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Francia verso una nuova crisi di governo: Bayrou senza maggioranza, Mélenchon chiede la destituzione di Macron

La Francia rischia una nuova crisi di governo: Bayrou in bilico sulla fiducia, Macron sotto attacco con Mélenchon che invoca la destituzione. Cresce la tensione sui mercati e sul debito pubblico.

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La Francia sembra avviarsi verso una nuova crisi di governo, con scenari potenzialmente peggiori di quelli del 2024, quando Emmanuel Macron decise di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni. A meno di due settimane dal voto di fiducia, il premier François Bayrou appare sempre più isolato.

Mélenchon al contrattacco, i socialisti staccano la spina

Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise, ha invocato apertamente la “destituzione” di Macron, agitandone lo spettro nell’opinione pubblica. Intanto, il Partito socialista – finora unico interlocutore possibile per il governo – sembra aver deciso di togliere il sostegno a Bayrou, lasciandolo senza numeri per reggere in Assemblea.

Il premier ha ribadito di aver scelto la sfida parlamentare solo per l’impossibilità di far passare il suo piano di rientro dal debito senza una fiducia politica, ma i numeri sono contro di lui.

Il peso della crisi sui mercati e sul debito pubblico

Il rischio politico ha avuto ripercussioni immediate sulla Borsa di Parigi, che ha perso l’1,70% con forti ribassi per i titoli bancari, già penalizzati dall’impennata dei tassi. La Francia, con un debito pubblico al 114% del Pil, è ora il terzo Paese più indebitato dell’Eurozona dopo Grecia e Italia.

Il ministro dell’Economia Eric Lombard ha lanciato l’allarme: “Scommetto che nelle prossime due settimane pagheremo per il nostro debito più dell’Italia”. Piazza Affari ha chiuso a sua volta in calo dell’1,32%, con lo spread Italia-Francia sceso ai minimi storici a 5,8 punti.

Verso la sfiducia l’8 settembre

Il piano di sacrifici da 44 miliardi di euro, che prevede un contributo straordinario da parte dei “super ricchi” e dei grandi ottimizzatori fiscali, non sembra sufficiente a convincere l’opinione pubblica né i partiti. Sui social, intanto, si moltiplicano gli appelli a un “blocco generale” delle attività dal 10 settembre, che i sindacati osservano con cautela ma senza escludere di sostenere.

Macron senza maggioranza, un presidente indebolito

L’attuale situazione affonda le radici nella scelta di Macron di sciogliere l’Assemblea nel giugno 2024, dopo la sconfitta elettorale che lo ha lasciato senza maggioranza. Da allora, i tentativi di governo sono falliti: prima Michel Barnier, durato poche settimane, poi Bayrou, che ha resistito sette mesi ma sembra ora prossimo alla fine.

Senza un colpo di scena, la Francia si avvia a vivere una crisi istituzionale senza precedenti nella Quinta Repubblica, con un presidente indebolito, un Parlamento diviso in tre blocchi e nessuna prospettiva di maggioranza stabile.

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Vanity Fair valuta Melania Trump in copertina, insorge la redazione: “Non normalizzeremo Trump”

Il nuovo direttore di Vanity Fair valuta una cover story su Melania Trump. La redazione insorge: “Non normalizzeremo Trump”. Fox chiede il licenziamento dei giornalisti dissidenti.

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La sospirata copertina di Vogue per Melania Trump resta lontana, ma il fronte di Condé Nast comincia a incrinarsi. Il nuovo direttore di Vanity Fair, Mark Guiducci, starebbe infatti valutando l’ipotesi di dedicare una cover story alla First Lady americana, ipotesi che ha già scatenato un acceso dibattito interno.

La rivolta della redazione

Secondo quanto riportato dal New York Post, molti giornalisti della redazione si opporrebbero fermamente alla scelta: “Non normalizzeremo questo despota e sua moglie. Ci batteremo”, ha dichiarato un redattore riferendosi a Donald Trump e alla moglie Melania. Un altro ha aggiunto: “Se Melania viene messa in copertina, metà della redazione incrocerà le braccia”.

