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Economia

Crolla la moneta argentina, il presidente Macrì va in tv per annunciare un prestito di 50 miliardi del Fmi

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Mauricio Macri, il presidente dell’ Argentina, che presenta in televisione per spiegare di aver chiesto al Fondo Monetario Internazionale di accelerare il piano di aiuti da 50 miliardi sottoscritto con la presidente Christine Lagarde è lo specchio della drammatica crisi in cui si è ricacciato il paese . Macri, un ex imprenditore eletto due anni fa sulla base di un ampio programma di riforme in senso liberale delle quali finora si è visto ben poco era andato in televisione convinto di lanciare un messaggio rassicurante sia agli argentini, sia alla comunità finanziaria. E, invece, il suo discorso è stato interpretato come una ammissione di difficoltà, amplificata dagli ultimi dati negativi del paese sudamericano.

Mauricio Macrì. Il presidente argentino va in tv per spiegare ai suoi concitttadini il momento difficile

Nei giorni scorsi l’agenzia di rating  Moody’ s ha rivisto al ribasso le stime di crescita, con l’ economia che dovrebbe contrarsi dell’1 per cento, contro una previsione che solo all’ inizio dell’ anno era di crescita del 3 per cento. A interpretare in chiave negativa il suo intervento sono stati soprattutto gli investitori internazionali che hanno cominciato a vendere pesos: già mercoledì la moneta argentina ha perso oltre il 7 per cento sul dollaro, mentre ieri la caduta è stata ancora più clamorosa con un crollo finale del 18 per cento delle quotazioni. Ciò ha costretto la banca centrale argentina a intervenire ancora una volta nel tentativo di porre un freno all’ inflazione e dare una scossa all’ economia: le autorità monetarie di Buenos Aires hanno portato il costo del denaro al 60 per cento, con un aumento di 15% in una sola volta.

La crisi argentina ha avuto ripercussioni anche per Piazza Affari, la peggiore in Europa con una chiusura in negativo dell’1,24 per cento, e per le società esposte nel paese sudamericano. Più di tutte ne ha pagato le conseguenza Tenaris: il gruppo controllato dalla famiglia Rocca, leader nelle infrastrutture in acciaio per tubature e gasdotti, ha nell’Argentina il suo secondo mercato a livello mondiale dopo l’Italia: in Borsa ha chiuso le contrattazioni in caduta del 5,5 per cento. Ma Tenaris non è la sola impresa italiana di un certo livello che dovrà fare i conti, nel suo bilancio, con quanto sta accadendo da inizio anno a Buenos Aires. Ne sa qualcosa, ad esempio, il gruppo Enel: le sue attività – per lo più nelle rinnovabili – tra Argentina e Brasile hanno già influito a livello di conto economico, dove la semestrale ha scontato il deprezzamento delle monete locali. Lo stesso vale per Pirelli, che ha appena raddoppiato il suo storico stabilimento degli pneumatici, per Salini Impregilo che gestisce alcune concessioni autostradali, per Ferrero che è presente in Argentina dal 2005 e ha investito in dieci anni oltre 50 milioni per l’ attività dedicata a prodotti di cioccolata. 

Una crisi che ci riguarda da vicino non solo per i legami storici dovuti all’ immigrazione italiana oltre Atlantico, ma anche per i rapporti consolidati che vanno ben al là delle società più note. Complessivamente, le esportazioni nel 2017 sono state pari a 1,34 miliardi di euro, in aumento rispetto a 1,15 miliardi dell’ anno precedente. E soltanto un anno fa, una corposa delegazione guidata da Mise e Confindustria aveva dato il via a una nuova serie di accordi commerciali. Missione a cui aveva fatto seguito a fine 2017, una nuova trasferta dedicata alle imprese del settore energia, in cerca di contratti in vista dell’ ambizioso piano per lo sviluppo delle energie rinnovabili e nella ricerca ed estrazione di gas naturale.

