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Cultura

Domande “americane” di un fotoreporter italiano sulla Costituzione e sulla libertà di stampa

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Quello che penso sui giornalisti puttane, infimi o altri epiteti che sovente vengono riservati alla categoria conta poco o nulla nell’economia di un discorso molto serio che è quello relativo al tasso di moralità che siamo capaci di esprimere pubblicamente. Che cosa intendo dire? Che forse siamo molto più onesti di quello che sembriamo ma non siamo capaci di comunicarlo. Non si riesce più a percepirlo nel Paese. Siamo considerati una casta al pari della vecchia politica. Siamo giornalisti italiani, abbiamo pregi e vizi italiani, non siamo migliori e manco peggiori di politici e altri esponenti di ordini, albi e caste che vivono o sopravvivono in questo Paese vecchio e malato. A chi si straccia le vesti per le critiche pesanti di Di Maio (che non ha usato il termine puttane ma è stato molto più diretto ed efficace nell’insulto) ricordo che altri, della stessa parte politica che oggi plaudono alla libertà di stampa contro il regime Di Maio, hanno definito i giornalisti non puttane, non pennivendoli che prostituiscono la penna per la pagnotta ma “camorristi”, “delinquenti”, “ricottari”. In alcuni casi, questo assai autorevole esponente politico del Pd, presidente di Regione, ha anche indicato aziende editoriali responsabili di atti di camorrismo giornalistico (la Rai). Ogni giorno, in ogni occasione pubblica e ogni settimana ci sono una caterva di insulti ai giornalisti che nessun Ordine e Fnsi rintuzzano o mettono a tacere con una bella denuncia penale e una bella richiesta di risarcimento dei danni per la categoria con ampia facoltà del diffamatore e calunniatore politico di provare che i giornalisti sono “camorristi”, “delinquenti”, “ricottari”. Perchè questi termini sono sicuramente offensivi e ledono la reputazione della categoria. In ogni caso non mi ricordo (ma forse è colpa mia) flash mob, cortei, proteste vivaci della categoria verso altri e ben più gravi insulti: disoccupazione, equo compenso, tagli alle collaborazioni, contratti di solidarietà a go go, scivoli previdenziali ad libitum, scuole di giornalismo costose, formazione, precariato e schiavizzazione dei giovani giornalisti e altre forme di far west.    
Sulla reazione dei giornalisti agli insulti del vicepremier Luigi Di Maio e a seguire di Alessandro Di Battista (autorevole iscritto al M5S) la categoria però ha ricevuto applausi a scena aperta da quei politici che ieri (e pure oggi) ci hanno dipinto anche peggio. E poi i titoli e le foto sui giornali della protesta. Ma nel Paese la gente ci ha sostenuto? Dei 100mila e passa iscritti all’ordine quanti erano quelli scesi in piazza? Per la protesta, tanto rispetto e ovviamente considerazione. Quello che segue è uno scambio epistolare tra un fotoreporter italiano (Mario Laporta) e una giornalista italiana (Angela Vitaliano) che vive e lavora a New York.  Me l’hanno inviato loro questo carteggio, e mi hanno invitato a pubblicarlo. Lo faccio volentieri perché può essere un utile contributo al dibattito che occorre aprire sulla libertà di stampa nella categoria. Sono due punti di vista che esprimono la grande libertà intellettuale e professionale di due giornalisti che vengono da esperienze e luoghi diversi ma che hanno una visione della libertà di stampa molto bella, molto fresca, molto vera, sincera. Mario Laporta viene da Reuters, AFP/France Press ed oggi è a capo di Kontrolab. Lo conosco personalmente, abbiamo lavorato e spesso lavoriamo assieme, forse perché non condivido quasi nulla della sua visione politica del mondo ma è uno dei colleghi che stimo di più perchè l’ho incontrato sempre in zone di guerra per lavoro (Palestina, Afghanistan, Iraq) ed ha un concetto di libertà di stampa che gli invidio. Angela Vitaliano corrisponde dagli Usa per molte testate e riviste italiane e scrive per giornali newyorkesi. Non la conosco personalmente ma leggo quello che scrive e mi piace.   I due ci offrono due punti di vista sullo stesso argomento. Trovo molto belle le reazioni a Di Maio della Fnsi e quella dei giornalisti americani alla bislacca iniziativa di Trump di voler cacciare un giornalista dalla Casa Bianca.