La possibilità di una cover dedicata a Melania viene letta come un tentativo di Guiducci di differenziarsi dai suoi predecessori, in particolare da Radhika Jones, che non aveva mai concesso simili aperture al mondo Maga.

Le reazioni esterne: Fox contro i dissidenti

La polemica ha trovato eco anche su Fox and Friends, programma della rete di Rupert Murdoch vicino a Trump. Uno dei commentatori ha chiesto apertamente che lo staff di Vanity Fair pubblichi i nomi di chi si oppone, aggiungendo che “dovrebbero essere licenziati”.

Melania e il rapporto difficile con la stampa patinata

Durante il primo mandato presidenziale del marito, Melania Trump era stata di fatto esclusa dalle copertine di Vanity Faire Vogue, in netto contrasto con Michelle Obama, che in otto anni alla Casa Bianca è apparsa su Vogue per tre volte.

L’ex modella slovena ha spesso minimizzato il suo interesse per le copertine: “Ci sono stata già tante volte su Vogue. Ci sono cose molto più importanti da fare”, aveva dichiarato.

L’iniziativa sull’intelligenza artificiale

Parallelamente, Melania Trump ha lanciato una nuova iniziativa sull’intelligenza artificiale, con l’obiettivo di promuovere nelle scuole programmi che forniscano agli studenti gli strumenti per esplorare e innovare in questo settore.

La possibile copertina di Vanity Fair, tuttavia, rischia di diventare l’ennesimo terreno di scontro politico e culturale attorno alla figura della First Lady.

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Trump offre affari miliardari a Putin per la pace in Ucraina, ma cresce lo scetticismo negli Usa

Trump tenta la via degli affari miliardari per convincere Putin a fermare la guerra in Ucraina. Sul tavolo Exxon, Gnl e navi rompighiaccio. Ma negli Usa cresce lo scetticismo: “Serve massima pressione su Mosca”.

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Donald Trump sta cercando di usare la leva economica per convincere Vladimir Putin a firmare un accordo di pace sull’Ucraina. Secondo indiscrezioni rivelate da Reuters, il tycoon avrebbe messo sul tavolo una serie di proposte che includono accordi energetici e l’allentamento delle sanzioni, come incentivi per spingere il Cremlino a fermare le operazioni militari.

I progetti in discussione

Tra le ipotesi, il rientro di Exxon Mobil nel progetto Sakhalin-1, da cui era uscita nel 2022 dopo l’invasione russa, perdendo 4,6 miliardi di dollari. In ballo anche la possibilità per Mosca di acquistare attrezzature statunitensi per progetti di Gnl, come Arctic Lng 2, attualmente sotto sanzioni, e persino la vendita di rompighiaccio a propulsione nucleare russi agli Stati Uniti.

Questi temi sarebbero stati discussi nei colloqui a Mosca dell’inviato americano Steve Witkoff con Putin e il capo del fondo sovrano russo Kirill Dmitriev, e successivamente alla Casa Bianca.

L’obiettivo di Trump: risultato politico e geopolitico

Trump punta a presentarsi come l’uomo che ha tentato di fermare la guerra, usando promesse economiche accanto alla minaccia di nuove sanzioni. Al summit in Alaska del 15 agosto, lo stesso giorno in cui Putin firmava un decreto per riaprire agli investitori stranieri sul Sakhalin-1, l’ex presidente Usa sperava di annunciare un “grande accordo di investimento”.

La strategia si intreccia con obiettivi geopolitici più ampi: isolare la Russia dalla Cina, spingendo Mosca a rivolgersi a tecnologia statunitense, e preparare il terreno ai negoziati sul controllo degli armamenti nucleari in vista della scadenza del trattato New Start nel 2026.

