi diffamava o calunniava il medico. Franco, attraverso il suo legale Tecla Sivo, ha dichiarato di non rilasciare interviste e di essere nullatenente in Italia. Tuttavia, il dottor Bacco continua a raccogliere prove per ripresentare le denunce respinte, come nel caso di Daniela, che ora respira male a causa di uno spostamento del diaframma che preme sui polmoni.

Questa vicenda evidenzia i pericoli delle operazioni estetiche non regolamentate e la necessità di una maggiore vigilanza sulle pratiche mediche, offrendo anche un potente esempio di coraggio e resilienza da parte delle vittime nel cercare giustizia.

Dr. Aesthetic, al secolo Antonio Francesco Franco, ha risposto alle accuse attraverso il suo legale, Tecla Sivo. Franco ha scelto di non rilasciare interviste dirette ma ha comunicato tramite il suo avvocato, invitando a «valutare un’altra e diversa verità» senza fornire ulteriori dettagli.

In un video pubblicato recentemente su YouTube, Franco ha lamentato di essere vittima di stalking e calunnie da parte dei media, raccontando che la pressione mediatica ha causato a sua moglie la perdita del bambino che aspettavano. Tuttavia, non ha affrontato direttamente le accuse di lesioni e danni estetici mosse contro di lui. Ha inoltre precisato di essere nullatenente in Italia, lasciando intendere che non avrebbe risorse economiche nel paese.

Nonostante queste dichiarazioni, Franco non ha fornito risposte concrete alle specifiche denunce di danni fisici ed estetici presentate dai suoi ex pazienti. Le sue comunicazioni finora si sono concentrate più sulle presunte ingiustizie che dice di subire piuttosto che sul contenuto delle accuse stesse.

Continua a leggere

Cronache

La rinascita di Anna, risarcita dalla scuola con 60mila euro: denunciate il bullismo senza paura

Pubblicato

del

Dopo anni di paura e sofferenza, Anna, una giovane di 20 anni, finalmente sorride. La sentenza della Corte d’appello dell’Aquila ha condannato la sua ex scuola per non aver vigilato su di lei, permettendo che subisse abusi, e le ha riconosciuto un risarcimento di 60 mila euro. Questo verdetto non solo le ha dato giustizia, ma l’ha anche resa una voce forte contro il bullismo.

Dal 2015, Anna ha sopportato gli insulti e le vessazioni di un compagno di classe. Aveva solo 12 anni e frequentava la seconda media a Pescara. “Mi diceva sei una ragazza sporca. Sei brutta, grassa…”, ricorda Anna. Le molestie avvenivano in classe, durante la ricreazione e nei corridoi. La situazione è diventata insostenibile, portandola a chiedersi cosa avesse di sbagliato.

Dopo anni di sofferenza, Anna ha deciso di denunciare. “Dopo anni di sopportazione sono implosa. Non dormivo più la notte. Fino a quel momento avevo sperato di non dover chiedere aiuto. Mi ripetevo che sarebbe finito tutto. Bastava stare in silenzio. Invece continuava. Ogni giorno era peggio”. Alla fine, dopo l’ennesimo insulto, ha buttato i libri per terra e si è precipitata dal preside per confessare quanto stava subendo.

Anna ha cercato rifugio in presidenza con l’unica amica che aveva. La situazione l’aveva fatta perdere 20 chili e costretta a cambiare scuola, perdendo l’anno scolastico. “Avevo tutta la classe contro, mi sentivo lo zimbello di tutti. Ho pensato che i miei genitori non mi avrebbero creduto. Mi pesava il giudizio di chiunque avessi attorno. Avevo paura. Delle conseguenze. Delle ritorsioni. Non uscivo più. Non dormivo”.

Ci sono voluti otto anni di udienze, portate avanti grazie all’avvocato Giacomo Cecchinelli di Pescara, per ottenere giustizia. “Per capire di non avere colpe ci ho messo tempo. Ho dovuto imparare a chiedere aiuto. Ai miei genitori. Agli psicologi. E ho capito che non ero io sbagliata”.

Nonostante le sue segnalazioni, i professori avevano minimizzato il problema. Anche quando il bullo era stato sospeso per sette giorni, al suo ritorno aveva ricominciato. Gli insegnanti avevano sempre negato ogni cosa.

Oggi, Anna è una ragazza che ha superato ogni trauma. “Ho messo un punto a tutto. La sentenza mi ha aiutata. A chi subisce bullismo dico: denunciate senza paura. Non vergognatevi di chiedere aiuto. Sbaglia chi bullizza, non chi è vittima”.

Il coraggio di Anna nel denunciare e la sua lotta per la giustizia offrono un potente esempio per chiunque subisca bullismo. Il suo messaggio è chiaro: non abbiate paura di parlare e di chiedere aiuto. La giustizia può arrivare, e la vita può migliorare.

Continua a leggere

Cronache

Mafia e droga tra Roma e la Calabria, 9 arresti

Pubblicato

del

Gli agenti della Polizia di Stato della Squadra Mobile della Questura di Roma hanno dato esecuzione all’Ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 9 persone, di cui 6 romani, 2 della provincia di Reggio Calabria e un cittadino di origini romene, tutte già note alle forze di polizia e facenti parte di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti nel territorio capitolino, con base operativa nella zona nord di Roma e con contatti con gruppi criminali in Calabria.

Per 7 è stata disposta la custodia cautelare in carcere, per uno gli arresti domiciliari e per il nono è stato previsto l’obbligo di dimora. Il gruppo criminale, organizzato in maniera verticistica, provvedeva all’approvvigionamento e alla distribuzione di cocaina, hashish e marijuana a Roma, riciclando i proventi dell’attività delittuosa in una struttura ricettiva alle porte di Roma. Il capo dell’organizzazione, un 36 enne romano, già ai domiciliari, si avvaleva della collaborazione della propria compagna per mettersi in contatto con i sodali e impartiva loro disposizioni, impiegandoli per i trasporti di stupefacente dalla Calabria alla Capitale e per le successive cessioni. Le indagini, avviate a giugno 2021 e condotte, col coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, fino ad agosto 2022, hanno consentito di individuare le figure di rilievo dell’organizzazione e di sequestrare, in diverse occasioni, oltre 100 kg di stupefacente tra cocaina, hashish e marijuana, nonostante gli indagati abbiano dimostrato grande abilità nell’eludere i controlli e i monitoraggi da parte delle forze dell’ordine con l’uso di apparati telefonici criptati.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto