Collegati con noi

Cultura

Domande “americane” di un fotoreporter italiano sulla Costituzione e sulla libertà di stampa

Pubblicato

del

Quello che penso sui giornalisti puttane, infimi o altri epiteti che sovente vengono riservati alla categoria conta poco o nulla nell’economia di un discorso molto serio che è quello relativo al tasso di moralità che siamo capaci di esprimere pubblicamente. Che cosa intendo dire? Che forse siamo molto più onesti di quello che sembriamo ma non siamo capaci di comunicarlo. Non si riesce più a percepirlo nel Paese. Siamo considerati una casta al pari della vecchia politica. Siamo giornalisti italiani, abbiamo pregi e vizi italiani, non siamo migliori e manco peggiori di politici e altri esponenti di ordini, albi e caste che vivono o sopravvivono in questo Paese vecchio e malato. A chi si straccia le vesti per le critiche pesanti di Di Maio (che non ha usato il termine puttane ma è stato molto più diretto ed efficace nell’insulto) ricordo che altri, della stessa parte politica che oggi plaudono alla libertà di stampa contro il regime Di Maio, hanno definito i giornalisti non puttane, non pennivendoli che prostituiscono la penna per la pagnotta ma “camorristi”, “delinquenti”, “ricottari”. In alcuni casi, questo assai autorevole esponente politico del Pd, presidente di Regione, ha anche indicato aziende editoriali responsabili di atti di camorrismo giornalistico (la Rai). Ogni giorno, in ogni occasione pubblica e ogni settimana ci sono una caterva di insulti ai giornalisti che nessun Ordine e Fnsi rintuzzano o mettono a tacere con una bella denuncia penale e una bella richiesta di risarcimento dei danni per la categoria con ampia facoltà del diffamatore e calunniatore politico di provare che i giornalisti sono “camorristi”, “delinquenti”, “ricottari”. Perchè questi termini sono sicuramente offensivi e ledono la reputazione della categoria. In ogni caso non mi ricordo (ma forse è colpa mia) flash mob, cortei, proteste vivaci della categoria verso altri e ben più gravi insulti: disoccupazione, equo compenso, tagli alle collaborazioni, contratti di solidarietà a go go, scivoli previdenziali ad libitum, scuole di giornalismo costose, formazione, precariato e schiavizzazione dei giovani giornalisti e altre forme di far west.    
Sulla reazione dei giornalisti agli insulti del vicepremier Luigi Di Maio e a seguire di Alessandro Di Battista (autorevole iscritto al M5S) la categoria però ha ricevuto applausi a scena aperta da quei politici che ieri (e pure oggi) ci hanno dipinto anche peggio. E poi i titoli e le foto sui giornali della protesta. Ma nel Paese la gente ci ha sostenuto? Dei 100mila e passa iscritti all’ordine quanti erano quelli scesi in piazza? Per la protesta, tanto rispetto e ovviamente considerazione. Quello che segue è uno scambio epistolare tra un fotoreporter italiano (Mario Laporta) e una giornalista italiana (Angela Vitaliano) che vive e lavora a New York.  Me l’hanno inviato loro questo carteggio, e mi hanno invitato a pubblicarlo. Lo faccio volentieri perché può essere un utile contributo al dibattito che occorre aprire sulla libertà di stampa nella categoria. Sono due punti di vista che esprimono la grande libertà intellettuale e professionale di due giornalisti che vengono da esperienze e luoghi diversi ma che hanno una visione della libertà di stampa molto bella, molto fresca, molto vera, sincera. Mario Laporta viene da Reuters, AFP/France Press ed oggi è a capo di Kontrolab. Lo conosco personalmente, abbiamo lavorato e spesso lavoriamo assieme, forse perché non condivido quasi nulla della sua visione politica del mondo ma è uno dei colleghi che stimo di più perchè l’ho incontrato sempre in zone di guerra per lavoro (Palestina, Afghanistan, Iraq) ed ha un concetto di libertà di stampa che gli invidio. Angela Vitaliano corrisponde dagli Usa per molte testate e riviste italiane e scrive per giornali newyorkesi. Non la conosco personalmente ma leggo quello che scrive e mi piace.   I due ci offrono due punti di vista sullo stesso argomento. Trovo molto belle le reazioni a Di Maio della Fnsi e quella dei giornalisti americani alla bislacca iniziativa di Trump di voler cacciare un giornalista dalla Casa Bianca.

