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Politica

Global Compact, scontro Lega-M5S sull’accordo per le migrazioni Onu. Salvini: Italia non firmerà. Conte: non è così, decide il Parlamento

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Il “Global compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare”  è argomento di scontro tra Lega e 5 Stelle. Il Movimento è favorevole all’adesione all’accordo Onu – il prossimo 10 e 11 dicembre a Marrakesh – e la Lega di Salvini ostile. Il fatto è che il presidente Conte lo scorso 26 settembre a New York si era espresso favorevolmente al Compact. E lo stesso aveva fatto, a più riprese, il ministro degli Esteri Enzo Moavero. Matteo Salvini, invece, sostiene che il Governo italiano non sarà in Marocco e troverà un accordo con il M5S.
Dopo un  confronto duro che si è svolto martedì sera tra il presidente del Consiglio e i suoi due vice, il punto di caduta è stato espresso ieri dallo stesso Salvini: “Il governo del cambiamento lascia che siano i cittadini a decidere tramite i loro parlamentari. Più bello di così, piu trasparente e democratico di così non so cosa ci possa essere”. Per poi mettere le mani avanti: “Anche questa volta non riusciranno a farci litigare con i 5 stelle. Troveremo un accordo”. Insomma, la questione arriverà alle Aule.

“Sul Global compact – dice Conte, la cui dichiarazione viene preannunciata con una buona dose di scortesia personale e istituzionale da Salvini un’ora prima – non ho cambiato idea, è compatibile con la nostra strategia multilivello. Ho convocato un vertice con i ministri e abbiamo convenuto dopo una serena, franca valutazione delle rispettive opinioni, che su una prospettiva del genere è giusto un confronto parlamentare”.

In gergo politichese “franca valutazione” vuole significare che lo scontro c’è stato ed è stato anche forte. C’è chi parla di “lite” tra Conte e Salvini.
Resta da capire quando la decisione approderà alle Camere. E che cosa accadrà: al di là dell’intenzione di una parte della maggioranza di prendere tempo, non è affatto detto che i parlamentari degli altri gruppi si lascino sfuggire la ghiotta occasione di lasciare la Lega isolata in aula.

E se Salvini annuncia che il governo in ogni caso non sarà alla conferenza di Marrakesh, il gruppo europeo dei 5 stelle parteciperà in ogni caso con una delegazione guidata da Laura Ferrara.

Peraltro, già ieri gli eurogruppi di Lega e Movimento a Bruxelles hanno votato in maniera opposta: il primo contrario a inserire il dibattito sul Compact già oggi, il secondo favorevole. E così, il piano dell’ Onu rischia di diventare un innesco di tensioni anche tra gli stellati.

A peggiorare il clima, il fatto che la Lega abbia votato contro alla risoluzione dei Fratelli d’Italia che chiedeva un netto no all’ accordo Onu. Giorgia Meloni ha così preso la via della piazza con un flash mob di fronte a Palazzo Chigi. Per dire che “se adesso cambia politica sugli immigrati, direi che è il caso di tornare a votare”. Nel suo partito, c’ è anche chi fa considerazioni più insidiose: “Se adesso sono i 5 stelle a dettare la linea anche sull’immigrazione, tutto diventa davvero difficile”. Anche perché la Lega ha già votato contro altri provvedimenti proposti da FdI, dal reato di integralismo islamico alla polizia piazzata fuori dai campi nomadi. E così, la grana rovina ai leghisti l’entusiasmo per la trasformazione in legge del decreto Sicurezza.

Durissime le prese di posizione dem. Per il capogruppo Graziano Delrio “il vero presidente del Consiglio è Salvini che ha smentito il ministro degli Esteri e il premier.

È un cambio di posizione che fa ulteriormente perdere credibilità all’ Italia”. Mentre Laura Boldrini (Leu) osserva che “il Global compact, il cui esito non è vincolante, vuole solo essere un forum per trovare soluzioni. L’Italia si lamenta sempre di essere lasciata sola: ma quando c’è l’ occasione, non va all’incontro”.