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Ok al decreto Ponte. Il Mit, “Opera da record”

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Via libera al Decreto per il Ponte sullo Stretto di Messina. “Una scelta storica, che apre a una infrastruttura da record mondiale e con forte connotazione green”, afferma il ministero delle Infrastrutture che spiega che gli uffici hanno terminato gli ultimi approfondimenti, confermando il testo che era stato approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 16 marzo con la formula “salvo intese”. Il provvedimento, si apprende, è stato firmato dal Capo dello Stato e va in Gazzetta Ufficiale. Il ministero sottolinea come il Ponte permetterà “una drastica riduzione dell’inquinamento da Co2 e un calo sensibile degli scarichi in mare”. E “significativo” è l’aspetto economico: il costo per la realizzazione del Ponte e di tutte le opere ferroviarie e stradali di accesso su entrambe le sponde è oggi “stimato in 10 miliardi”, sottolinea il Mit, facendo presente che dal 2019 al 2022, il “Reddito di Cittadinanza ha avuto un impatto per le casse dello Stato di 25 miliardi”.

Con il completamento dell’alta velocità in Calabria e Sicilia e la messa in esercizio del Ponte, si stima “un dimezzamento” dei tempi di percorrenza da Roma a Palermo “oggi pari a 12 ore, di cui un’ora e mezza per il solo traghettamento dei vagoni” e si inserisce nel tracciato del Corridoio multimodale Scandinavo-Mediterraneo. Il ministero di Porta Pia illustra quindi il progetto. L’attraversamento stabile sullo stretto è stato progettato secondo lo schema del ponte sospeso. Il progetto tecnico attualmente disponibile consiste in circa 8.000 elaborati e prevede una lunghezza della campata centrale tra i 3.200 e i 3.300 metri, a fronte di 3.666 metri di lunghezza complessiva comprensiva delle campate laterali, 60,4 metri larghezza dell’impalcato, 399 metri di altezza delle torri, 2 coppie di cavi per il sistema di sospensione, 5.320 metri di lunghezza complessiva dei cavi.

L’opera è costituita da 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (2 + 1 emergenza) e 2 binari ferroviari, per una capacità dell’infrastruttura pari a 6.000 veicoli/ora e 200 treni/giorno. E’ stata progettata con “una resistenza al sisma pari a 7,1 magnitudo della scala Richter”, con un impalcato aerodinamico di “terza generazione” stabile fino a velocità del vento di 270 km/h. In concreto, conclude il Mit, l’operazione-Ponte riparte così: la società Stretto di Messina, in liquidazione, torna in bonis e si trasforma in una società in house. L’assetto societario prevede la partecipazione di Rfi, Anas, delle Regioni Sicilia e Calabria e per una quota non inferiore al 51% di Mef e Mit.

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Accordo Ue, più rinnovabili e sì a idrogeno da nucleare

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Quindici ore di trattative notturne per alzare l’asticella delle ambizioni ‘green’ dell’Europa e nobilitare il ruolo del nucleare nella produzione dell’idrogeno pulito, pomo della discordia di un duello tra i Ventisette che al momento premia Parigi ma che continuerà a tenere banco nei mesi a venire. Con un faticoso compromesso, le istituzioni Ue hanno fatto un altro passo avanti sul maxi-pacchetto ‘Fit for 55’ per trasformare il Vecchio Continente in una parte di mondo a emissioni zero entro il 2055. A partire dal raddoppiare sulle rinnovabili: l’obiettivo vincolante è di renderle protagoniste del 42,5% dei consumi finali Ue di energia elettrica entro il 2030. Soglie da raggiungere con una decisa decarbonizzazione dell’industria, permessi più veloci, maggiore efficienza per gli edifici, e tagli delle emissioni per i trasporti. In linea con la volontà, sempre più forte dall’inizio dell’aggressione russa in Ucraina, di conquistare “una sovranità energetica” capace, negli auspici del vicepresidente Ue Frans Timmermans, di ridurre insieme importazioni fossili e bollette. In costante ascesa dal 2004, la quota delle rinnovabili sul suolo europeo si attesta ora intorno al 22%. L’obiettivo del 42,5%, nelle stime offerte dall’eurodeputato Markus Pieper alla testa della maratona negoziale, al momento sembra essere alla portata soltanto della Svezia.