Le critiche interne e lo scetticismo

La linea di Trump non convince tutti. Il Wall Street Journal, pur conservatore, lo ha attaccato duramente: “Il vertice in Alaska non ha prodotto nulla, se non un alleggerimento delle pressioni su Putin”. L’editoriale invita l’ex presidente a smettere di “prendere tempo” e a tornare alla strategia della “massima pressione”, l’unica in grado di costringere Mosca a fermarsi.

Secondo il quotidiano, il vero ostacolo alla pace resta chiaro: l’obiettivo di Putin di cancellare un’Ucraina indipendente e occidentale.

Trump tra pragmatismo e limiti politici

Trump può dire di aver tentato ogni strada per convincere Putin, ma senza garanzie di sicurezza per Kiev e con un Cremlino che continua a dettare condizioni, la via degli affari appare fragile. Se il suo obiettivo è presentarsi come il leader capace di porre fine al conflitto, la sfida decisiva sarà dimostrare che i costi per Mosca possono superare i benefici della guerra.

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Israele, proteste di piazza contro Netanyahu: governo avanti con l’offensiva su Gaza City

Mentre migliaia di manifestanti in Israele chiedono la fine della guerra e la liberazione degli ostaggi, il governo Netanyahu ribadisce la volontà di conquistare Gaza City. Sdegno internazionale per il raid sull’ospedale Nasser.

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Il fiume umano di manifestanti che anche oggi ha invaso le strade israeliane per chiedere la fine della guerra non ha modificato la linea del governo guidato da Benyamin Netanyahu. L’esecutivo resta determinato a proseguire l’offensiva di terra fino alla conquista di Gaza City, malgrado l’escalation di proteste e le crescenti pressioni internazionali.

Le proteste per la liberazione degli ostaggi

Le manifestazioni sono state indette dal Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi, che hanno chiesto con forza un accordo di tregua con Hamas e il ritorno a casa dei loro cari. Bloccate le principali arterie del Paese, con pneumatici incendiati e slogan contro il governo e i ministri dell’ultradestra.

A Gerusalemme, centinaia di persone hanno marciato verso l’ufficio del premier durante la riunione del gabinetto di sicurezza, scortate da agenti in tenuta antisommossa. Nessun incidente, ma grande tensione. Dopo tre ore di discussione, la riunione si è conclusa senza affrontare l’ultima proposta di tregua di Hamas.

Lo scandalo del raid sull’ospedale Nasser

Il governo è nella bufera dopo il bombardamento sull’ospedale Nasser di Khan Younis, costato la vita a 21 persone, tra cui cinque giornalisti e diversi soccorritori. L’Idf ha spiegato di aver colpito ritenendo che una telecamera sul tetto fosse usata da Hamas, ma si trattava di una postazione Reuters.

Il portavoce militare ha sostenuto che tra le vittime vi fossero sei miliziani di Hamas, inclusi partecipanti al massacro del 7 ottobre. Tuttavia, il capo di Stato maggiore ha chiesto nuove indagini per chiarire se l’operazione sia stata autorizzata dai vertici.

Le vittime a Gaza e il raid in Cisgiordania

Nelle ultime 24 ore sono stati registrati almeno 75 morti a Gaza, compresi 17 civili uccisi mentre cercavano cibo. L’attacco più grave a est di Gaza City ha colpito un mercato affollato, causando cinque vittime, tra cui due donne.

In Cisgiordania, un raid israeliano a centro città ha preso di mira un presunto sistema di finanziamento di Hamas: sequestrati fondi in un ufficio di cambio e arrestate cinque persone. La Mezzaluna Rossa denuncia 58 feriti, tra cui un ragazzo di 13 anni colpito all’addome e in condizioni critiche.

Netanyahu tra contestazioni e rigidità politica

Dopo la riunione, i ministri israeliani hanno partecipato a una cena di gala del Binyamin Regional Council, suscitando nuove contestazioni. “Celebrate mentre gli ostaggi muoiono di fame”, hanno gridato i manifestanti.

Nonostante lo sdegno internazionale e il clima di forte tensione interna, Netanyahu mantiene la linea dura: conquistare Gaza City e proseguire l’offensiva senza concessioni immediate a una tregua.

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