Casa Bianca. Donald Trump vuole ritirare le credenziali a Jim Acosta della Cnn e sbatterlo fuori dalla White House con uno stratagemma

 

Lettera di Mario Laporta ad Angela Vitaliano

Ciao Angela, 

come ti ho sempre detto, New York e in generale gli States non mi hanno mai attratto, pur avendo girato abbastanza, mai sono stato folgorato da quella scintilla che avesse la forza di farmi comprare un biglietto e venire a conoscere quella città e quell’enorme paese, con tante anime diverse, che tu adori e hai scelto come seconda/prima casa. 

Non conosco i motivi di questa mia scelta, forse, anzi, sicuramente insana, ma cosi è stato e cosi è, anche se si cambia e prima o poi mi vedrai passeggiare nella 5° strada con la stessa disinvoltura da elefante con la quale passeggio in Via Monte Napoleone a Milano… sarà che non mi piace il capitalismo, sarà che ho vissuto, si vissuto, sulle portaerei americane per quasi due anni, sarà che ho sempre pensato di non essere gradito perché di idee politiche diverse, ma non ho mai messo piede sul suolo nordamericano. 

Ho sempre pensato, però, che benché sia una giovane nazione, quel melting pot di razze, pensieri, ideologie, colori, nazionalità, storie vissute, background siano la grande forza dell’America, di quella America che in tutti i casi sa, quando vuole difendere i diritti principali del vivere comune e del bene comune. 

Non so cosa scatti negli americani, quando si trovano di fronte a soprusi costituzionali, quindi soprusi che offendono e tentano di cancellare gli elementari diritti costituzionali decisi da tutti in tempi lontano, ma preveggenti, molto preveggenti,  rispetto a ciò che il futuro avrebbe potuto riservare.

Anche noi, sai bene,  abbiamo una bellissima Costituzione, il problema è che da noi, pochi se ne fregano, e prima di tutto, nessuno la difende, mai, se non quando per ragioni politiche e di convenienza non si ergono giustamente muri a sua difesa, ma sono solo ragioni puramente opportunistiche, non intimamente sentite, anche perché in pochi in Italia conoscono la costituzione, sai bene che nelle scuole si arriva al massimo al 6° articolo sui 12 dei principi fondanti. 

Cara Angela, vorrei chiederti il perché succede questo, perché c’è questa diversità di consapevolezza tra questi due popoli e queste due nazioni, noi abbiamo la Cultura, quella millenaria e come è possibile che un popolo, formato da etnie diverse, un popolo che ha massacrato i nativi di quella terra, un popolo che è pronto ad entrare sempre in guerra, sia cosi coeso, quando i principi fondamentali ed elementari della libertà e del diritto personale sono anche minimamente attaccati. Come è possibile che invece al contrario nel mio/nostro paese, si possa dire e fare di tutto senza avere la benché minima opposizione coesa e cosciente delle conseguenze.