Casa Bianca. Donald Trump vuole ritirare le credenziali a Jim Acosta della Cnn e sbatterlo fuori dalla White House con uno stratagemma

 

Lettera di Mario Laporta ad Angela Vitaliano

Ciao Angela, 

come ti ho sempre detto, New York e in generale gli States non mi hanno mai attratto, pur avendo girato abbastanza, mai sono stato folgorato da quella scintilla che avesse la forza di farmi comprare un biglietto e venire a conoscere quella città e quell’enorme paese, con tante anime diverse, che tu adori e hai scelto come seconda/prima casa. 

Non conosco i motivi di questa mia scelta, forse, anzi, sicuramente insana, ma cosi è stato e cosi è, anche se si cambia e prima o poi mi vedrai passeggiare nella 5° strada con la stessa disinvoltura da elefante con la quale passeggio in Via Monte Napoleone a Milano… sarà che non mi piace il capitalismo, sarà che ho vissuto, si vissuto, sulle portaerei americane per quasi due anni, sarà che ho sempre pensato di non essere gradito perché di idee politiche diverse, ma non ho mai messo piede sul suolo nordamericano. 

Ho sempre pensato, però, che benché sia una giovane nazione, quel melting pot di razze, pensieri, ideologie, colori, nazionalità, storie vissute, background siano la grande forza dell’America, di quella America che in tutti i casi sa, quando vuole difendere i diritti principali del vivere comune e del bene comune. 

Non so cosa scatti negli americani, quando si trovano di fronte a soprusi costituzionali, quindi soprusi che offendono e tentano di cancellare gli elementari diritti costituzionali decisi da tutti in tempi lontano, ma preveggenti, molto preveggenti,  rispetto a ciò che il futuro avrebbe potuto riservare.

Anche noi, sai bene,  abbiamo una bellissima Costituzione, il problema è che da noi, pochi se ne fregano, e prima di tutto, nessuno la difende, mai, se non quando per ragioni politiche e di convenienza non si ergono giustamente muri a sua difesa, ma sono solo ragioni puramente opportunistiche, non intimamente sentite, anche perché in pochi in Italia conoscono la costituzione, sai bene che nelle scuole si arriva al massimo al 6° articolo sui 12 dei principi fondanti. 

Cara Angela, vorrei chiederti il perché succede questo, perché c’è questa diversità di consapevolezza tra questi due popoli e queste due nazioni, noi abbiamo la Cultura, quella millenaria e come è possibile che un popolo, formato da etnie diverse, un popolo che ha massacrato i nativi di quella terra, un popolo che è pronto ad entrare sempre in guerra, sia cosi coeso, quando i principi fondamentali ed elementari della libertà e del diritto personale sono anche minimamente attaccati. Come è possibile che invece al contrario nel mio/nostro paese, si possa dire e fare di tutto senza avere la benché minima opposizione coesa e cosciente delle conseguenze.

Spiegami perché da voi nelle Americhe un giornalista, uno solo, venga offeso, zittito e allontanato dal suo posto di lavoro dalla più alta carica dello Stato con modalità che non si vedevano da tempo nemmeno nelle peggiori dittature mondiali, spiegami il perché questo sopruso scatena una reazione di tutti i colleghi, ma tutti, di destra, sinistra, centro, apolitici, imparziali, e chi più ne ha più ne metta, una reazione di difesa del collega che come una sola voce intima al Presidente degli Stati Uniti d’America “i Giornalisti accreditati non li scegli tu”, mentre invece qui da noi, un Ministro, si va bene, anche VicePrimoMinistro e un perfetto sconosciuto appellano tutta la categoria come Sciacalli, (infimi) , pennivendoli e puttane sputando anche nel piatto nel quale mangiano essendo pubblicisti entrambi e la categoria cosa fa? Si spacca, chi dice che forse è vero, chi dice che bisogna far chiarezza, altri che in fondo manifestare e ribellarsi non risolve il problema, (che è prima di tutto interno….) altri invece agiscono come la politica agisce ultimamente: Si, Va bene, Ma prima? Non abbiamo mai manifestato, fino a sentir dire che il miglior modo per respingere le accuse è lavorare, lavorare bene… lavorare, si, ma dove? E a quali tariffe? 

