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Politica

Di Maio attacca le lobby che vogliono sabotare il decreto dignità e promette: ora via le pensioni d’oro

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Sul decreto Dignità che faceva a pezzi il Job’s Act da tempo l’ex premier Matteo Renzi tuonava e ironizzava. Per giorni sui social l’ex leader del Pd ha martellato contro Luigi Di Maio. L’ultima accusa è stata quella secondo cui il ministro del Lavoro avrebbe previsto nel suo decreto la perdita di 80mila posti di lavoro in pochi anni. A questa ironia, Di Maio non ha mostrato il fianco. «Mi faccio proprio una risata perché 80mila posti in meno è un numero che non sta da nessuna parte». E coì il ministro del Lavoro e dello Sviluppo dapprima se la ride, ma poi mastica amaro nel leggere sui giornali quella cifra. Una proiezione nel decennio di quegli 8mila posti all’anno in meno per effetto del “dl dDignità”’, stimati nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto. Di Maio non solo rinnega quella proiezione. Ma sempre via social, con un video su Fb, avanza l’ipotesi di un sabotaggio di una “manina” che nottetempo avrebbe inserito questo dato nel testo al solo scopo di rendere sempre più accidentato il percorso politico e poi parlamentare del Decreto. Per questa vicenda l’irritazione di M5s appare palese verso la burocrazia del ministero dell’Economia e delle Finanze. Volano accuse contro l’ignoto o gli ignoti che hanno inserito la stima della perdita dei posti di lavoro. Nel Movimento 5 Stelle c’è anche chi parla di una volontà di fare un “repulisti” nella Ragioneria generale dello Stato. Si arriva allo scontro frontale tra politici e funzionari del ministero dell’Economia.

Da via XX Settembre smentiscono subito di non aver toccato o ritoccato il Decreto Dignità. Fanno sapere che le relazioni sono presentate insieme ai provvedimenti dalle amministrazioni proponenti, in questo caso il Lavoro, giunto al Tesoro corredato della relazione tecnica con tutti i dati. La Ragioneria generale dello Stato si limita solo a valutare oneri e coperture, si specifica. Ma non bastasse questa spiegazione che allontana ogni sospetto dal disastro dell’Economia, c’è subito una nuova querelle che emerge. Secondo fonti del M5s il sospetto cade su persone vicine al Pd e in particolare all’ ex ministro Pier Carlo Padoan che potrebbero aver provato a sabotare il Decreto del ministro Di Maio. Una accusa che fa inalberare Padoan che respinge “sdegnosamente” ciò che si vuole «insinuare » sulla sua «ex squadra» e invita chi lancia questi sospetti a denunciare subito perché se fossero vere “Sarebbero accuse di gravità incredibile”.

Di Maio va, poi, all’ attacco delle “lobby che si stanno scagliando contro il decreto”, testo che la prossima volta farà girare “sotto scorta”, promette ironico. E insiste, parlando da Matera: “Non è la parte politica ad avere inserito quei numeri nella relazione tecnica”. Si è trattato, rimarca, “chiaramente di un colpo basso: ci hanno voluto dare il ‘benvenuto’ come governo”.

Quello degli 8mila posti in meno, aveva detto partendo all’attacco in diretta Facebook, dato “che per me non ha alcuna validità, è apparso la notte prima che il dl venisse inviato al Quirinale. Non è un numero messo dai miei ministeri o altri ministri”. 

Luigi Di Maio. Il ministro del Lavoro in viaggio verso Matera per una manifestazione del M5S. Nel video postato su Fb, al minuto 7 parla del sabatoggio del Decreto Dignità

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Economia

Equo compenso per i professionisti, via libera del Senato

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Il via libera definitivo si avvicina per le norme sulla giusta remunerazione per le prestazioni dei professionisti, “orfani” dal 2006 delle tariffe (abolite con le ‘Lenzuolate’ dell’allora ministro Pier Luigi Bersani): al Senato è scattato, infatti, il semaforo verde all’unanimità e per alzata di mano sul disegno di legge di FdI e Lega, ma sarà necessario un terzo passaggio alla Camera, perché a Palazzo Madama è stato modificato il riferimento normativo ad un articolo del codice di procedura civile abrogato dalla riforma dell’ex Guardasigilli Marta Cartabia, in vigore dal 28 febbraio. Il provvedimento prevede che le imprese bancarie e assicurative (e loro controllate e mandatarie), nonché le aziende con più di 50 dipendenti, o con un fatturato di oltre 10 milioni debbano versare al professionista a cui affidano incarichi un compenso equo, ossia “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro”, nonché “conforme ai parametri ministeriali” per la determinazione delle remunerazioni. Gli accordi per pagamenti “al ribasso” saranno nulli, così come qualsiasi patto che vieti al lavoratore autonomo di pretendere acconti in corso d’opera e che attribuisca al cliente “vantaggi sproporzionati”.

