Collegati con noi

In Evidenza

Eleonora Evi lascia la guida dei Verdi: non sarò la marionetta del pinkwashing di un partito personale e patriarcale

Pubblicato

del

“Mi dimetto. Non sarò la marionetta del pinkwashing”. Lo scrive sui social la deputata di Avs Eleonora Evi, annunciando le dimissioni da coportavoce di Europa verde, un ruolo “ridotto a mera carica di facciata”, spiega. L’altro coportavoce è Angelo Bonelli, deputato di Avs. “Rassegno le mie dimissioni da Co-portavoce – spiega Evi – pur restando fermamente convinta della necessità di un progetto ecologista italiano coraggioso e contemporaneo, e non l’ennesimo partito personale e patriarcale”.

“Dopo le politiche 2022 – spiega Evi – qualcosa ha scatenato un corto circuito quasi indecifrabile. Improvvisamente i vecchi dirigenti hanno iniziato a fare muro contro di me, e questo perché avevo idee diverse e pretendevo, da Co-portavoce nazionale, di essere a conoscenza, ad esempio, delle decisioni politiche sulle liste, sulle alleanze e sulle strategie della campagna elettorale. I Verdi dopo una lunga assenza, tornano in Parlamento con una senatrice e sei tra deputate e deputati. Tra questi ultimi anche la sottoscritta. Da questo momento, quando ho espresso posizioni o visioni non allineate a quelle della dirigenza durante le riunioni della Direzione Nazionale e pubblicamente, sono stata accusata di ingratitudine nei confronti della famiglia verde che mi aveva accolta e offerto uno scranno in Parlamento”.

“Dunque, nel corso di questo ultimo anno, la mia figura è stata sempre più oscurata e così, di fatto, è stato annullato il ruolo della Co-portavoce femminile del partito, sul piano politico e comunicativo”.

 

ECCO IL LUNGO POST PUBBLICA SU FB CON UNA FOTO A CORREDO CHE SPIEGA FORSE PIU’ DI QUANTO L’ESPONENTE VERDE SCRIVA

Marionetta

Mi dimetto. Non sarò la marionetta del #pinkwashing
Quando fui eletta co-portavoce nazionale di Europa Verde a Chianciano, nell’estate del 2021, ero piena di entusiasmo e sinceramente convinta che avrei avuto la possibilità di collaborare concretamente a fondare un innovativo progetto ecologista, in grado di capitalizzare il patrimonio di capacità, competenze e contenuti dei Verdi Italiani e la resilienza di una comunità ambientalista che si era mostrata, meritoriamente, capace di superare moltissime complessità.
La casa ideale per una prospettiva politica orientata innanzitutto ad accompagnare le cittadine e i cittadini del nostro Paese verso una nuova e indifferibile consapevolezza della priorità della questione ecologica; e non secondariamente a promuovere un’offerta politica progressista, plurale, aperta e femminista.
Per perseguire questi obiettivi, credevo (e credo ancora) che un piccolo partito con una grande storia avesse bisogno innanzitutto di superare alcune resistenze al rinnovamento, di sollecitare la partecipazione attiva, sperimentare forme di presenza sui territori alternative all’adesione fideistica al partito, e che puntassero piuttosto al coinvolgimento di individui e comunità in un percorso di crescita condivisa.
Penso di aver dimostrato grande impegno ed entusiasmo, fin da subito, girando in lungo e in largo l’Italia per incontrare i gruppi locali, le associazioni e i comitati attivi sui territori. Mi sono resa disponibile, da europarlamentare, per dare visibilità e forza alle battaglie ambientaliste e sociali provenienti dai territori che ho visitato.
Ho dato energia e risorse ad un partito che sembrava dimenticato e nei limiti dell’umana (e politica) fallibilità che non risparmia nessuno di noi, posso dirmi certa di aver profuso il massimo dell’impegno, anche nel rendere visibile all’esterno la costruzione di questo percorso.
Eppure, a sorpresa, dopo le politiche 2022 qualcosa ha scatenato un corto circuito quasi indecifrabile.
I Verdi dopo una lunga assenza, tornano in Parlamento con una senatrice e sei tra deputate e deputati. Tra questi ultimi anche la sottoscritta.
Improvvisamente i vecchi dirigenti hanno iniziato a fare muro contro di me, e questo perché avevo idee diverse e pretendevo, da Co-portavoce nazionale, di essere a conoscenza, ad esempio, delle decisioni politiche sulle liste, sulle alleanze e sulle strategie della campagna elettorale.
Da questo momento, quando ho espresso posizioni o visioni non allineate a quelle della dirigenza durante le riunioni della Direzione Nazionale e pubblicamente, sono stata accusata di ingratitudine nei confronti della “famiglia verde” che mi aveva accolta e offerto uno scranno in Parlamento.
Idee, proposte o visioni alternative – quando non complementari! – a quelle dell’establishment del partito, infatti, generano nei suoi esponenti reazioni impreviste: ora chiusura, ora diffidenza o sospetto. Talvolta paternalistica e vuota condiscendenza. Non di rado livore, rivendicazione.
Per un partito che tra i suoi obiettivi ha quello di difendere la biodiversità, quale elemento preziosissimo per la stessa sopravvivenza del pianeta, è decisamente deludente constatare che questo valore non si riesca ad applicarlo all’interno del partito stesso, schiacciando e mortificando così una sana e costruttiva dialettica interna, anche e soprattutto quando questa prende forma da istanze territoriali.
Dunque, nel corso di questo ultimo anno, la mia figura è stata sempre più oscurata e così, di fatto, è stato annullato il ruolo della Co-portavoce femminile del partito, sul piano politico e comunicativo.
Poco importerebbe lo scavalcamento sistematico della mia figura se questo non fosse il segno e solo uno tra le numerose espressioni sintomatiche della deriva autoritaria e autarchica del partito, come accaduto quando il Consiglio Federale Nazionale, organo per Statuto dotato di poteri di indirizzo politico, è stato chiamato di fatto a ratificare scelte già prese in altre sedi e annunciate a mezzo stampa. O ancora, la richiesta da me più volte reiterata di avere informazioni sullo stato di salute del partito (tesseramenti, federazioni attive, commissariamenti, ecc.) ottenendo risposte parziali o nulle.
Non intendo dunque continuare a ricoprire il ruolo di Co-portavoce femminile che, nei fatti, è ridotto a mera carica di facciata.
Per questo rassegno le mie dimissioni da Co-portavoce pur restando fermamente convinta della necessità di un progetto ecologista italiano coraggioso e contemporaneo, e non l’ennesimo partito personale e patriarcale.

