Non c’è pace per Facebook e per il suo dominus per Mark Zuckerberg. Facebook ha ammesso di aver scoperto all’inizio della settimana un attacco hacker che ha preso di mira circa 50 milioni di account, mettendo a rischio le informazioni personali degli utenti coinvolti. Nuovi guai per il big tech dei social media, già pesantemente chiamato in causa per lo scandalo della Cambridge Analytica e per le difficoltà incontrate nel contrastare i propalatori di fake news usando Fb soprattutto nei periodi in cui hanno interferito nelle elezioni politiche in America e in Europa.
Mark Zuckerberg. Il patron di Facebook
Gli hacker, la cui identità è sconosciuta, avrebbero sfruttato la falla nella funzione di un codice Facebook. Un bug che ha permesso di entrare nei profili di una larghissima fetta di utenti. In particolare la funzione ‘bucatà si chiama ‘View As’ ed è quella che permette agli utenti di vedere come il proprio profilo appare agli altri utenti. L’intrusione ha permesso agli hacker di avere accesso ai ‘token’, quelle chiavi digitali usate per restare sempre collegati alla piattaforma senza dover ogni volta digitare la password e che possono essere utilizzate anche per controllare gli account di altre persone. La falla comunque, assicura il colosso di Menlo Park, è stata riparata e i token dei 50 milioni di utenti colpiti sono stati resettati.
Come precauzione l’azienda ha resettato anche i token di altri 40 milioni di utenti considerati a rischio per aver usato la funzione ‘View As’ nell’ultimo anno. Nelle ultime ore quindi sono almeno 90 milioni gli utenti che hanno avuto problemi col proprio profilo, buttati fuori dal sistema e costretti a rientrare reinserendo username e password del proprio account. Facebook ha quindi spiegato di non conoscere l’origine e l’identità degli hacker e di non aver ancora finito il lavoro di valutazione per scoprire lo scopo dell’attacco e i danni che possono aver subito gli utenti che hanno visto violate le loro pagine Fb. Le indagini dell’azienda sono ancora ad uno stadio iniziale.
«È una situazione molto seria e la stiamo prendendo molto seriamente”, ha affermato Zuckerberg, già enormemente sotto pressione negli ultimi mesi. Tanto da essere stato costretto ad andare in Senato per spiegare il caso della società di raccolta dati Cambridge Analytica, quella che si era impossessata in maniera impropria delle informazioni di 87 milioni di utenti Facebook utilizzandole per scopi politici, a favore della campagna dell’allora candidato presidenziale Donald Trump. Ma il colosso dei social media ha dovuto anche affrontare le polemiche per non essere stato in grado di evitare e arginare l’azione della Russia sulla sua piattaforma volta a fare disinformazione, sopratutto alla vigilia delle presidenziali americane del 2016. E a Washington la creatura di Mark Zuckerberg è sempre più nel mirino di chi vuole regole più severe per regolamentare un social media cresciuto troppo e divenuto troppo potente, con una popolazione attiva sulla piattaforma di quasi 2,3 miliardi di utenti in tutto il mondo. Senza contare che il gruppo di Zuckerberg possiede anche il gigante della messaggistica WhatsApp, che conta altri due miliardi di utenti, e Instagram, la più popolare applicazione per la condivisione delle fotografie.
Tredici Paesi Ue, tra i quali anche l’Italia, chiedono “un quadro industriale e finanziario favorevole per i progetti nucleari”, promuovendo “la ricerca e l’innovazione in particolare per i piccoli reattori modulari e i reattori modulari avanzati”. Lo si legge in una nota congiunta diffusa da Parigi, a capo dell’alleanza sul nucleare, al termine di una riunione con la Commissione europea. Il documento è stato sottoscritto da Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia. L’Italia, insieme a Belgio e Paesi Bassi, ha firmato in qualità di Paese osservatore.
Intelligenza artificiale (AI) e realtà virtuale hanno permesso di vedere per la prima volta come l’embrione si sviluppa nell’utero durante la gravidanza, riproducendone l’ologramma in 3D. Pubblicato sulla rivista Human Reproduction, il risultato si deve al gruppo della ginecologa Melek Rousian, dell’Università di Rotterdam, nei Paesi Bassi, e indica che più lentamente avviene lo sviluppo embrionale, più aumenta il rischio di un aborto. Di conseguenza, la nuova tecnica fornisce un indicatore utile per prevedere se una gravidanza è a rischio, oppure se ha alte probabilità di concludersi con la nascita di un bambino.
“Abbiamo scoperto che, più è lungo il tempo che l’embrione impiega a svilupparsi, più aumenta il rischio di un aborto”, ha osservato Rousian, riferendosi alle osservazioni fatte con il suo gruppo sulle prime dieci settimane di gravidanza. I ricercatori hanno utilizzato le tecniche più avanzate della diagnosi per immagini e della realtà virtuale per ottenere ologrammi in 3D degli embrioni e in questo modo hanno potuto osservare con un dettaglio senza precedenti ogni fase dello sviluppo, compresa la formazione di braccia e gambe, il modo in cui si modella il cervello e hanno potuto anche misurare il volume e la lunghezza complessive dell’embrione. Grazie a queste nuove tecniche, rileva Rousian, in futuro sarà possibile stimare la probabilità che una gravidanza vada a termine e segnalare un eventuale rischio di aborto.
Nuova grana per Twitter nell’era di Musk. Parti del codice sorgente della piattaforma, il codice del computer su cui gira il social network, sono trapelate online, secondo un’azione legale intentata da Twitter. Lo scrive il New York Times, sottolineando che si tratta di una rara e importante esposizione di proprietà intellettuale, in un momento in cui la società fatica a ridurre i problemi tecnici e a risollevarsi dalle debacle commerciali sotto Elon Musk.
Venerdì Twitter si è mossa per rimuovere il codice trapelato inviando un avviso di violazione del copyright a GitHub, una piattaforma di collaborazione online per sviluppatori di software dove è stato postato il codice. GitHub ha rispettato la diffida e ha rimosso il codice il giorno stesso. Non è chiaro da quanto tempo il codice trapelato fosse online, ma sembra che fosse pubblico da almeno diversi mesi, anche se Twitter se ne sarebbe accorta solo recentemente.
La compagnia che cinguetta ha anche chiesto al tribunale distrettuale degli Stati Uniti del distretto settentrionale della California di ordinare a GitHub di identificare la persona che ha condiviso il codice e qualsiasi altra persona che lo ha scaricato. E ha avviato una indagine interna, dove si suppone che chiunque sia stato abbia già lasciato la società lo scorso anno, quando Musk ha lanciato licenziamenti di massa. Una delle preoccupazioni è che il codice, generalmente custodito nella massima segretezza, includa vulnerabilità di sicurezza che potrebbero fornire agli hacker o ad altre parti motivate i mezzi per estrarre i dati degli utenti o mandare in tilt il sito.