Spiegami perché da voi nelle Americhe un giornalista, uno solo, venga offeso, zittito e allontanato dal suo posto di lavoro dalla più alta carica dello Stato con modalità che non si vedevano da tempo nemmeno nelle peggiori dittature mondiali, spiegami il perché questo sopruso scatena una reazione di tutti i colleghi, ma tutti, di destra, sinistra, centro, apolitici, imparziali, e chi più ne ha più ne metta, una reazione di difesa del collega che come una sola voce intima al Presidente degli Stati Uniti d’America “i Giornalisti accreditati non li scegli tu”, mentre invece qui da noi, un Ministro, si va bene, anche VicePrimoMinistro e un perfetto sconosciuto appellano tutta la categoria come Sciacalli, (infimi) , pennivendoli e puttane sputando anche nel piatto nel quale mangiano essendo pubblicisti entrambi e la categoria cosa fa? Si spacca, chi dice che forse è vero, chi dice che bisogna far chiarezza, altri che in fondo manifestare e ribellarsi non risolve il problema, (che è prima di tutto interno….) altri invece agiscono come la politica agisce ultimamente: Si, Va bene, Ma prima? Non abbiamo mai manifestato, fino a sentir dire che il miglior modo per respingere le accuse è lavorare, lavorare bene… lavorare, si, ma dove? E a quali tariffe? 

Ecco cara Angela, spiegami come è possibile questo differente sentire. E dimmi come è bello vivere in un posto dove le libertà individuali sono difese ancora da tutti, insieme. 

A proposito,  qui ci pensa il Presidente Mattarella a difendere la categoria, che fosse anche lui un giornalista?

 

La risposta di Angela Vitaliano a Mario Laporta

Caro Mario

prima di tutto grazie per questa bellissima mail che mi ha molto commosso. Sento allo stesso tempo l’inevitabile lusinga per la stima che mi dimostri e la responsabilità di provare a rispondere, in maniera spero non troppo parziale, alle tue domande.

Comprendo quando parli della scintilla che ti manca. Sono cresciuta in una famiglia di comunisti e l’America faceva parte di tutto ciò che “dovevamo” odiare. O almeno da cui dovevamo prendere le distanze. Ancora oggi, spesso, sento che la mia scelta di vivere proprio qui e, soprattutto, il mio amore per questo Paese crei molta delusione persino in chi mi vuol bene. Come se avessi tradito qualcosa. Come se fossi diventata cieca e sorda. Perché’ sfuggono due cose, prima di tutto: che l’America non e’ solo ciò che abbiamo imparato (giustamente) a disprezzare e che il tempo qui passa e cambia le cose. Prima differenza con l’Italia in cui, citando il super abusato Tomasi di Lampedusa, non cambia mai nulla.

Io sono arrivata qui per una sfida: sopravvivere all’infelicità alla quale mi aveva consegnata il mio paese, togliendomi una cosa fondamentale come l’aria: la speranza.

Ero morta dentro, ma disperatamente alla ricerca della vita.

Quando sono arrivata qui, nella disperazione, nella paura, nella rabbia, mi colpirono due cose: che vicino Union Square c’era stata per molti anni una sede del partito comunista e che c’era questo senatore che correva per la presidenza, un certo Barack Obama, che ripeteva ossessivamente una frase: “si noi possiamo”.

Un giorno, qui a NY, durante una presentazione del documentario di Veltroni su Berlinguer, gli chiesi come facevano a dormire la notte sapendo di averci derubato di quell’afflato di speranza, di visione del futuro, di determinazione che il partito comunista ci aveva dato.

Caro Mario, ti sembrerà strano ma io mi ero fermata a quella telefonata di mio fratello che paralizzò mio padre, perché Enrico era morto e sono tornata a vivere qui. Ad avere speranza qui. A credere nel cambiamento qui. E a credere in me stessa.

Si è vero, questo paese ha fatto cose orribili: ha ridotto i nativi al nulla privandoli di tutto eppure martedì scorso DUE donne native  – di cui una lesbica – sono state elette alla Camera; questo paese è razzista ma ha eletto un afro americano alla Casa Bianca; questo paese è antislamico ma ha eletto una donna musulmana; questo paese è misogino, ma ha sostenuto il movimento #metoo che sta cambiando e rivoluzionando tutto. Questo paese ha fatto il Vietnam, ma ha distrutto chi il Vietnam lo aveva perpetuato.

Questo paese impara dai suoi errori e li combatte perché’ crede in se’ stesso.