 

Advertisement

Esteri

Hitler, uno studio genetico rivela che soffriva della sindrome di Kallmann: sviluppo sessuale inibito

Uno studio sul Dna di Adolf Hitler rivela che il dittatore tedesco soffriva della sindrome di Kallmann, una malattia genetica che avrebbe compromesso lo sviluppo sessuale. La ricerca della genetista Turi King accende nuove discussioni sulla psiche del Führer.

Pubblicato

del

Adolf Hitler avrebbe sofferto della sindrome di Kallmann, una rara malattia genetica che ostacola lo sviluppo della pubertà e influisce sulle funzioni sessuali. È quanto emerge da una nuova ricerca sul Dna del dittatore tedesco, condotta dalla genetista britannica Turi King, dell’Università di Bath, e raccontata nel documentario “Hitler’s DNA: Blueprint of a Dictator”, in onda su Channel 4.

Secondo la studiosa, la patologia avrebbe probabilmente compromesso lo sviluppo degli organi sessuali di Hitler, un paradosso tragico se si pensa che il Führer, seguendo i principi dell’eugenetica nazista, avrebbe potuto rientrare egli stesso tra le persone destinate alle camere a gas.


Le ipotesi sulle malformazioni e l’impatto psicologico

Già da decenni circolavano voci sulle malformazioni genitali del dittatore, ipotesi ora rafforzate dal nuovo studio genetico, che fornisce un fondamento scientifico alle teorie secondo cui Hitler avrebbe avuto un solo testicolo o un micropene.

Secondo lo storico Alex J. Kaym dell’Università di Potsdam, consulente della ricerca, la malattia avrebbe potuto incidere anche sulle relazioni personali e sessuali del Führer. “Questo aiuterebbe a spiegare la sua dedizione quasi totale alla politica, in assenza di una vita privata”, ha osservato Kaym.


I possibili disturbi mentali e le origini familiari

Lo studio, oltre a esaminare il profilo genetico di Hitler, ha indagato possibili predisposizioni a disturbi mentali, come schizofrenia e bipolarismo, senza però giungere a risultati definitivi.

È invece esclusa la discendenza ebraica del dittatore, un tema che aveva alimentato per decenni polemiche e speculazioni — rilanciate anche nel 2022 dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov — in relazione al mistero sull’identità del nonno paterno di Hitler, mai chiarita.