Ma presto potrebbero arrivare anche la Finlandia e, a catena, un drappello di Nordici e Baltici, anche grazie al riconoscimento delle biomasse tra le fonti pulite. Un’avanzata che sarà sospinta – nel solco di quanto già indicato nel RePowerEu – da autorizzazioni più veloci con limiti massimi compresi tra i 18 e i 27 mesi, che potrebbero aiutare anche l’Italia sbloccare decine di progetti legati al fotovoltaico e all’eolico. Accanto, vi sono anche un obiettivo indicativo di almeno il 49% di fonti pulite negli edifici entro il 2030, il taglio dell’intensità dei gas serra del 14,5% o un target ‘green’ del 29% nei trasporti, settore nel quale – dopo il recente scontro sullo stop ai motori termici dal 2035 – viene contemplato anche l’uso di ‘biocarburanti avanzati’. Ma la nuova meta finale sulle rinnovabili può fare da traino anche quelle capitali – Parigi in testa – che insistono per giocarsi l’asso del nucleare. Dopo giorni di pressing il governo francese ha ottenuto che l’idrogeno prodotto dall’atomo fosse incluso nell’accordo: potrà essere conteggiato per coprire il 20% dei target di produzione di idrogeno rinnovabile fissati al 42% entro il 2030 e al 60% entro il 2035. Uno ‘sconto’ che tuttavia può essere ottenuto solo al verificarsi di due condizioni: se chi vuole usare l’atomo è in linea con l’obiettivo generale del 42,5% di rinnovabili; e se la quota di idrogeno da combustibili fossili consumata nel Paese non sarà superiore al 23% nel 2030 e al 20% nel 2035. Un compromesso capace di portare alla fine a bordo anche Germania, Austria e Lussemburgo, già pronte a dare battaglia contro i mini reattori nucleari e a qualsiasi forma di equivalenza tra l’atomo e le energie verdi anche nel piano industriale Ue ‘Net-Zero’ ancora da negoziare.

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Pnrr, Ferraris (FS): maggiore flessibilità sarebbe utile

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 “Il Pnrr ci offre l’opportunità di ammodernare le nostre infrastrutture e ridurre il divario tra Nord e Sud Italia. Il gruppo Fs è in linea con le scadenze previste. Tuttavia poter contare su una maggiore flessibilità sarebbe auspicabile e utile”. A dirlo Luigi Ferraris, amministratore delegato del gruppo FS, al Foro di dialogo Italia-Spagna sottolineando che “il gruppo Fs vuole essere protagonista del cambiamento, ma consideriamo anche le criticità affrontate in questi periodi. Guerra in Ucraina, crisi energetica, aumento delle materie prime hanno reso più difficile il percorso e il rispetto dei tempi imposti dal Pnrr”. “La rete ferroviaria in Italia è di oltre 17mila chilometri – ha spiegato Ferraris – l’obiettivo è dotarla totalmente di fibra ottica. Un progetto ambizioso, ma realizzabile” e il “vantaggio non sarà solo per chi viaggia e vuole lavorare in treno, ma la fibra verrà messa anche a disposizione di tutti i territori attraversati dal treno. La fibra ottica potrà inoltre consentire anche il trasporto di dati favorendo ancora di più il monitoraggio dell’infrastruttura”. “Il nostro competitor – ha concluso – deve essere il trasporto privato. Proprio per questa ragione lanceremo, a partire da giugno, una piattaforma dove i viaggiatori, con un unico accesso potranno acquistare uno o più biglietti coniugando i vari tipo di trasporto urbano e nazionale, gomma e ferro”.

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