E in alcuni principi fondamentali: la liberta di espressione prima di tutto. E devi averci le palle – scusa il termine – per difenderla perché significa difendere il diritto di una donna ad andare in giro con il burqa se vuole farlo e di un pazzo di entrare in un cinema e urlare “al fuoco” (si, è legale farlo)

Perché’ la liberta di espressione non si decide o basa su quello che ci piace.

E poi ci sta l’informazione. Che della libertà di espressione è la forma più alta.

Perché, mi chiedi, qui fra un giornalista e un presidente si sceglie un giornalista? Perché si sceglie l’America e i suoi principi fondamentali. E un presidente che attacca la liberta di espressione non è un buon americano.

Per avere il coraggio, però, di difendere i principi della Costituzione (quella americana come quella italiana) devi essere libero. Solo i liberi possono essere disposti a tutto per difendere la libertà

E noi non siamo liberi e di tutto, questo, credo, sia il nostro limite più invalicabile. L’elemento che ci impedisce di essere all’altezza di ciò che potremmo raggiungere.

I giornali non sono liberi perché i giornalisti sono quasi sempre  legati al potere: i potenti raccomandano e i giornalisti devono poi “proteggerli”; lo so si offenderanno molti colleghi ma questa è la realtà. O, peggio, i giornali sono di proprietà o finanziati da potenti che poi’ chiedono di pagare un prezzo.

E questo vale purtroppo in tutti i luoghi decisionali in cui non si è liberi perché si è legati a doppio giro di corda al potere. Pensa alla televisione pubblica. Pensa a quella privata. Pensa….. Mi viene una tristezza.

E se non c’è libertà non si può essere ribelli. Non si può chiedere o pretendere rispetto. Non si può difendere la Costituzione.

Noi non siamo liberi e in più siamo cinici caro Mario. La corruzione e l’abuso di potere ci hanno resi incapaci di credere che la nostra voce conti qualcosa. Ormai chiediamo un favore “all’amico” pure per ottenere un loculo al cimitero.

Ma se non pensi di poter avere una voce, di poter cambiare qualcosa, se sei convinto che tanto nulla cambia perché cosi sei abituato a vedere, allora credi che il tuo paese sia cosi e che chi, come me, la pensa diversamente è un povero illuso.

Vorrei davvero che venissi qui un giorno, con me cammineresti poco per la quinta strada. E capiresti non solo che NY è davvero la città meno nemica al mondo per i comunisti 🙂 ma che l’America sopravvive a tutto perché crede in se stessa. Perché qua quando dici “we, the people” significa qualcosa.

E gli americani, quando gli fai notare una loro porcheria non dicono MAI “vabbè ma anche voi italiani”. Loro ti dicono “eh sì, questo paese è un disastro” e provano costantemente ad aggiustarlo. Noi ci crediamo perfetti, sempre migliori degli altri. O, nella peggiore delle ipotesi, uguali agli altri.

Sai chi difenderà la CNN che ha fatto causa a Trump per aver sospeso le credenziali a Jim Acosta? Ted Olson. Un avvocato repubblicano, per la precisione quello che difese George Bush nel ri-conteggio dei voti contro Al Gore. Olson è anche colui che ha sfidato la Corte Suprema, con David Boies, avvocato democratico, per abolire il divieto di matrimonio fra persone dello stesso sesso in California.

Perché quando si tratta di difendere ciò su cui si basa la grandezza di questo paese si annullano i partiti: si è solo americani.

Noi, italiani, non lo siamo diventati mai.

Advertisement

Cultura

Sangiuliano e Manfredi non lo vogliono ma Lissner farà lo stesso il soprintendente del San Carlo

Nella vertenza Fondazioni Liriche, è stato stabilito che è illegittimo pensionare i 70enni. Lo ha deciso la Consulta trattando il caso del San Carlo. Il Ministero della Cultura dice che mancano solo necessità e urgenza. La verità è che Lissner farà il soprintendente nonostante i no del ministro Sangiuliano e del sindaco di Napoli Manfredi.