Il ritrovamento del campione di sangue

La ricerca si basa sull’analisi di un campione di Dna recuperato nel maggio 1945 dal colonnello Roswell Rosengren, membro dell’esercito statunitense e addetto stampa del generale Eisenhower. Durante una visita nel Führerbunker di Berlino, Rosengren trovò un pezzo di stoffa sporco di sangue sul divano dove Hitler si era tolto la vita sparandosi un colpo di pistola.

Quel frammento, conservato per decenni e ritrovato di recente nel Museo di Gettysburg, sarebbe stato sottoposto a test genetici per identificare le anomalie del dittatore.


Dubbi e limiti della ricerca

Non mancano tuttavia le perplessità. Come sottolineato dal Guardian, l’attendibilità del campione rimane controversa, poiché non esistono discendenti diretti disponibili a fornire materiale genetico comparativo. I parenti lontani di Hitler, residenti in Austria e negli Stati Uniti, hanno infatti rifiutato di partecipare per evitare esposizioni mediatiche.


Il paradosso dell’eugenetica

Turi King, nota per aver identificato nel 2012 i resti di re Riccardo III d’Inghilterra, ha concluso che se Hitler avesse potuto conoscere la propria composizione genetica, sarebbe rimasto sconvolto: la sua condizione lo avrebbe reso, secondo i principi dell’“igiene razziale” da lui stesso imposta, inadatto alla sopravvivenza.

Una scoperta che non solo aggiunge un tassello al mistero sulla psiche del dittatore, ma anche un potente simbolo del paradosso ideologico del nazismo, fondato sull’odio e sull’ossessione per la purezza biologica.

Continua a leggere

In Evidenza

Intelligenza artificiale, da Google nuove frontiere per meteorologia, ricerca e istruzione

Alla conferenza Google Research di Varsavia, l’intelligenza artificiale si mostra come strumento per meteorologia, laboratori scientifici e istruzione. Yossi Matias: “Serve un uso responsabile e regole sulla sicurezza”.

Pubblicato

del

Dalla meteorologia all’istruzione, fino ai laboratori scientifici, l’intelligenza artificiale si prepara a trasformarsi in strumento concreto per migliorare la vita quotidiana e la ricerca. È questo lo scenario delineato durante la prima conferenza europea di Google Research, organizzata a Varsavia da Google Research@Poland.

Abbiamo un ruolo nel plasmare il futuro. L’IA è una tecnologia potente che suscita entusiasmo e preoccupazioni, e per questo dobbiamo definire norme di sicurezza che ne impediscano un uso improprio”, ha dichiarato Yossi Matias, vicepresidente di Google e responsabile di Google Research.


Earth AI e AI co-scientist: la ricerca accelera grazie ai modelli intelligenti

Tra i progetti più avanzati presentati c’è Earth AI, un modello di intelligenza artificiale addestrato su dati meteorologici, geologici e geofisici. Lo strumento consentirà a ricercatori, amministratori e cittadini di interrogare il sistema su rischi di tempeste e inondazioni, rendendo la prevenzione ambientale più immediata ed efficace.

Altro progetto in fase di sviluppo è AI co-scientist, pensato per affiancare i ricercatori nei laboratori scientifici come un vero e proprio assistente virtuale. “Mi aspetto che l’IA abbia un impatto concreto nel tempo — ha detto Matias — siamo solo agli inizi, ma i risultati sono promettenti”.


Il “ciclo magico della ricerca” e le applicazioni scientifiche

Secondo Matias, l’intelligenza artificiale potrà generare un “ciclo magico della ricerca”, accelerando la scoperta e alimentando nuove domande scientifiche. I primi benefici si vedranno nei settori del calcolo quantistico, delle neuroscienze e della ricerca farmacologica, anche se “per molti versi siamo ancora agli inizi della nostra capacità di esplorazione scientifica”.

“Un bambino può risolvere problemi che l’intelligenza artificiale non sa ancora affrontare — ha aggiunto Matias — segno che c’è ancora molto da scoprire”.


L’IA come leva per trasformare l’istruzione

Anche la scuola è destinata a cambiare profondamente. “L’IA trasformerà l’istruzione”, ha spiegato Matias, sottolineando la necessità di prevenire i rischi di dipendenza cognitiva e di garantire un uso consapevole degli strumenti digitali.

Tra le iniziative di Google, AI Quest mira a rendere l’intelligenza artificiale accessibile ai bambini fin dall’infanzia, sviluppando curiosità, creatività e senso critico.

Un esempio concreto arriva dall’Africa: in una scuola di Accra (Ghana) è in corso la sperimentazione di un sistema di valutazione basato su IA che fornisce feedback giornalieri agli studenti, consentendo agli insegnanti di dedicare più tempo alla didattica.