Nel contempo gli Ordini e i Collegi potranno sia sanzionare i loro iscritti che accetteranno di incassare somme al di sotto di quelle fissate dai parametri ministeriali, sia promuovere una “class action” per difenderli (chance, questa, che riguarda anche le rappresentanze dei professionisti riuniti in associazioni). È prevista, inoltre, l’istituzione al ministero della Giustizia di un Osservatorio sull’equo compenso per verificare la corretta applicazione delle norme. Nella ‘staffetta’ del disegno di legge al Senato è stata corretta una ‘svista’, ovvero la menzione dell’articolo 702-bis del codice di procedura civile che, fino al 28 febbraio scorso, disciplinava il rito semplificato, sostituito, a partire da quella data, dagli articoli 281-decies e seguenti. Per la relatrice del provvedimento, la senatrice della Lega Erika Stefani, si garantisce “la dignità dei professionisti”, a volte “deboli” al cospetto di “banche, assicurazioni, o Pubblica amministrazione”. Il Pd ha votato a favore, “in linea col principio dell’equo compenso introdotto nel 2017 dall’allora ministro Andrea Orlando”, ha affermato la senatrice Anna Rossomando, anticipando che il centrosinistra tenterà di inserire dei “miglioramenti” alla Camera.

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Politica

Arriva il commissario nazionale contro la siccità

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Nuovo passo del governo contro la siccità: cabina di regia per accelerare e coordinare la pianificazione degli interventi infrastrutturali di medio e lungo periodo e, nel breve periodo, un commissario nazionale fino al 31 dicembre 2023, con un incarico rinnovabile e con un perimetro molto circostanziato di competenze. Questo hanno deciso i partecipanti alla cabina di regia sulla crisi idrica convocata a Palazzo Chigi e presieduta dal vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini a cui hanno partecipato anche altri componenti del governo. L’individuazione del commissario non c’è ancora ma le funzioni sono state delineate. “Potrà agire sulle aree territoriali a rischio elevato e potrà sbloccare interventi di breve periodo come sfangamento e sghiaiamento degli invasi di raccolta delle acque, aumento della capacità degli invasi, gestione e utilizzo delle acque reflue, mediazione in caso di conflitti tra regioni ed enti locali in materia idrica, ricognizione del fabbisogno idrico nazionale.

Sono in corso le valutazioni tecniche per formalizzare la soluzione definitiva”, spiega palazzo Chigi al termine dell’incontro. E’ stata una riunione piuttosto lunga ma anche positiva, hanno sottolineato fonti di governo. Alla fine è passata la linea sostenuta dal titolare dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che, soprattutto a difesa del comparto agricolo colpito dalla siccità, ha spinto per un percorso condiviso per il commissariamento. Sono state quindi superate le riserve di Salvini su questa soluzione, e si è raggiunta una mediazione sulla durata del commissariamento e nel “perimetro molto circostanziato di competenze”, hanno spiegato ancora le fonti. Resta da capire se sarà una figura politica o tecnica. La cabina di regia ha deciso di procedere su due livelli di intervento. Uno immediato, con un decreto (in fase di definizione e potrebbe approdare la settimana prossima in Cdm), per misure che impattino subito da qui all’estate. Uno sul medio-lungo periodo, per individuare un percorso che affronti in modo più strutturale i problemi inevasi negli ultimi anni. La premier Giorgia Meloni, nella replica alle comunicazioni al Senato in vista del Consiglio europeo, è tornata sul tema siccità spiegando che il governo ha “ereditato una questione complessa”.

“Stiamo lavorando a una cabina di regia – ha spiegato – per un piano nazionale di intesa con le regioni, utilizzando nuove tecnologie, avviando una campagna di sensibilizzazione. Il governo sta lavorando a un provvedimento normativo con semplificazioni e deroghe per accelerare lavori essenziali. Intendiamo lavorare anche all’individuazione di un commissario straordinario che abbia poteri esecutivi rispetto a quanto definito dalla cabina di regia”. Una riunione tecnica in mattinata al Mit aveva individuato alcune priorità: pulitura degli invasi e necessità di investimenti per garantire la manutenzione e la realizzazione delle dighe. Alla cabina di regia a Palazzo Chigi hanno partecipato anche i ministri per gli Affari regionali Roberto Calderoli, per la Protezione civile e le politiche del mare Sebastiano Musumeci, per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto, e il sottosegretario Alessandro Morelli e il capo del Dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio. Assente il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto perchè in viaggio verso New York dove interverrà alla plenaria della Conferenza Onu sull’Acqua, in programma dal 22 al 24 marzo.

