Le chiamano operazioni di “Alto Impatto”. Detta così non significa niente. In maniera più semplice è quando per ragioni di ordine e sicurezza pubblica si mandano in un quartiere 100, 200 pure 300 uomini in divisa (carabinieri, polizia, guardia di finanza) per esercitare una pressione psicologica e fisica asfissiante su criminalità organizzata e comune e per far capire ai cittadini che non ci credono più che lo Stato c’è.
Lo Stato esiste. All’alba una di queste operazioni Alto Impatto è andata in scena a Forcella, cuore del centro antico di Napoli, uno dei pochi casi in cui la periferia degradata e abbandonata di una metropoli la trovi dentro il centro storico: Non è la classica banlieù a chilometri di distanza dal centro. C’erano 200 poliziotti che hanno cinto di assedio il quartiere. C’erano volanti ovunque. Unità cinofile per ricerca droga e armi. Dall’alto volteggiava anche un elicottero. Sono state eseguite perquisizioni, controllate 300 persone, una 80ina delle quali con precedenti penali anche gravi. Multe e sequestri di moto perché o non c’erano coperture assicurative, o i centauri erano senza caschi o perché non era chiara la provenienza dei mezzi. Sono stati denunciate due persone per scommesse clandestine ed arrestati tal Ciro Prisco, 53 anni, colpito daun ordine di arresto perché deve scontare una condanna a 6 anni e 7 mesi di reclusione, e tal Massimiliano Foggia, per violazione della misuradegli arresti domiciliari. L’uomo doveva stare agli arresti in casa, se ne andava a zonzo per il quartiere. D’ora in avanti la sua casa sarà una cella. Ovviamente con tanta polizia in giro non c’erano bancarelle dei contrabbandieri. I pusher che vendono cocaina anche a domicilio hanno preso un giorno di vacanza.
Prostituzione più discreta. Niente merce contraffatta esposta. Da domani, quando la polizia tornerà in caserma o andrà altrove, si potrà tornare alla “normalità”. Serve a qualcosa questo sfoggio di muscoli da parte dello Stato che spedisce la polizia in un quartiere dove la regola è di norma la legge del più forte, cioè della camorra? Serve per la parte in cui c’è da far capire ai camorristi che se lo Stato vuole li può schiacciare in ogni momento. Il guaio però è che lo Stato in certi quartieri, non solo di Napoli ma di qualunque città dove si soffre per mancanza di lavoro, mancanza di istruzione, assenza di un sistema di welfare, ancora pensa di poter cambiare le cose con la polizia. Le forze dell’ordine sono importanti, certo, ma servono i maestri nelle scuole e soprattutto le risorse necessarie per cambiare le cose, per portare lavoro. Perché nessuno nasce criminale. E a Forcella non si fermano le stese delle baby gang con le stese della polizia. Che, per inciso, fa il suo dovere. Per loro dunque massimo rispetto. Per gli altri attori che rappresentano lo Stato, un meno.
Acquista online un pacco di figurine e gli spediscono anche eroina: è accaduto a Pompei. L’uomo -un professionista-quando ha visto quelle due buste contenti polvere bianca ha capito che qualcosa non andava ed ha avvisto i carabinieri, il carico di droga è stato sequestrato. Ma ecco come è andata: nel cuore della mattinata, un 43enne ha suonato alla porta della stazione dei Carabinieri.
Un professionista, incensurato, col volto pallido. Tra le mani una scatola imballata. Qualche giorno prima – ha raccontato ai militari – aveva acquistato su un portale online un box di 50 figurine di calciatori.
Quando si è ritrovato ad aprire il pacco non ha trovato solo i volti dei campioni del calcio. ma anche due buste di cellophane sigillate contenenti polvere bianca. Quella roba aveva un’aria sospetta. Così si è lanciato in auto fino ai Carabinieri, con la speranza di non essere fermato da qualche pattuglia durante il tragitto. Sapeva in cuor suo che la scusa dell’acquisto online non avrebbe retto e sarebbe sicuramente finito nei guai.
Ebbene, i militari hanno preso in consegna il pacco e analizzato la sostanza all’interno con un narcotest. Poteva essere bicarbonato o farina e invece era eroina. Pura. 180 grammi di stupefacente, un carico del valore di diverse migliaia di euro.
La droga è stata sequestrata ma continuano le indagini per risalire al “negoziante” sbadato. E soprattutto a quel pusher che dovrà attendere per riprendere la venduta.
Non è la prima volta che accade. Il 2023 era iniziato da pochi giorni quando un acquisto inaspettato si trasformò in un fenomeno mediatico. Un uomo acquistò sul web una scena campestre da aggiungere al presepe. Nel “pacco”, però, arrivò un carico di 10 chili di erba. Non quella per abbellire le rocce di Betlemme ma marijuana pronta per essere dosata e venduta.
Allo stupore per l’errore evidente, si aggiunse una domanda più che lecita: “Chi avrà ricevuto i due pastori invece del carico di droga?”
Era estate quando arrivò la telefonata che ogni cronista aspettava: la Dia, la Direzione investigativa antimafia di Napoli aveva arrestato Francesco Schiavone, detto Sandokan. Allora era il capo del clan dei Casalesi, una delle più potenti cosche criminali del Paese. Era un sabato, l’11 luglio del 1998.
Ero stata nel covo di Carmine Alfieri, nel Nolano, dove il boss della Nuova Famiglia viveva in un rifugio dove si accedeva attraverso una botola e conservava nel frigorifero babà e salmone, non potevo mancare di entrare nel bunker del boss a Casal di Principe. Con gli uomini della Dia, all’epoca dei fatti guidata da Francesco Cirillo (poi arrivato ai vertici della Polizia di Stato, vice capo della Polizia), arrivammo sul posto. Una delle tante case della zona di Casale. Viveva sotto terra il potente padrino dei Casalesi.