Ecco cara Angela, spiegami come è possibile questo differente sentire. E dimmi come è bello vivere in un posto dove le libertà individuali sono difese ancora da tutti, insieme. 

A proposito,  qui ci pensa il Presidente Mattarella a difendere la categoria, che fosse anche lui un giornalista?

 

La risposta di Angela Vitaliano a Mario Laporta

Caro Mario

prima di tutto grazie per questa bellissima mail che mi ha molto commosso. Sento allo stesso tempo l’inevitabile lusinga per la stima che mi dimostri e la responsabilità di provare a rispondere, in maniera spero non troppo parziale, alle tue domande.

Comprendo quando parli della scintilla che ti manca. Sono cresciuta in una famiglia di comunisti e l’America faceva parte di tutto ciò che “dovevamo” odiare. O almeno da cui dovevamo prendere le distanze. Ancora oggi, spesso, sento che la mia scelta di vivere proprio qui e, soprattutto, il mio amore per questo Paese crei molta delusione persino in chi mi vuol bene. Come se avessi tradito qualcosa. Come se fossi diventata cieca e sorda. Perché’ sfuggono due cose, prima di tutto: che l’America non e’ solo ciò che abbiamo imparato (giustamente) a disprezzare e che il tempo qui passa e cambia le cose. Prima differenza con l’Italia in cui, citando il super abusato Tomasi di Lampedusa, non cambia mai nulla.

Io sono arrivata qui per una sfida: sopravvivere all’infelicità alla quale mi aveva consegnata il mio paese, togliendomi una cosa fondamentale come l’aria: la speranza.

Ero morta dentro, ma disperatamente alla ricerca della vita.

Quando sono arrivata qui, nella disperazione, nella paura, nella rabbia, mi colpirono due cose: che vicino Union Square c’era stata per molti anni una sede del partito comunista e che c’era questo senatore che correva per la presidenza, un certo Barack Obama, che ripeteva ossessivamente una frase: “si noi possiamo”.

Un giorno, qui a NY, durante una presentazione del documentario di Veltroni su Berlinguer, gli chiesi come facevano a dormire la notte sapendo di averci derubato di quell’afflato di speranza, di visione del futuro, di determinazione che il partito comunista ci aveva dato.

Caro Mario, ti sembrerà strano ma io mi ero fermata a quella telefonata di mio fratello che paralizzò mio padre, perché Enrico era morto e sono tornata a vivere qui. Ad avere speranza qui. A credere nel cambiamento qui. E a credere in me stessa.

Si è vero, questo paese ha fatto cose orribili: ha ridotto i nativi al nulla privandoli di tutto eppure martedì scorso DUE donne native  – di cui una lesbica – sono state elette alla Camera; questo paese è razzista ma ha eletto un afro americano alla Casa Bianca; questo paese è antislamico ma ha eletto una donna musulmana; questo paese è misogino, ma ha sostenuto il movimento #metoo che sta cambiando e rivoluzionando tutto. Questo paese ha fatto il Vietnam, ma ha distrutto chi il Vietnam lo aveva perpetuato.

Questo paese impara dai suoi errori e li combatte perché’ crede in se’ stesso.