Pubblicato

del

Con la sentenza della Corte Costituzionale cala definitivamente il sipario sul caso del Teatro di San Carlo più di un anno dopo il decreto legge che pensionava i sovrintendenti settantenni dagli Enti lirici e che portò alla cessazione dell’incarico del solo Stephan Lissner (contrattualizzato dal Massimo napoletano fino all’aprile 2025) poi reintegrato nel settembre del 2023 dal Tribunale del Lavoro di Napoli. È stata dichiarata (sentenza n. 146 depositata oggi) l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 3, del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51 (Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 87.

“La Consulta – precisano fonti del ministero della Cultura sulla vicenda – ha evidenziato solo la mancanza dei presupposti di necessità e urgenza di provvedere tramite decreto-legge, senza entrare nel merito della decisione di fissare un’età massima per i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche, che è evidentemente lasciata alle scelte discrezionali del governo”. La vicenda del San Carlo tenne banco la scorsa estate per il susseguirsi di ricorsi e colpi di scena: Lissner infatti era l’unico dei 14 sovrintendenti italiani ad avere già compiuto 70 anni (il 23 gennaio 2023) e per effetto del decreto il suo incarico cessò il 1 giugno.

Il manager francese però decise di combattere ed azionò subito le vie legali. Intanto il 1 agosto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, accoglieva la proposta del Consiglio di Indirizzo della Fondazione presieduta dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi e nominava soprintendente Carlo Fuortes, che a maggio si era dimesso dal ruolo di Ad della Rai e che ai primi di settembre sarebbe stato presentato ufficialmente. Ma la sua esperienza napoletana sarebbe durata pochissimo: Lissner è stato reintegrato dal Tribunale di Napoli il 12 settembre. E lo stesso tribunale il mese successivo non ha accolto il ricorso del CdI della Fondazione contro quel reintegro, ritenendo che il decreto legge sul tetto dei 70 anni d’età violasse diversi principi della Costituzione e, tra gli altri, l’articolo 3, sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Era la seconda vittoria di Lissner. A quel punto la palla è passata alla Corte Costituzionale. Si è arrivati quindi all’ultimo atto odierno con il deposito della sentenza che ribadisce come il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza, “pur affidato all’autonoma scelta politica del governo, è assoggettato a precisi limiti costituzionali e a regole giuridiche indisponibili da parte della maggioranza, a garanzia della opzione costituzionale per la democrazia parlamentare e della tutela delle minoranze politiche”. Tale potere normativo “non può giustificare lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento, che resta la sede della rappresentanza della Nazione (articolo 67 della Costituzione)” e dev’essere esercitato “nel rispetto degli equilibri costituzionalmente necessari”.

Continua a leggere

Cultura

A Aurora Tamigio il Bancarella per ‘Il cognome delle donne’

Pubblicato

del

Aurora Tamigio ha vinto il premio Bancarella 2024 con ‘Il cognome delle donne’ (Feltrinelli): la proclamazione nella serata di ieri a Pontremoli (Massa Carrara), con lo scrutinio in piazza: 185 voti sui 188 possibili i voti assegnati. Un “plebiscito”, spiegano i promotori del premio, alla sua 72/a edizione, che “bissa la vittoria di un’altra donna, Francesca Giannone, autrice de ‘La portalettere’ vincitrice dell’edizione 2023. “Molto vicini ma distanti”, invece, gli altri finalisti: Valeria Galante (Diana e Dario Lama) con ‘La casa delle sirene’ (Mondadori), con 88 preferenze, 84 per Marilù Oliva e la sua ‘L’Iliade cantata dalle dee’ (Solferino), 81 voti per ‘L’inventario delle nuvole’ di Franco Faggiani (Fazi editore), a seguire Emanuela Anechoum con ‘Tangerinn (Edizioni e/o), 66 voti e infine Daniele Pasquini 60, con ‘Selvaggio Ovest’ (Nne).