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Lo scetticismo di Meloni, Mosca risponda chiaramente

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Da una parte c’è la “propaganda” russa, dall’altra la volontà di Kiev di chiudere il conflitto. Giorgia Meloni propone un netto distinguo tra le due parti, una “responsabile della guerra” e l’altra “certamente a favore della pace”, come “dimostra” anche il fatto che Volodymir Zelensky sia pronto a incontrare a Istanbul Vladimir Putin. Uno scenario di fronte al quale la premier sollecita “una chiara risposta” di Mosca alla proposta di cessate il fuoco, e garantisce sostegno all’Ucraina “fino alla fine”. Sulle mosse del presidente russo, però, c’è scetticismo, a Roma come nelle capitali del formato Weimar+ che si è riunito a Londra a livello di ministri degli Esteri. L’opinione diffusa, nella riunione a cui hanno partecipato Antonio Tajani e gli omologhi di Gb, Germania, Francia, Polonia, Spagna e Ue, è che l’apertura di Putin a trattative dirette con Zelensky sia una mossa tattica di fronte alla maggiore attenzione mostrata da Washington ai punti di vista degli alleati europei e di Zelensky.

In quest’ottica Meloni ha esortato la Russia a “una chiara risposta”, approfittando delle dichiarazioni alla stampa al termine del vertice intergovernativo Italia-Grecia, assieme a Kyriakos Mitsotakis. Un appuntamento in cui sono stati siglati memorandum e dichiarazioni, 14 in tutto: dalle reti ferroviarie (in arrivo 760 milioni di investimenti sulla rete greca con l’accordo fra Fs e il governo di Atene) alle interconnessioni elettriche (Terna realizzerà con la greca Ipto una nuova interconnessione, accordo da circa 2 miliardi), dalla lotta alla droga alla Protezione civile. Tra gli annunci della speaker e le strette di mano, la cerimonia è durata una decina di minuti, al termine dei quali la premier, tra una smorfia di impazienza e un sorriso, ha allargato le braccia, come a dire “ora basta…”. Poi ha preso la parola per indicare i vari temi condivisi tra i governi di “due nazioni senza le quali l’idea stessa di Occidente che conosciamo non esisterebbe”.

A partire dal sostegno all’Ucraina. Nelle stesse ore Emmanuel Macron annunciava ad horas nuovi colloqui “con Zelensky e i miei colleghi europei”. Non è chiaro se si sia trattato di una call o solo di una serie di telefonate a due. Comunque nulla di questo dovrebbe essere entrato nell’agenda di Meloni, che sabato in occasione dell’appuntamento dei Volenterosi a Kiev ha partecipato solo in videocollegamento. Sulle trattative tra Ucraina e Russia “l’Europa deve parlare con una voce sola”, è la linea espressa da Tajani, che dopo Londra è volato a Verona per il quarto evento preparatorio della Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, in programma a Roma il 10-11 luglio. Nel governo sperano che nelle prossime settimane si creino le condizioni per parlare concretamente di pace in quell’occasione. “L’Italia – ha aggiunto Meloni – ribadisce il sostegno agli sforzi per una pace giusta e duratura, che non può prescindere da garanzie di sicurezza efficaci per Kiev”.

Un obiettivo che non appare ancora a portata di mano. Per dirla con il ministro degli Esteri, “tutta la responsabilità oggi è nelle mani di Putin”. La crisi ucraina potrebbe finire anche al centro del primo incontro fra Meloni e il nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz, tra i leader attesi nel fine settimana a Roma per l’intronizzazione del Papa. Gaza dovrebbe essere invece al centro di alcune delle interrogazioni delle opposizioni a cui la presidente del Consiglio dovrà rispondere mercoledì alla Camera per il premier question time (riarmo, sanità e referendum fra gli altri temi attesi). Intanto, dopo il vertice con la Grecia a Villa Pamphilj, Meloni ha ribadito il sostegno alla mediazione dei Paesi arabi e definendo “molto importante la missione di Trump nella regione. Penso che dagli Stati Uniti possa arrivare un impulso decisivo”.

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De Luca all’attacco: “I ciucci non possono dirigere la Campania”. Nuova frattura con Pd e M5s

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“I ciucci non possono dirigere una regione come la Campania”. Vincenzo De Luca non usa mezzi termini e, nel giorno del giuramento di Ippocrate dei nuovi medici, affonda con parole durissime contro i vertici della sua stessa coalizione. Dopo il no della Consulta al terzo mandato, il presidente campano si dice deciso a non accettare un candidato non gradito scelto da Pd e M5s. Sullo sfondo c’è il nome di Roberto Fico, sempre più accreditato per guidare la coalizione progressista.

