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Economia

Corte dei Conti: sovvenzioni alle aziende dell’aerospazio, lo Stato ha versato 2 miliardi e ne ha visti tornare meno di 400 miliomi

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Lo Stato generoso. Finanzia  l’industria aeronautica, sovvenzionando aziende piccole e grandi, permettendo la costruzione di bimotori ed elicotteri, garantendo la nascita di velivoli best seller sui mercati internazionali. Soldi non regalati, ma concessi come prestito all’industria civile e con l’obbligo di rifondere parte degli introiti per quella militare. Solo che il ministero si dimentica di chiedere le restituzioni. Parliamo  di due miliardi circa versati tra il 2008 e il 2014, mentre all’Erario sono tornate solo briciole: 347 milioni, pari al 17,5 per cento. L’ ultimo dossier della Corte dei conti sui fondi pubblici al settore aerospaziale è raccapricciante. Dal 2003 la magistratura contabile raccomanda di fare luce sul mistero dei rimborsi fantasma ed introdurre verifiche concrete. Poi nel 2008 è intervenuta pure l’Unione Europea, sancendo che questi finanziamenti devono essere prestiti e non aiuti tout court. Invece nulla. Ogni anno si stabiliscono erogazioni gigantesche ma nessuno va a vedere come vengono spese, se l’ investimento finisce realmente in Italia e soprattutto nessuno impone la restituzione: fiumi di milioni continuano a venire consegnati a società che sono morose da un decennio. Non c’è neppure uno studio serio che certifichi l’ impatto o meno di questi quattrini sullo sviluppo del settore.


Tutto alla cieca. Nonostante la somma complessiva dei finanziamenti deliberati fino all’ aprile 2018 sia di cinque miliardi e 700 milioni, di cui 3.200 milioni già versati. Protagonista di queste incaute elargizioni è il Ministero dello Sviluppo Economico, che non riesce nemmeno a sapere quanti soldi vadano rimborsati e da chi.   Di fronte alle insistenze dei magistrati, la scorsa primavera si è limitato a mandare delle letterine alle aziende, proponendo pure una dilazione rateale. Missive surreali di una paginetta del tipo « su un totale erogato di 161 milioni tra il 1995 e il 2008 risultano effettuati rimborsi per 73 milioni. Si invita pertanto alla restituzione delle somme corrispondenti alle rate scadute ». E in calce l’ Iban dove fare il bonifico. Un modo fantozziano di pretendere indietro 88 milioni di euro: qualunque amministratore di condominio avrebbe fatto di più Le risposte a questi blandi ultimatum ovviamente sono state “elusive”. I giudici parlano di “reticenza” delle imprese, private o a partecipazione pubblica. In più c’ è la complessità delle normative che rende la materia nebulosa e opaca. Ad esempio, il gruppo Leonardo, l’ ex Finmeccanica, ogni tanto fa versamenti forfettari, che non si riesce a collegare ai singoli finanziamenti. Ma i conti non tornano. Se guardiamo ai programmi dedicati all’ industria bellica sotto la voce ” sicurezza nazionale”, scopriamo che soltanto l’ 8,85% delle sovvenzioni è stato rimborsato: 112 milioni su 1.268.