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Rai, primavera calda tra cambi al vertice e nomine

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Torna a scaldarsi il clima attorno alla Rai, con l’attacco del centrodestra nei confronti di Lucia Annunziata per la parolaccia scappatale nel corso dell’intervista alla ministra Eugenia Roccella e i sindacati che avviano una “grande mobilitazione” per denunciare le carenze nella gestione interna e le ingerenze della politica. Una primavera che si annuncia rovente quella della tv pubblica, anche perché si dovrebbe chiudere a breve il processo di costituzione della Commissione di Vigilanza, che ancora non ha un presidente a quasi sei mesi dall’avvio della legislatura. Non solo: aprile potrebbe essere il mese del cambio alla guida di Viale Mazzini. Bisognerà aspettare l’approvazione del bilancio aziendale per capire come intenderà muoversi la premier Giorgia Meloni.

L’8 aprile il documento verrà presentato al consiglio di amministrazione (che si riunirà anche prima: il 23 marzo per un aggiornamento sulla vicenda Rai Way e il 29 marzo), poi verrà approvato presumibilmente nella seconda metà del prossimo mese. Da allora ogni data sarà buona per il nuovo incontro tra l’ad Carlo Fuortes e la presidente del Consiglio, dopo il quale si capirà il futuro dell’ex sovrintendente dell’Opera di Roma. L’ipotesi più accreditata è quella dell’arrivo alla guida di Viale Mazzini per l’ultimo anno di mandato di un dirigente interno di lungo corso come Roberto Sergio, affiancato da Giampaolo Rossi come direttore generale, poi destinato ad assumere il timone dell’azienda nel prossimo mandato.

Il possibile cambio al vertice dovrebbe produrre presumibilmente una serie di avvicendamenti alla testate e alle direzioni di genere, in parte dovuti al pensionamento di alcuni dei titolari e in parte ad un riequilibrio politico. E’ possibile che un primo intervento arrivi già a maggio, quando dovrebbe scadere il mandato di Antonio Di Bella alla guida della strategica Direzione Approfondimento, che si occupa dei talk, il cui mandato è stato prorogato di un paio di mesi fino al 16 maggio, quando dovrebbe andare in pensione. In uscita ci sono anche Giuseppina Paterniti, alla direzione per l’Offerta Informativa, oltre che la presidente di Rai Com Teresa De Santis e l’amministratore delegato Angelo Teodoli. Tutte caselle che dovrebbero essere riempite in tempi rapidi, forse prima del possibile valzer di poltrone alle testate, che potrebbe includere anche il Tg1 dove vengono dati in lizza per la successione di Monica Maggioni, che potrebbe andare alla guida di una direzione di genere o guidare un programma serale, sia Gian Marco Chiocci, ora direttore dell’AdnKronos, che Nicola Rao, ora alla guida del Tg2.

Tra i possibili spostamenti, che includerebbero anche la direzione Radio Rai se Sergio arrivasse al settimo piano di Viale Mazzini, anche quello di Stefano Coletta, nel mirino della maggioranza dopo le polemiche sul festival di Sanremo, che potrebbe lasciare la guida dell’Intrattenimento Prime Time a Marcello Ciannamea. Anche sui conduttori impazzano le voci di avvicendamenti, che al momento sembrano solo tali, come l’arrivo di Massimo Giletti al posto di Fabio Fazio. Quello che appare, invece, probabile è che per allora ci sarà una Commissione di Vigilanza pienamente operativa, perché la prossima settimana dovrebbe essere eletto il presidente che spetta al Movimento 5 Stelle indicare: i nomi in corsa sono quelli di Riccardo Ricciardi, Barbara Floridia, Chiara Appendino e Stefano Patuanelli. Intanto, i sindacati lanciano l’allarme sia per la carenza di risorse e per l’incertezza del piano industriale, sia per le ingerenze della politica, avviando le procedure di raffreddamento in vista di “una grande mobilitazione”. Una protesta alla quale fa sapere di aderirà anche il sindacato dei dirigenti.

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