E in alcuni principi fondamentali: la liberta di espressione prima di tutto. E devi averci le palle – scusa il termine – per difenderla perché significa difendere il diritto di una donna ad andare in giro con il burqa se vuole farlo e di un pazzo di entrare in un cinema e urlare “al fuoco” (si, è legale farlo)

Perché’ la liberta di espressione non si decide o basa su quello che ci piace.

E poi ci sta l’informazione. Che della libertà di espressione è la forma più alta.

Perché, mi chiedi, qui fra un giornalista e un presidente si sceglie un giornalista? Perché si sceglie l’America e i suoi principi fondamentali. E un presidente che attacca la liberta di espressione non è un buon americano.

Per avere il coraggio, però, di difendere i principi della Costituzione (quella americana come quella italiana) devi essere libero. Solo i liberi possono essere disposti a tutto per difendere la libertà

E noi non siamo liberi e di tutto, questo, credo, sia il nostro limite più invalicabile. L’elemento che ci impedisce di essere all’altezza di ciò che potremmo raggiungere.

I giornali non sono liberi perché i giornalisti sono quasi sempre  legati al potere: i potenti raccomandano e i giornalisti devono poi “proteggerli”; lo so si offenderanno molti colleghi ma questa è la realtà. O, peggio, i giornali sono di proprietà o finanziati da potenti che poi’ chiedono di pagare un prezzo.

E questo vale purtroppo in tutti i luoghi decisionali in cui non si è liberi perché si è legati a doppio giro di corda al potere. Pensa alla televisione pubblica. Pensa a quella privata. Pensa….. Mi viene una tristezza.

E se non c’è libertà non si può essere ribelli. Non si può chiedere o pretendere rispetto. Non si può difendere la Costituzione.

Noi non siamo liberi e in più siamo cinici caro Mario. La corruzione e l’abuso di potere ci hanno resi incapaci di credere che la nostra voce conti qualcosa. Ormai chiediamo un favore “all’amico” pure per ottenere un loculo al cimitero.

Ma se non pensi di poter avere una voce, di poter cambiare qualcosa, se sei convinto che tanto nulla cambia perché cosi sei abituato a vedere, allora credi che il tuo paese sia cosi e che chi, come me, la pensa diversamente è un povero illuso.

Vorrei davvero che venissi qui un giorno, con me cammineresti poco per la quinta strada. E capiresti non solo che NY è davvero la città meno nemica al mondo per i comunisti 🙂 ma che l’America sopravvive a tutto perché crede in se stessa. Perché qua quando dici “we, the people” significa qualcosa.

E gli americani, quando gli fai notare una loro porcheria non dicono MAI “vabbè ma anche voi italiani”. Loro ti dicono “eh sì, questo paese è un disastro” e provano costantemente ad aggiustarlo. Noi ci crediamo perfetti, sempre migliori degli altri. O, nella peggiore delle ipotesi, uguali agli altri.

Sai chi difenderà la CNN che ha fatto causa a Trump per aver sospeso le credenziali a Jim Acosta? Ted Olson. Un avvocato repubblicano, per la precisione quello che difese George Bush nel ri-conteggio dei voti contro Al Gore. Olson è anche colui che ha sfidato la Corte Suprema, con David Boies, avvocato democratico, per abolire il divieto di matrimonio fra persone dello stesso sesso in California.

Perché quando si tratta di difendere ciò su cui si basa la grandezza di questo paese si annullano i partiti: si è solo americani.

Noi, italiani, non lo siamo diventati mai.

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Cambio al vertice della Scala, arriva Ortombina

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Se ne va Dominique Meyer e arriva Fortunato Ortombina, resta Riccardo Chailly fino al 2026 per poi passare il testimone, anzi la bacchetta, a Daniele Gatti: sulla futura guida della Scala “finalmente è arrivata una decisione”. “Finalmente” è l’aggettivo usato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala in apertura della conferenza stampa con cui ha annunciato la scelta come sovrintendente di Ortombina, a conclusione di una vicenda lunga oltre un anno, andata avanti a indiscrezioni, veti, decreti legge e colpi di scena. “Una soluzione eccellente, frutto di una collaborazione istituzionale” ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con cui inizia “una fase nuova” che segna il ritorno di un sovrintendente italiano dopo tre stranieri. “Abbiamo fatto tutto per il bene della Scala” ha assicurato Sala.

