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Ambiente

Ecomondo, a Rimini gli stati generali della green economy: industria del riciclo che vale 12,6 miliardi l’anno

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I nuovi MacBook Air e iPad Apple (le consegne incominceranno oggi) sono costruiti interamente con alluminio riciclato. La Pepsi ha raggiunto un accordo con la canadese Loop Industries per una fornitura di bottiglie in plastica Pet riciclata e annuncia che nel 2025 il 33% dei suoi contenitori saranno in Pet riciclato. Materiale che potrà a sua volta essere riutilizzato. Nella bioraffineria Eni di Porto Marghera dalle posate di plastica e altre stoviglie usa e getta si crea il polistirene espandibile destinato all’ isolamento termico nell’edilizia. Da Garden Fruit, a Ischia Ponte, ti siedi, mangi quello che ti pare di frutta e verdura, tutte le stoviglie poi le metti nell’umido perchè sembrano plastica ma è materiale vegetale.  Fimer, impresa di Vimercate (Monza) ha realizzato una colonnina in grado di ricaricare un veicolo elettrico dandogli un’autonomia di oltre 200 chilometri in meno di 10 minuti.
Il trend del riciclo, del riuso e dell’ e-mobility registra una crescita impetuosa e sta contagiando i giovani: la sensibilità verso l’ambiente ha fatto passi da gigante in un Paese che si comporta da nano in fatto di ricerca e sviluppo pubblico nell’energy green.
L’ ultimo rapporto Agi-Censis stima 12,6 miliardi di euro di valore aggiunto (l’1% del prodotto interno lordo) da parte dell’industria del riciclo, che ha pure una sua fiera, Ecomondo, fino al 9 novembre a Rimini, apertura dalle 9 alle 18, 12 euro il biglietto d’ingresso se si acquista online.

Ecomondo. L’inaugurazione con il ministro dell’Ambiente Sergio Costa

Uno dei padiglioni è una vetrina di startup e innovazioni: c’è RiceHouse (in provincia di Biella) che trasforma gli scarti della raccolta del riso, cioè l’involucro dei chicchi, in intonaci ad alta prestazione, la trentina Calchera San Giorgio ottiene carbonato di calcio, componente fondamentale della calce, dai gusci d’uovo, Coffee Infused Foam (nel bresciano) dai fondi di caffè ricava una spugna che depura le acque, Prezzemolo & Cannella (Genova) utilizza scarti di prezzemolo e cannella per realizzare un materiale destinato al packaging alimentare, il Progetto Carciofo (Genova) produce una plastica del tutto biodegradabile coi carciofi rimasti invenduti. Ma ce ne sono a bizzeffe di start up innovative.
A Ecomondo  si tengono anche gli stati generali della green economy che dopo anni di bocciatura questa volta indicherà finalmente i progressi virtuosi del nostro Paese: in Italia ogni minuto si riciclano e recuperano 10 tonnellate di carta e cartone. Un risultato che ci pone all’ avanguardia in Europa nella raccolta differenziata di materiale cellulosico.
La raccolta pro capite supera i 54 Kg per abitante. Bene anche la raccolta del vetro, +8,9% in due anni, e del legno, +10% nell’ ultimo biennio. Insomma l’ Italia si è tolta dall’ incomoda posizione di Cenerentola e ora scala addirittura la parte alta della classifica. Si potrebbe fare di più se non ci fossero incertezze normative che hanno creato, per esempio, recentemente «l’ emergenza fanghi», poiché una sentenza del Tar della Lombardia ha bloccato il riutilizzo in agricoltura dei fanghi prodotti dai depuratori (che in Italia realizzano circa 5 milioni di tonnellate di fanghi ogni anno). Analoghe problematiche si sono registrate in Toscana.
«Oggi con la tecnologia sostenibile», dice Francesco Fatone, docente all’ università delle Marche e coordinatore del progetto europeo Smart-Plant, «è possibile trasformare i depuratori in impianti di recupero, sicuri per la salute, di materie che abbiano un valore ed un mercato».
A Rimini è stato chiesto al ministro all’ ambiente, Sergio Costa (che ieri ha inaugurato il Salone), di intervenire.
Anche perché in questo campo il nostro Paese può esportare tecnologia e quindi sarebbe un grave danno tirare il freno a mano. In Europa siamo oggi in grado di dare il buon esempio e di fare affari poiché nel Continente (secondo la commissione Ue) si producono ogni anno 25,8 milioni di tonnellate di spazzatura di plastica, di cui il 31% finisce in discarica e per quanto riguarda gli imballaggi il 95% del loro valore, tra 70 e 105 miliardi di euro l’ anno, viene perso a causa del loro brevissimo ciclo di vita.