Nella sterminata lista della spesa spiccano velivoli di grande successo. C’ è l’ elicottero Agusta Aw139: in tutto il mondo ne sono stati venduti quasi 900 con incassi stimabili ben oltre un miliardo e a settembre è stato adottato persino dall’ aviazione statunitense. O l’ elicottero EH101, acquistato da militari in ogni continente. Tra il 1997 e il 2008 lo Stato li ha sponsorizzati con oltre 300 milioni. Sapete quanti ne ha avuti indietro? Trentacinque. Un pessimo investimento. Nel settore civile la percentuale dei rientri è più alta, pari a poco meno del 33%: in questo caso però le restituzioni dovrebbero essere quasi totali perché i prodotti sono tutti destinati al mercato. Invece no. Ci sono 35 progetti pagati interamente dal Mise e conclusi da anni senza alcun rimborso. La piccola Vulcanair di Casoria, solo per citare un esempio, nel 2007 ha avuto 15 milioni per realizzare un bimotore e altri 13 milioni l’ anno dopo senza rifondere alcunché. Questo nonostante l’ avvocatura dello Stato sia stata chiara: i risarcimenti devono esserci sempre. Invece ci sono aziende che esportano aerei nati grazie ai fondi statali e che non hanno mai riconsegnato un euro. E nessuno glieli ha chiesti.
Una vera pacchia. Su 712 milioni erogati per il settore civile ne sono stati recuperati 234. Il buco nero riguarda pure i programmi internazionali, dove il Mise si fa carico sia dello sviluppo che dei mezzi destinati alle forze armate nazionali. Avrebbe diritto a una quota delle esportazioni, ma nessuno sa calcolarla e non è stata mai rivendicata. Eppure il caccia europeo Eurofighter, l’ esborso record con una dozzina di miliardi, è stato venduto in 127 esemplari ad Austria, Arabia Saudita, Oman, Qatar e Kuwait: si tratta di aerei che costano un centinaio di milioni l’ uno. E un altro velivolo europeo, l’ elicottero NH90 per cui il Mise ha elargito già 3 miliardi e mezzo, ha trovato parecchi compratori. Eppure lo Stato non ha recuperato neanche gli spiccioli Il Ministero ha dato la colpa all’ assenza di un database, introdotto solo da poco.
La Corte dei conti replica definendo particolarmente lacunosa e trascurata l’ attività di monitoraggio »: servirebbero ispezioni annuali negli impianti, per capire dove e come vengono spesi i soldi pubblici e certificare le vendite.
Ma il Mise sostiene di non avere esperti. Ora vorrebbe destinare 200 mila euro per ingaggiare un pool di tecnici, usando parte degli stessi finanziamenti.
Il Ministero delle Finanze ha bocciato l’ iniziativa: non si possono usare per le verifiche gli stanziamenti per lo sviluppo tecnologico. Ha però suggerito di impiegare i cosiddetti “residui passivi”.
Verrà ascoltato? In fondo si tratta solo di qualche miliardo, che ha preso letteralmente il volo.

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Ok al decreto Ponte. Il Mit, “Opera da record”

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Via libera al Decreto per il Ponte sullo Stretto di Messina. “Una scelta storica, che apre a una infrastruttura da record mondiale e con forte connotazione green”, afferma il ministero delle Infrastrutture che spiega che gli uffici hanno terminato gli ultimi approfondimenti, confermando il testo che era stato approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 16 marzo con la formula “salvo intese”. Il provvedimento, si apprende, è stato firmato dal Capo dello Stato e va in Gazzetta Ufficiale. Il ministero sottolinea come il Ponte permetterà “una drastica riduzione dell’inquinamento da Co2 e un calo sensibile degli scarichi in mare”. E “significativo” è l’aspetto economico: il costo per la realizzazione del Ponte e di tutte le opere ferroviarie e stradali di accesso su entrambe le sponde è oggi “stimato in 10 miliardi”, sottolinea il Mit, facendo presente che dal 2019 al 2022, il “Reddito di Cittadinanza ha avuto un impatto per le casse dello Stato di 25 miliardi”.

Con il completamento dell’alta velocità in Calabria e Sicilia e la messa in esercizio del Ponte, si stima “un dimezzamento” dei tempi di percorrenza da Roma a Palermo “oggi pari a 12 ore, di cui un’ora e mezza per il solo traghettamento dei vagoni” e si inserisce nel tracciato del Corridoio multimodale Scandinavo-Mediterraneo. Il ministero di Porta Pia illustra quindi il progetto. L’attraversamento stabile sullo stretto è stato progettato secondo lo schema del ponte sospeso. Il progetto tecnico attualmente disponibile consiste in circa 8.000 elaborati e prevede una lunghezza della campata centrale tra i 3.200 e i 3.300 metri, a fronte di 3.666 metri di lunghezza complessiva comprensiva delle campate laterali, 60,4 metri larghezza dell’impalcato, 399 metri di altezza delle torri, 2 coppie di cavi per il sistema di sospensione, 5.320 metri di lunghezza complessiva dei cavi.

L’opera è costituita da 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (2 + 1 emergenza) e 2 binari ferroviari, per una capacità dell’infrastruttura pari a 6.000 veicoli/ora e 200 treni/giorno. E’ stata progettata con “una resistenza al sisma pari a 7,1 magnitudo della scala Richter”, con un impalcato aerodinamico di “terza generazione” stabile fino a velocità del vento di 270 km/h. In concreto, conclude il Mit, l’operazione-Ponte riparte così: la società Stretto di Messina, in liquidazione, torna in bonis e si trasforma in una società in house. L’assetto societario prevede la partecipazione di Rfi, Anas, delle Regioni Sicilia e Calabria e per una quota non inferiore al 51% di Mef e Mit.