Mantovano, classe 1960, diplomato al Conservatorio di Parma, laureato in Lettere, studioso di musicologia, Ortombina è stato professore d’orchestra e corista del Regio di Parma, la lavorato all’Istituto di Studi Verdiani, e poi in vari teatri italiani prima di approdare proprio alla Scala dove è stato coordinatore artistico dal 2003 al 2007. Dal 2007 è alla Fenice di Venezia inizialmente come direttore artistico e poi dal 2017 anche come sovrintendente. Una duplice carica che probabilmente manterrà anche a Milano. Sulle sue competenze nessuno ha avuto da ridire. Forse l’unica perplessità è che “passerà dal guidare una gondola a un transatlantico”, come ha ironizzato qualcuno nei corridoi. Anche la Cgil ha riconosciuto le sue “capacità” in una nota in cui però esprime “preoccupazione” per la progettualità a lungo periodo del teatro. Ortombina al Piermarini inizierà dal primo settembre il lavoro come sovrintendente designato affiancando nella fase iniziale il sovrintendente in carica Dominique Meyer.

Il mandato del manager francese, ufficialmente partito nel giorno in cui il teatro ha chiuso per covid nel 2020, terminerà il prossimo 28 febbraio. Lui sarebbe voluto rimanere più a lungo perché, come ha detto nel marzo del 2023, dopo aver messo “a posto la Ferrari” avrebbe voluto “guidarla un po’”. Almeno un anno era la proposta uscita dall’ultimo cda. Ma dopo il confronto con il ministro Sangiuliano, alla fine gli è stato proposto di restare quattro mesi in più, fino al 1 agosto quando compirà 70 anni (una scelta, ci ha tenuto a precisare Sala, slegata dal decreto legge che prevede quella come età massima per i sovrintendenti e che per la Scala, in virtù della sua autonomia, non vale).

Meyer ha assicurato che resterà al suo posto fino alla fine del mandato, mentre rifletterà sulla proposta della proroga. Chi rimarrà fino a metà 2026 è il direttore musicale Riccardo Chailly, che inaugurerà le prossime due stagioni (il prossimo 7 dicembre con La Forza del destino e nel 2025 con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic) prima di lasciare il compito nel 2026 a Gatti. Sul suo arrivo c’è già l’accordo anche se formalmente sarà Ortombina a proporre al cda la sua nomina a direttore musicale. E dovrà essere Ortombina anche a proporre la nomina di un direttore generale, figura cancellata da Meyer ma che Sala ha consigliato al futuro sovrintendente di ripristinare. La proposta comunque non sarà fatta a questo cda, in scadenza a febbraio, ma al futuro. E anche sulla nomina dei nuovi consiglieri si giocherà una partita importante. Ma questa è un’altra storia.