Bisognava infilarsi in un cunicolo e poi c’era una specie di “vagoncino” che viaggiava su binari: così si arrivava al nascondiglio segreto di Sandokan. Uno stanzone spoglio dove dipingeva soggetti sacri e guardava film come il Padrino di Francis Ford Coppola. Fu così che si scoprì che nell’Agro Aversano il boss e i suoi compari, ma anche i suoi familiari, utilizzavano cunicoli e botole per incontrarsi e parlarsi.
Altro che Gaza e Hamas di questi giorni, 30 anni fa, in quella zona tra il Napoletano e il Casertano, la mafia casalese realizzò decine di cunicoli sotto terra per nascondersi o per sfuggire alle retate.
Qualche volta sottoterra, qualche altra volta passavano attraverso i sottotetti: in moltissime abitazioni, anche di insospettabili incensurati sono stati trovati piccoli bunker, locali nascosti anche ad occhi più esperti. Intercapedini ricavate nei ripostigli nelle cucine dove trascorrevano la latitanza i boss e i gregari.
Francesco Schiavone detto Sandokan. È stato il primo padrino dei casalesi a manovrare sindaci e piegare istituzioni agli interessi del clan
Il pentimento di Francesco Schiavone è una vittoria dello Stato: a 70 anni, e dopo oltre un quarto di secolo in carcere, dopo la decisione di collaborare con la giustizia di due dei suoi figli, anche Sandokan, barba e capelli grigi, stanco e invecchiato, ha fatto il salto, confermato dalla Direzione Nazionale Antimafia. Adesso sarà interessante capire quello che potrà raccontare: dall’affare rifiuti che aveva il suo epicentro proprio nell’Agro Aversano ai collegamenti con gli imprenditori anche del Nord; dagli affari con i colletti bianchi, con i politici non solo locali (nel ’90 era stato arrestato a casa di un sindaco della zona) ai rapporti e alle connivenze in mezzo mondo, ed anche i collegamenti, veri o presunti, con i terroristi, quelli di Al Qaida e non solo.
Insomma potrebbe esserci un nuovo terremoto giudiziario se davvero decidesse di vuotare finalmente il sacco, senza se e senza ma, e questo anche se gli anni sono passati e di molte vicende si è ormai quasi perso il ricordo. Adesso bisognerà anche capire quali familiari andranno in località segrete: sua moglie Giuseppina, insegnante, per esempio lo seguirà?.
Il primo della famiglia a pentirsi fu suo cugino Carmine Schiavone: non dimenticherò mai la giornata trascorsa a girare per Casal di Principe per cercare di parlare con sua figlia che non aveva voluto seguire il padre, anzi. Pioveva, nessuno per strada, incontrai Giuseppina che aveva scritto una lettera a suo padre per dirgli la sua disapprovazione per aver deciso di collaborare con la giustizia. Non volle venire in macchina con me e la troupe e allora la seguimmo, un lungo giro fino a casa dove nonostante un piccolo camino acceso faceva tanto freddo. Quella storia era il fatto più importante del giorno: ci ‘aprimmo’ il TG5. Nulla faceva pensare che proprio Francesco Schiavone si sarebbe poi deciso a collaborare. Ma il clan è ormai decimato tra arresti e omicidi tra le fazioni, la lunga detenzione, un tumore diagnosticatogli alcuni anni fa, hanno probabilmente fiaccato il vecchio boss. E adesso tanti misteri forse potranno essere chiariti.
L’avvio del percorso di collaborazione da parte di Francesco Schiavone, soprannominato ‘Sandokan’, viene confermato dalla Direzione nazionale Antimafia. Secondo quanto si apprende la decisione sarebbe maturata nelle ultime settimane, durante le quali la Dna e la Dda di Napoli hanno svolto un lavoro con la massima discrezione. Schiavone è stato arrestato nel luglio del 1998 e da allora è recluso al regime del 41 bis. Anche due suoi figli, Nicola e Walter, hanno avviato alcuni anni fa lo stesso percorso ora intrapreso dal padre.
Schiavone fu arrestato nel 1998 e condannato all’ergastolo nel maxi processo Spartacus e per diversi omicidi; prima di lui hanno deciso di pentirsi il figlio primogenito Nicola, nel 2018, quindi nel 2021 il secondo figlio Walter. Restano in carcere gli altri figli Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine, mentre la moglie di Sandokan, Giuseppina Nappa, non è a Casal di Principe. La decisione di Sandokan potrebbe anche essere un messaggio a qualcuno a non provare a riorganizzare il clan, un modo per mettere una pietra tombale sulle aspirazioni di altri possibili successori. La collaborazione di Francesco Schiavone potrebbe far luce su alcuni misteri irrisolti, come l’uccisione in Brasile nel 1988 del fondatore del clan Antonio Bardellino, o sugli intrecci tra camorra e politica.
L’avvio del percorso di collaborazione da parte di Francesco Schiavone, soprannominato ‘Sandokan’, viene confermato dalla Direzione nazionale Antimafia. Secondo quanto si apprende la decisione sarebbe maturata nelle ultime settimane, durante le quali la Dna e la Dda di Napoli hanno svolto un lavoro con la massima discrezione. Schiavone è stato arrestato nel luglio del 1998 e da allora è recluso al regime del 41 bis. Anche due suoi figli, Nicola e Walter, hanno avviato alcuni anni fa lo stesso percorso ora intrapreso dal padre.