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Copernicus, marzo 2024 il mese più caldo mai registrato

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Il marzo del 2024 è stato il mese di marzo più caldo mai registrato. Lo rende noto il servizio meteo della Ue Copernicus. La temperatura media globale il mese scorso è stata di 14,4°C, superiore di 0,73°C rispetto alla media del trentennio 1991 – 2020 e di 0,10°C rispetto al precedente record di marzo, quello del 2016. Il mese inoltre è stato di 1,68°C più caldo della media di marzo del cinquantennio 1850 – 1900, periodo di riferimento dell’era pre-industriale. Secondo Copernicus, il marzo 2024 è il decimo mese di fila che si classifica come il più caldo mai registrato.

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Ecdc-Efsa, rischio diffusione dell’aviaria su larga scala

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Si alza il livello di attenzione sull’influenza aviaria da virus A/H5N1. Dopo tre anni che l’agente patogeno circola in maniera particolarmente sostenuta tra uccelli selvatici e di allevamento, infettando anche mammiferi ed espandendo la sua area di diffusione, da poco più di una settimana gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti, dove si segnalano infezioni in allevamenti di mucche da latte. Al momento sono interessati una dozzina di allevamenti dislocati in cinque stati (Texas, Kansas, Michigan, New Mexico, Idaho). Il primo aprile, poi, i Centers for Disease Control and Prevention hanno diffuso la notizia che anche un uomo ha contratto l’infezione; le sue condizioni sono buone.

Ad oggi si ritiene che sia gli animali sia l’uomo abbiano contratto l’infezione attraverso il contatto con uccelli infetti. Secondo le autorità americane questi casi non cambiano il livello di rischio, che resta basso per la popolazione generale. Tuttavia, i segnali di allarme si moltiplicano. In un rapporto pubblicato mercoledì, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa), avvertono: “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.

Fino a oggi, le infezioni nell’uomo sono poche (circa 900 dal 2003) e del tutto occasionali. Non ci sono prove di trasmissione tra mammiferi, né da uomo a uomo. Tuttavia, la congiuntura invita alla massima attenzione. In piena pandemia, nel 2020, è comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione.

Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti. Anche i fattori ambientali giocano a suo favore: i cambiamenti climatici e la distruzione degli habitat, influenzando le abitudini degli animali e intensificando gli incontri tra specie diversa, fanno crescere ulteriormente le probabilità che il virus vada incontro a modifiche.

Nonostante ciò, al momento non ci sono dati che indichino che A/H5N1 abbia acquisito una maggiore capacità di infettare l’uomo. Tuttavia, se questa trasformazione avvenisse saremmo particolarmente vulnerabili. “Gli anticorpi neutralizzanti contro i virus A/H5 sono rari nella popolazione umana, poiché l’H5 non è mai circolato negli esseri umani”, precisano le agenzie. Per ridurre i rischi Ecdc ed Efsa invitano ad alzare la guardia, rafforzando le misure di biosicurezza negli allevamenti, limitando l’esposizione al virus dei mammiferi, compreso l’uomo, e intensificando la sorveglianza e la condivisione dei da

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Da 20 anni aria più pulita in Europa, ma non basta

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Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).

Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.

Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.

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