Continua a leggere

Cultura

Giffoni torna capitale dei film e dei giovani

Pubblicato

del

Sarà che il vero carburante di Giffoni sono proprio i piccoli e i giovani, con le loro menti veloci, l’aria meravigliosamente scanzonata e la smisurata fame di vita, ma anche questa 54/a edizione di quello che Francois Truffaut definì il “Festival più necessario”, dal 19 al 28 luglio, si preannuncia ricca e densa di contenuti ed ospiti importanti. Ma appunto i veri protagonisti saranno ancora loro: i 5mila giffoner da 33 Paesi del mondo con le loro magliette e cappellini colorate dalla tenerezza dei 3 anni fino alla voglia di cambiare il mondo della maggiore età, già arrivati dall’estero e dall’Italia, la maggior parte ospite delle famiglie del territorio. Alle 16.30 verrà tagliato il nastro della nuova sala del Museo Testimoni del Tempo, riservata alle bambine e i bambini di Elements +10 e subito dopo arriverà Vincenzo De Luca, il presidente della regione Campania, principale partner di Giffoni, che sarà accolto dall’ideatore e fondatore Claudio Gubitosi, assieme al sindaco della cittadina campana Antonio Giuliano, al presidente del Festival Pietro Rinaldi e al direttore generale Jacopo Gubitosi.

“Un’emozione che conosciamo bene – spiega il dg Jacopo Gubitosi – ma che ogni anno è sempre diversa, più intensa. È stato un anno molto particolare ma ci siamo e siamo già innamorati di questo bellissimo programma che si svilupperà nei prossimi dieci giorni. Lo abbiamo preparato con cura, con amore, avendo sempre a riferimento quello che è il nostro obiettivo primario, il benessere dei nostri ragazzi, dei nostri giffoner”. L’illusione della distanza è il tema di questa edizione (visibile in streaming attraverso il sito giffoni.it e sui canali social ufficiali), a cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha concesso il suo alto patronato, declinato in tutte le sue forme, in ogni suo spazio, scelto per indicare i pericoli del senso di isolamento che si insinua nella vita delle nuove generazioni con la paura dell’altro, del diverso, del lontano, con l’inganno di sentirsi separati. Molto ricco il programma della prima giornata. Anteprima di apertura “L’ultima settimana di settembre”, l’opera prima di Gianni De Blasi, al cinema dal 12 settembre e distribuita da Medusa Film. Nel cast Biagio Venditti che, assieme al regista, incontrerà i juror.

La produzione è Tramp Limited, in associazione con Passo Uno Cinema e Medusa Film e in collaborazione con Prime Video. E ancora, la seconda stagione di Tutto chiede salvezza, l’attesa serie Netflix prodotta da Picomedia, in piattaforma dal 26 settembre. A raccontarsi saranno il regista Francesco Bruni, lo sceneggiatore e autore del romanzo Daniele Mencarelli, insieme ai protagonisti Federico Cesari, Fotinì Peluso e Drusilla Foer. I tantissimi incontri dei talent con i juror partono con Rosa Diletta Rossi e la giovanissima doppiatrice Arianna Craviotto. Attesi anche Paolo Bonolis, Paolo Celata (La7) e l’illustratore e vignettista Fabio Magnasciutti. Nel corso della prima giornata di festival sarà presentato il progetto Impatto giovani, seconda edizione dell’iniziativa co-finanziata dal Dipartimento per le Politiche Giovanili ed il Servizio Civile Universale e poi il nuovo capitolo della collaborazione tra Giffoni ed il Parco Archeologico di Paestum e Velia: la presentazione del cortometraggio Elea – La rinascita con il contributo della regione Campania e alla presenza di Filippo Ungaro, responsabile della comunicazione e portavoce Unhcr Italia. Torna infine Vivo Giffoni StreetFest, il festival diffuso di arte, teatro, laboratori, realizzato in collaborazione con Casa del contemporaneo e le nuvole – Teatro, Arte, Scienza con oltre 100 eventi. E dalle 21, nella Piazza della Cittadella, sarà possibile osservare la luna e le stelle grazie al Centro Astronomico “Neil Armstrong” di Salerno.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto