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Cronache

Omicidio Ciro Esposito. La Suprema Corte di Cassazione non fa sconti a Daniele De Santis: è un assassino e deve restare in cella

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La Suprema Corte di Cassazione rigetta la richiesta di un ulteriore sconto di pena a Daniele De Santis e lo condanna definitivamente a 16 anni di reclusione. Confermando dunque la condanna inflitta in sede di Appello quando i giudici di secondo concessero all’assassino Daniele De Santis uno sconto di 10 anni di carcere. In primo grado infatti l’ultras romano era stato condannato a 26 anni. Per i giudici del Palazzaccio De Santis non si difese e dunque non ci fu un eccesso nella difesa ma sparò quei cinque colpi a ripetizione provocando un omicidio volontario. L’omicidio del giovane tifoso del Napoli Ciro Esposito.

Era il tre maggio del 2014 quando Ciro Esposito fu assassinato brutalmente. A distanza di più di quattro anni, si chiude in via definitiva il processo a carico di Daniele De Santis. la Cassazione rispetto alla condanna in Appello ha confermato i sedici anni di reclusione, ed ha rigettata la pista della legittima difesa presentata al centro del ricorso della difesa del supporter giallorosso. Un tentativo maldestro di ottenere un ulteriore sconto di pena rigettato.

“Una vittoria” parziale per Antonella Leardi la condanna dell’assassino di Ciro.

Di seguito le tappe di una vicenda drammatica che cominciò sull’asfalto di una  strada di Roma dove Ciro fu preso a pistolettate dall’ultras della Roma e si è concluso solo stasera in Cassazione alla fine di un processo durissimo nel corso del quale la famiglia Esposito, i genitori di Ciro, Giovanni Esposito e Antonella Leardi, hanno sempre dato prova di grande civiltà fierezza e dimostrato sempre di avere sete di giustizia. Assistiti in questa battaglia dallo studio legale di Angelo e Sergio Pisani. La sentenza della Cassazione lascia parzialmente soddisfatto l’avvocato Angelo Pisani. “Finalmente si scrive la parola fine rispetto ad un crimine efferato ed ingiustificabile che ha colpito la famiglia Esposito, la città di Napoli e lo sport. La conferma della sentenza di appello di condanna a 16 anni di carcere peer De Santis è una buona notizia, ma non c’è stato coraggio nel corso del processo. In ogni caso le sentenze si rispettano. Ora speriamo che questo signore sconti tutta la pena in cella” dice l’avvocato Pisani

 

E ora l’avvocato Pisani denuncia l’ultimo rischio: è già tutto pronto, perizie mediche comprese, per mandare a casa l’assassino De Santis

 

Ecco le tappe della vicenda
3 maggio 2014: all’Olimpico di Roma si disputa la finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina. Allo stadio è previsto l’arrivo di numerosi autobus con i tifosi delle due squadre. Il servizio dordine previsto dalla Questura di Roma è organizzato in modo che le due tifoserie non debbano incontrarsi ma nessuno si pone il problema che ci sono gli ultras della Roma in giro.

Giovanni Esposito e Antonella Leardi. I genitori di Ciro Esposito

Ciro Esposito, 26 anni, meccanico è tifoso del suo Napoli da sempre, con la merenda preparata dalla mamma Antonella arriva su un pullman che ha seguito il percorso indicato per i napoletani nelle vicinanze dell’Olimpico. In via Tor di Quinto. È lì che i bus dei tifosi del Napoli vengono accolti dalle bombe carta lanciate da un ultras romanista: Daniele De Santis, che è appena uscito da un circolo della zona. A bordo ci sono donne e bambini. Lui stesso dice a tutti di scendere dal mezzo. Poi scappa via e quando vede un gruppetto sopraggiungere, prende la pistola e spara. Colpendo Ciro Esposito. Si capisce subito che il ragazzo è grave. Ma ci vuole tempo per far arrivare l’ambulanza. E mentre Ciro è sul selciato all’interno dello stadio Olimpico si sparge la voce che il ragazzo non ce l’ha fatta. 
Ciro viene finalmente soccorso e portato in Ospedale. All’interno i tifosi delle curve del Napoli e della Fiorentina parlamentano con esponenti della società ( nel caso dei viola) e con Hamsik (inviato dalla società su richiesta del Questore di Roma): chiedono che non si giochi se Ciro è davvero morto. Ricevute rassicurazioni in tal senso, la finale di Coppa Italia ha inizio, in un clima stranissimo. Il Napoli vince ma nessuno ha voglia id festeggiare. Il pensiero è al Policlinico Gemelli dove un giovane napoletano sta lottando tra la vita e la morte.
52 giorni: tanto dura l’agonia di Ciro Esposito che alterna qualche momento in cui sembra riprendersi, dice qualche parola al papà e alla mamma, racconta – spiegano i familiari – che De Santis gli ha sparato ma che non era da solo. Poi peggiora, entra in coma e il suo cuore cessa di battere il 25 giugno 2014 alle 6 del mattino.
https://www.juorno.it/una-vittoria-parziale-per-antonella-leardi-la-condanna-dellassassino-di-ciro/
 Durante i vari gradi di giudizio del processo per questo assassinio si verificano numerosi colpi di scena ma il 24 maggio del 2016, a due anni quasi dalla morte di Ciro la terza Corte d’Assise di Roma dopo 4 ore di camera di consiglio condanna l’ultrà giallorosso a 26 anni di carcere Daniele De Santis e al risarcimento di 140 mila euro alla famiglia Esposito.
 Un anno dopo in Corte d’Assise d’Appello di Roma la pena per De Santis viene ridotta a 16 anni: per lui il Procuratore generale Vincenzo Saveriano aveva chiesto una condanna a 20 anni di reclusione per omicidio volontario. Lo sconto di pena per l’assoluzione dal reato di rissa e dall’esclusione dell’aggravante per futili motivi. Gli altri due imputati del processo, due tifosi del Napoli Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito condannati in primo grado a 8 mesi per risa e lesioni al volto di De Santis, vengono assolti. I difensori del romano annunciano il ricorso in Cassazione.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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