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Cultura

Pompei, scoperto salone decorato ispirato alla guerra di Troia

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Un imponente salone da banchetto, dalle eleganti pareti nere, decorate con soggetti mitologici ispirati alla guerra di Troia, e’ uno degli ambienti recentemente portati alla luce durante le attivita’ di scavo in corso nell’insula 10 della Regio IX di Pompei  e oggi completamente visibile in tutta la sua maestosita’. Un ambiente raffinato nel quale intrattenersi in momenti conviviali, tra banchetti e conversazioni, in cui si respirava l’alto tenore di vita testimoniato dall’ampiezza dello spazio, dalla presenza di affreschi e mosaici databili al III stile, dalla qualita’ artistica delle pitture e dalla scelta dei soggetti. Il tema dominante sembra essere quello dell’eroismo, per le raffigurazioni di coppie di eroi e divinita’ della guerra di Troia, ma anche del fato e al tempo stesso della possibilita’, sovente non afferrata, che l’uomo ha di poter cambiare il proprio destino. Oltre a Elena e Paride, indicato in un’iscrizione greca tra le due figure con il suo altro nome “Alexandros”, appare sulle pareti del salone la figura di Cassandra, figlia di Priamo, in coppia con Apollo. Nella mitologia greca Cassandra era conosciuta per il suo dono di preveggenza e per il terribile destino che le impedisce di modificare il futuro. Nonostante la sua capacita’ di vedere oltre il presente, nessuno crede alle sue parole, a causa di una maledizione che Apollo le infligge per non essersi concessa a lui, e dunque non riuscira’ a impedire i tragici eventi della guerra di Troia, che aveva predetto. Dopo essere stata stuprata durante la presa di Troia, finira’ come schiava di Agamennone a Micene. La presenza frequente di figure mitologiche nelle pitture di ambienti di soggiorno e conviviali delle case romane aveva proprio la funzione sociale di intrattenere gli ospiti e i commensali, fornendo spunti di conversazione e riflessione sull’esistenza.

“Lo scavo nella Regio IX, progettato nell’ambito del Grande Progetto Pompei e portato avanti sotto la direzione Zuchtriegel, e’ la dimostrazione di quanto uno scavo ben fatto nella citta’ vesuviana possa continuare ad accrescere la conoscenza di uno dei luoghi piu’ importanti che ci sia pervenuto dall’antichita’. Nuove ed inedite pitture, nuovi dati sull’enorme cantiere che era Pompei al momento dell’eruzione, nuove scoperte sull’economia e sulle forme di produzione. Una messe straordinaria di dati che sta cambiando l’immagine codificata finora della citta’ antica. Un plauso a tutta la squadra interdisciplinare che con passione e professionalita’ sta portando avanti le ricerche”, ha affermato il direttore generale Musei, Massimo Osanna. “Le pareti erano nere per evitare che si vedesse il fumo delle lucerne sui muri. Qui ci si riuniva per banchettare dopo il tramonto, la luce tremolante delle lucerne faceva si’ che le immagini sembrassero muoversi, specie dopo qualche bicchiere di buon vino campano – ha sottolineato il direttore del Parco archeologico du Pompei, Gabriel Zuchtriegel – Le coppie mitiche erano spunti per parlare del passato e della vita, solo apparentemente di carattere meramente amoroso. In realta’, parlano del rapporto tra individuo e destino: Cassandra che puo’ vedere il futuro ma nessuno le crede, Apollo che si schiera con i troiani contro gli invasori greci, ma pur essendo un Dio non riesce ad assicurare la vittoria, Elena e Paride che con il loro amore politicamente scorretto sono la causa della guerra, o forse solo un pretesto, chi sa. Oggi, Elena e Paride siamo tutti noi: ogni giorno possiamo scegliere se curarci solo della nostra vita intima o di indagare come questa nostra vita si intrecci con la grande storia, pensando per esempio, oltre a guerre e politica, all’ambiente, ma anche al clima umano che stiamo creando nella nostra societa’, comunicando con gli altri dal vivo e sui social”.

Il salone misura circa 15 metri di lunghezza per sei di larghezza e si apre in un cortile che sembra essere un disimpegno di servizio, a cielo aperto, con una lunga scala che porta al primo piano, priva di decorazione. Sotto gli archi della scala e’ stato riscontrato un enorme cumulo di materiale di cantiere accantonato. Qualcuno aveva disegnato a carboncino sull’intonaco grezzo delle arcate del grande scalone, due coppie di gladiatori e quello che sembra un enorme fallo stilizzato. L’attivita’ di scavo nell’insula 10 della Regio IX e’ parte di un piu’ ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (piu’ di 13 mila ambienti in 1070 unita’ abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) piu’ efficace e sostenibile. Lo scavo nell’area finora ha restituito due abitazioni collegate tra di loro, casa con panificio e fullonica (lavanderia), che prospettavano su via Nola e le cui facciate furono gia’ portate alla luce alla fine del ‘800. Alle spalle di queste due case, stanno emergendo in questa fase di scavo sontuosi ambienti di soggiorno affrescati, anche in questo caso interessati al momento dell’eruzione da importanti interventi di ristrutturazione