Conte e Ruotolo replicano: “Non decide una sola persona”

La replica non tarda. Da Roma Giuseppe Conte interviene a gamba tesa: “Il Movimento sta dando una grossa mano per costruire un programma che risponda ai bisogni dei campani. Dopo verrà scelto l’interprete, ma saranno tutti i territori a decidere, non una singola persona”. Il messaggio è chiaro: l’era De Luca è chiusa, e il futuro passa da una nuova leadership condivisa.

Anche Sandro Ruotolo, della segreteria Pd, prende posizione: “Io ciucci non ne vedo. Noi siamo pronti a costruire il futuro. Ricordo a De Luca che l’avversario si chiama Meloni, non i suoi alleati”.

Il centrodestra: “La Campania non è un feudo”

Dal canto suo, il centrodestra coglie l’occasione per attaccare: “La Campania non è un feudo personale di De Luca”. Parole che risuonano come benzina sul fuoco in un clima già incandescente. La sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato l’ipotesi di un terzo mandato ha lasciato in eredità una frattura profonda nel centrosinistra regionale.

L’ombra di Fico e la strategia di Manfredi

Nel frattempo, Roberto Fico prosegue il suo attivismo in Campania, spesso affiancato da esponenti del Pd e dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, figura centrale del cosiddetto campo largo. Una presenza che De Luca mal digerisce, come dimostrano i ripetuti attacchi a “politici politicanti”, “analfabeti” e “molluschi”.

“A Napoli e in Campania nessuno è in vendita”, ha ribadito oggi il presidente ai giovani medici. “Se vogliono farci tornare nella palude da cui siamo usciti, mi devono uccidere”.

Le ipotesi in campo: Bonavitacola, Fortini o lo strappo?

De Luca vorrebbe come successore un nome a lui vicino, come Fulvio Bonavitacola o Lucia Fortini, ma Pd e M5s non ci stanno. Il presidente potrebbe allora scegliere di candidarsi come capolista, facendo pesare il proprio consenso in sede di trattative, oppure puntare su una candidatura alternativa, anche fuori dal centrosinistra.

La risposta è attesa nelle prossime settimane. Ma una cosa è certa: il clima nel centrosinistra campano si fa sempre più infuocato.

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Cronache

Il Tar obbliga l’Università Federico II a chiarire il caso Manfredi. De Magistris: serve trasparenza

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Il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha accolto il ricorso dei consiglieri municipali Pino De Stasio, Thomas Straus e Carmine Stabile nei confronti dell’Università Federico II e dell’ex rettore Gaetano Manfredi, oggi sindaco di Napoli. I tre avevano richiesto l’accesso agli atti per sapere se l’Ateneo avesse avviato un procedimento disciplinare contro Manfredi dopo la sua condanna — con patteggiamento — da parte della Corte dei Conti per danno erariale pari a 210.000 euro, legato a consulenze ritenute illegittime.

La prima risposta dell’Università e l’intervento del Tar

Inizialmente l’Università Federico II aveva opposto un rifiuto alla richiesta, motivando la scelta con la tutela della privacy dell’ex rettore. Ma dopo la notifica del ricorso al Tar, l’Università ha rettificato la propria posizione, dichiarando semplicemente che non è stato adottato alcun procedimento disciplinare. Una risposta considerata insufficiente dai ricorrenti, che hanno chiesto al giudice amministrativo di imporre all’Ateneo una spiegazione più dettagliata.

De Magistris: “Serve trasparenza, l’opinione pubblica ha diritto di sapere”

L’ex sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha commentato la decisione del Tar sottolineando l’importanza di chiarire perché non è stata attivata alcuna iniziativa disciplinare nei confronti del professore Manfredi. «È doveroso che i cittadini sappiano — ha dichiarato — quali atti risultino nel fascicolo e per quale motivo nulla sia stato fatto di fronte a una indebita percezione di oltre 700.000 euro da parte di un docente che dovrebbe essere un esempio per gli studenti».

De Magistris ha anche sollevato interrogativi su eventuali conflitti di interesse: «Bisogna verificare chi ha erogato le consulenze in violazione di legge a Manfredi, e se questi soggetti abbiano rapporti anche con l’amministrazione comunale di Napoli».

Il precedente della Corte dei Conti e l’appello alla politica

Il caso è nato dalla condanna della Corte dei Conti nei confronti di Manfredi, che aveva patteggiato per un importo di 210.000 euro a fronte di consulenze ritenute non legittime. «Vediamo se anche la politica, quella che usa la questione morale in maniera strabica solo quando riguarda avversari, avrà il coraggio di battere un colpo», ha incalzato de Magistris.

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