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Accordo Ue, più rinnovabili e sì a idrogeno da nucleare

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Quindici ore di trattative notturne per alzare l’asticella delle ambizioni ‘green’ dell’Europa e nobilitare il ruolo del nucleare nella produzione dell’idrogeno pulito, pomo della discordia di un duello tra i Ventisette che al momento premia Parigi ma che continuerà a tenere banco nei mesi a venire. Con un faticoso compromesso, le istituzioni Ue hanno fatto un altro passo avanti sul maxi-pacchetto ‘Fit for 55’ per trasformare il Vecchio Continente in una parte di mondo a emissioni zero entro il 2055. A partire dal raddoppiare sulle rinnovabili: l’obiettivo vincolante è di renderle protagoniste del 42,5% dei consumi finali Ue di energia elettrica entro il 2030. Soglie da raggiungere con una decisa decarbonizzazione dell’industria, permessi più veloci, maggiore efficienza per gli edifici, e tagli delle emissioni per i trasporti. In linea con la volontà, sempre più forte dall’inizio dell’aggressione russa in Ucraina, di conquistare “una sovranità energetica” capace, negli auspici del vicepresidente Ue Frans Timmermans, di ridurre insieme importazioni fossili e bollette. In costante ascesa dal 2004, la quota delle rinnovabili sul suolo europeo si attesta ora intorno al 22%. L’obiettivo del 42,5%, nelle stime offerte dall’eurodeputato Markus Pieper alla testa della maratona negoziale, al momento sembra essere alla portata soltanto della Svezia.

Ma presto potrebbero arrivare anche la Finlandia e, a catena, un drappello di Nordici e Baltici, anche grazie al riconoscimento delle biomasse tra le fonti pulite. Un’avanzata che sarà sospinta – nel solco di quanto già indicato nel RePowerEu – da autorizzazioni più veloci con limiti massimi compresi tra i 18 e i 27 mesi, che potrebbero aiutare anche l’Italia sbloccare decine di progetti legati al fotovoltaico e all’eolico. Accanto, vi sono anche un obiettivo indicativo di almeno il 49% di fonti pulite negli edifici entro il 2030, il taglio dell’intensità dei gas serra del 14,5% o un target ‘green’ del 29% nei trasporti, settore nel quale – dopo il recente scontro sullo stop ai motori termici dal 2035 – viene contemplato anche l’uso di ‘biocarburanti avanzati’. Ma la nuova meta finale sulle rinnovabili può fare da traino anche quelle capitali – Parigi in testa – che insistono per giocarsi l’asso del nucleare. Dopo giorni di pressing il governo francese ha ottenuto che l’idrogeno prodotto dall’atomo fosse incluso nell’accordo: potrà essere conteggiato per coprire il 20% dei target di produzione di idrogeno rinnovabile fissati al 42% entro il 2030 e al 60% entro il 2035. Uno ‘sconto’ che tuttavia può essere ottenuto solo al verificarsi di due condizioni: se chi vuole usare l’atomo è in linea con l’obiettivo generale del 42,5% di rinnovabili; e se la quota di idrogeno da combustibili fossili consumata nel Paese non sarà superiore al 23% nel 2030 e al 20% nel 2035. Un compromesso capace di portare alla fine a bordo anche Germania, Austria e Lussemburgo, già pronte a dare battaglia contro i mini reattori nucleari e a qualsiasi forma di equivalenza tra l’atomo e le energie verdi anche nel piano industriale Ue ‘Net-Zero’ ancora da negoziare.

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Pnrr, Ferraris (FS): maggiore flessibilità sarebbe utile

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 “Il Pnrr ci offre l’opportunità di ammodernare le nostre infrastrutture e ridurre il divario tra Nord e Sud Italia. Il gruppo Fs è in linea con le scadenze previste. Tuttavia poter contare su una maggiore flessibilità sarebbe auspicabile e utile”. A dirlo Luigi Ferraris, amministratore delegato del gruppo FS, al Foro di dialogo Italia-Spagna sottolineando che “il gruppo Fs vuole essere protagonista del cambiamento, ma consideriamo anche le criticità affrontate in questi periodi. Guerra in Ucraina, crisi energetica, aumento delle materie prime hanno reso più difficile il percorso e il rispetto dei tempi imposti dal Pnrr”. “La rete ferroviaria in Italia è di oltre 17mila chilometri – ha spiegato Ferraris – l’obiettivo è dotarla totalmente di fibra ottica. Un progetto ambizioso, ma realizzabile” e il “vantaggio non sarà solo per chi viaggia e vuole lavorare in treno, ma la fibra verrà messa anche a disposizione di tutti i territori attraversati dal treno. La fibra ottica potrà inoltre consentire anche il trasporto di dati favorendo ancora di più il monitoraggio dell’infrastruttura”. “Il nostro competitor – ha concluso – deve essere il trasporto privato. Proprio per questa ragione lanceremo, a partire da giugno, una piattaforma dove i viaggiatori, con un unico accesso potranno acquistare uno o più biglietti coniugando i vari tipo di trasporto urbano e nazionale, gomma e ferro”.

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