 

 

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Cronache

Tornano le visite a Bunker di Mussolini a Villa Torlonia

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Sei metri sotto i prati ormai fioriti del parco – sopra la testa quattro metri di cemento armato – trema il pavimento sotto i piedi e suonano le sirene mentre il frastuono delle bombe risuona tra le pareti curve come quelle di un sommergibile. E’ il momento più emozionante della visita al Rifugio Antiaereo e al Bunker di Villa Torlonia, a Roma, che da domani tornano aperti al pubblico. Costruiti per Mussolini, che nella tenuta lungo la via Nomentana prese la residenza nel 1929, finirono per essere usati invece dai cittadini romani per difendersi dai bombardamenti.

A lungo non visitabili, riaprono dopo due anni con un nuovo allestimento che è un viaggio nel sottosuolo della villa, ma anche nei giorni della guerra, quando la Capitale fu devastata da una pioggia di bombe. Nessuna coincidenza tra l’inaugurazione e le crisi internazionali di questi giorni, ha detto il sindaco Roberto Gualtieri: “Non credo che quando il progetto è partito ci fossero le terribili guerre che ci sono oggi – ha commentato nel corso della presentazione alla stampa – Però ricordare le tragedie della guerra è sempre importante, e oggi lo è ancora di più”. La mostra, curata da Federica Pirani e Annapaola Agati, con la collaborazione dell’assessorato capitolino alla Cultura, della Soprintendenza Capitolina e l’organizzazione di Zetema, è un’occasione per fare luce su una delle pagine più buie e drammatiche della città, colpita da 51 bombardamenti aerei tra luglio 1943 e maggio 1944. Il nuovo percorso parte da un video che racconta la vita vissuta nello sfarzo di Villa Torlonia dal dittatore fascista mentre portava l’Italia verso la guerra. Nelle sale successive, grazie ai contributi dell’istituto Luce, rivive il periodo storico dei bombardamenti. Tre sale sono dedicate alla vita nei rifugi con delle proiezioni sincronizzate.

Le due prospettive di chi bombarda e di chi è bombardato convergono in una sala dove sul pavimento sono proiettate le immagini riprese dagli aerei in azione, e sulle pareti Roma in macerie: “Il punto di vista dell’aviatore – ha spiegato la curatrice Pirani – e quello dei romani attoniti che guardano le rovine. Che sono di Roma, ma potrebbero essere quelle di Beirut, o di Jenin”. Poi, attraverso una ripida scala, si scende al bunker vero e proprio, lasciato spoglio da oggetti e proiezioni. In questo spazio è simulata una incursione aerea, attraverso la riproduzione dei suoni: sirene, aerei in avvicinamento, detonazioni, e le vibrazioni del terreno. Risalire su, al verde abbagliante della Villa in primavera, è un sollievo.

“Un luogo impegnativo, era giusto fosse accessibile, è un altro tassello del recupero dei luoghi della storia della città – ha commentato il sindaco Gualtieri – L’allestimento punta non solo a rendere conoscibile ‘filologicamente’ questo luogo ma a conoscere quelle pagine drammatiche della guerra, del fascismo e del suo capo, che è stato deposto e ci ha lasciato questo luogo, e che ha portato l’Italia nella più grande tragedia”. Fino all’orrore delle leggi razziali: “Il contrappasso della memoria vuole – ha ricordato Gualtieri – che a pochi metri da qui, sempre a Villa Torlonia, nascerà il Museo della Shoah, a memoria del più grande crimine che il regime fascista e nazista perpetrarono”. Per il via ai cantieri è solo questione di tempo: “Sono terminati i sondaggi, già c’è stata una aggiudicazione e il governo ha stanziato risorse – ha concluso il sindaco – Appena avremo il cronoprogramma lo comunicheremo”.

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