Regole e responsabilità per un futuro condiviso

“L’intelligenza artificiale aprirà nuove opportunità a persone brillanti e creative, ma serviranno regole chiare e responsabilità etica per garantire che la tecnologia resti al servizio dell’uomo”, ha concluso Matias.

L’IA, dunque, non solo come progresso tecnologico, ma come nuovo patto sociale tra innovazione, conoscenza e tutela dei cittadini.

Continua a leggere

In Evidenza

Quasi 4 milioni di italiani con diagnosi di diabete, cresce il rischio al Sud e tra gli over 50

Alla vigilia della Giornata Mondiale del Diabete, l’Istituto Superiore di Sanità segnala quasi 4 milioni di diagnosi in due anni: la malattia cresce con l’età e colpisce più al Sud.

Pubblicato

del

In Italia, quasi 4 milioni di persone, pari a poco meno del 5% della popolazione adulta, hanno ricevuto una diagnosi di diabete negli ultimi due anni. Lo rileva l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) nel Rapporto 2024 alla vigilia della Giornata Mondiale del Diabete, che si celebra il 14 novembre.

Secondo il presidente dell’Iss Rocco Bellantone, si tratta di “una delle principali sfide per la salute pubblica”, con una prevalenza in crescita e fortemente correlata all’età. Tra le persone tra i 50 e i 69 anni, infatti, il tasso di incidenza sfiora il 9%.


I progetti europei Care4Diabetes e Jacardi

L’Iss è capofila di due importanti progetti europei: Care4Diabetes e Jacardi.

Il primo promuove l’autogestione della malattia attraverso programmi educativi e una piattaforma digitale che mantiene il contatto costante tra pazienti e operatori sanitari, fornendo strumenti e materiali formativi per i team multidisciplinari.

Jacardi, invece, punta a creare il Registro Nazionale del Diabete e a sviluppare percorsi di screening pediatrico per il diabete di tipo 1 e la celiachia, con l’obiettivo di migliorare la pianificazione sanitaria, prevenire complicanze e individuare precocemente i gruppi a rischio.


Differenze territoriali e sociali: il Sud più colpito

Secondo la sorveglianza Passi 2023-2024, la prevalenza del diabete è più alta tra gli uomini (5,2%) rispetto alle donne (4,4%), e raggiunge il 16% tra le persone con basso livello di istruzione o difficoltà economiche.

La malattia è più diffusa nel Sud (6%) rispetto al Nord (4%) e spesso si associa ad altri fattori di rischio cardiovascolare:

  • ipertensione nel 50% dei casi,

  • ipercolesterolemia nel 40%,

  • eccesso di peso nel 70%,

  • sedentarietà nel 48%.

Solo il 36% dei pazienti ha controllato l’emoglobina glicata negli ultimi quattro mesi, un indicatore chiave per monitorare il livello di controllo della malattia.


Una sfida anche a livello europeo

Nella Regione Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 66 milioni di adulti convivono con il diabete, con una prevalenza media del 9,8%. Si stima che un terzo dei casi non sia ancora diagnosticato e che una persona su dieci possa sviluppare la malattia entro il 2045.

Gli esperti ribadiscono la necessità di rafforzare le politiche di prevenzione e la collaborazione internazionale per fronteggiare l’epidemia silenziosa del diabete.


Buzzetti (Sid): “Il diabete non è più una malattia dei nonni”

“La maggior parte dei diabetici è in età lavorativa: sette su dieci”, ricorda Raffaella Buzzetti, presidente della Società Italiana di Diabetologia (Sid).

Pur riconoscendo che l’aspettativa di vita dei pazienti ben controllati è simile a quella della popolazione generale, Buzzetti sottolinea che “sul benessere e sulla qualità della vita c’è ancora molto da fare”.

Il diabete, infatti, influisce anche sullo stato emotivo e mentale: secondo i dati IDF, tre persone su quattro soffrono di ansia o depressione correlate alla malattia e quattro su cinque vivono un burnout da diabete.


Prevenzione, innovazione e formazione le parole chiave

Per la presidente Sid, è urgente “rafforzare la prevenzione, formare gli operatori e informare il pubblico”.

Servono cure più accessibili, l’uso di farmaci innovativi e dispositivi digitali, e un impegno condiviso per migliorare l’assistenza diabetologica in tutto il Paese.

Un obiettivo che passa anche attraverso la costruzione di una cultura della salute consapevole, capace di unire prevenzione, innovazione e inclusione sociale.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto