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Politica

Centrodestra molla il governo e scoppia caos in FI

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Lega e Forza Italia ‘mollano’ il governo Draghi, non partecipando al voto di fiducia al Senato, ma lo strappo diventa il detonatore per il partito azzurro. Tra i forzisti si sfiora la rissa e la tensione sale fino all’addio di Mariastella Gelmini. Dopo quasi 25 anni di militanza l’ex fedelissima di Silvio Berlusconi, ma da tempo la piu’ ribelle, lascia il partito: “Ha definitivamente voltato le spalle agli italiani e ha ceduto lo scettro a Matteo Salvini”. E’ il j’accuse della ministra responsabile degli Affari regionali che, prima del voto, annuncia la decisione amara: “Non lo riconosco piu’, non posso restare un minuto di piu’ in questo partito”. Per Gelmini e’ cronaca di un divorzio annunciato, visti i distinguo sempre piu’ frequenti e diventati ormai scontri alla luce del sole. E la ‘rissa’ va in scena sul ring improvvisato di Palazzo Madama. E’ li’ che si sente Gelmini chiedere alla senatrice Licia Ronzulli (che da tempo le ha strappato il ruolo di fedelissima del Cav): “Contenta, ora che hai mandato a casa il governo?”. In risposta riceve parole dure e urlate: “Vai a piangere da un’altra parte e prenditi lo Xanax”. Per ora, Gelmini e’ l’unica a uscire allo scoperto. Ma non e’ un mistero il disappunto condiviso dagli altri due ministri azzurri (Renato Brunetta e Marta Carfagna) e in generale dall’ala governista pure della Lega, oltre ai suoi stessi governatori. Tutti spiazzati dallo strappo che lascia di fatto al centrodestra il cerino della crisi. Eppure, guardando alle prossime settimane, la coalizione si ricompatta in vista delle elezioni anticipate ormai alle porte. E non a caso dopo il voto in Aula, Berlusconi e Giorgia Meloni – la piu’ ferrea sostenitrice del ritorno alle urne, nel centrodestra – si sentono al telefono. Dopo settimane di silenzi e incomprensioni. Lo stesso era successo nel pomeriggio con contatti tra Matteo e Giorgia. La leader di FdI gongola e in un comizio a Roma azzarda: “Se tutto va bene, si potra’ votare anche tra due mesi, noi siamo pronti”. La giornata piu’ lunga per il governo Draghi, e per i senatori che ne segnano il destino, comincia con toni vaghi ma soft. Prima delle attesissime parole di Draghi in aula, Salvini posta un video in cui annuncia sorridente che la Lega “unita e compatta, decidera’ solo e soltanto per il bene e il futuro dell’Italia”. Non immagina gli ‘schiaffi’ che il premier riserva anche al suo partito, non solo al M5s: da quel “sostegno a proteste non autorizzate, e talvolta violente, contro la maggioranza di governo” con cui Draghi si riferisce ai taxisti sostenuti proprio dalla Lega, fino al ‘no’ a un nuovo scostamento di bilancio. Pesano pure le omissioni sulla flat tax, sulla pace fiscale e sull’agognato taglio al reddito di cittadinanza che il presidente del Consiglio non esplicita. Per la Lega, e’ troppo. Il fermento sale in una riunione convocata al volo con Salvini e porta il segretario di nuovo a Villa grande, la residenza romana di Berlusconi. Li’ si ripete il vertice di centrodestra, che ieri aveva gia’ alzato il tiro. Ora si decide di forzare la mano e giocarsi il tutto per tutto. Salvini convince il Cavaliere e passa la linea sovranista. Nonostante tutto e nonostante le perplessita’ dei moderati di entrambi i partiti e dei centristi. La strategia si traduce nella risoluzione – proposta dapprima dalla Lega e poi sottoscritta da FI – che chiede un Draghi bis, prendendo atto che si e’ “rotto il patto di fiducia” dopo la mancata fiducia dei 5 Stelle sul decreto Aiuti il 14 luglio scorso. Ma la fuoriuscita dei grillini non basta: serve un governo “profondamente rinnovato sia per le scelte politiche sia nella composizione”. E si invoca discontinuita’ anche rispetto al Pd e Leu, con la sostituzione dei ministri Lamorgese e Speranza. Ma quando il premier, nella replica, gela il centrodestradicendo che al voto andra’ solo la risoluzione proposta da Pierferdinando Casini che di fatto tiene in vita l’esecutivo, per Lega e FI la misura e’ colma. Segue una nota in cui si mette per iscritto il “grande stupore” per la decisione e si ricorda che Berlusconi in mattinata “aveva comunicato personalmente al capo dello Stato, Sergio Mattarella e al premier Mario Draghi la disponibilita’ del centrodestra di governo a sostenere la nascita di un esecutivo da lui guidato e fondato sul “nuovo patto” che proprio Mario Draghi ha proposto in Parlamento”. Fino allo strappo in aula. Ma a sera Salvini non ci sta a prendersi colpe e punta il dito: “Draghie l’Italia sono state vittime, da giorni, della follia dei 5 Stelle e dei giochini di potere del Pd”.

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Politica

Tajani: «Alto rischio di escalation, ma non siamo alla vigilia di una guerra mondiale. L’Italia lavora per una mediazione»

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In un momento drammatico per gli equilibri internazionali, il ministro degli Esteri Antonio Tajani lancia l’allarme sul rischio che la guerra tra Israele e Iran possa estendersi ad altri Paesi del Medio Oriente, ma esclude l’ipotesi di una guerra mondiale. Lo fa in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, dove ribadisce l’impegno dell’Italia a mediare, mantenendo contatti aperti con tutte le parti coinvolte.

Il rischio di un’escalation regionale

«La preoccupazione è alta», afferma Tajani, sottolineando che l’Europa deve attivarsi subito coinvolgendo gli Stati arabi moderati per fermare l’escalation. «Non siamo alla vigilia di uno scontro mondiale, ma il rischio di un allargamento del conflitto esiste».

Diplomazia italiana al lavoro

Il ministro rivela di aver avuto numerosi colloqui nelle ultime ore con le controparti di Israele, Iran, Arabia Saudita, Emirati e altri Paesi della regione. «Dall’Iran ho ricevuto un segnale positivo: non intendono ostacolare il traffico commerciale nello Stretto di Hormuz», racconta. L’obiettivo primario, spiega, è rilanciare il dialogo tra Stati Uniti e Iran.

L’arma nucleare come linea rossa

Tajani chiarisce che la possibilità che l’Iran possa dotarsi dell’arma nucleare è per l’Italia “inaccettabile”. «Il governo iraniano deve offrire segnali concreti di pace, a cominciare dalla rinuncia al nucleare militare», afferma.

La posizione dell’Italia sull’attacco israeliano

Alla domanda se l’Italia consideri legittimo l’attacco di Israele, Tajani risponde: «Israele ha il diritto di difendersi da una minaccia che da anni lo vorrebbe cancellare dalla carta geografica. La fine del conflitto è l’unico vero obiettivo da perseguire».

Sulla possibilità che il regime iraniano possa crollare sotto i colpi dell’operazione israeliana “Il Leone nascente”, Tajani risponde che il nome scelto lascia aperta questa eventualità, ricordando che il leone era il simbolo della monarchia dello Scià.

Il ruolo degli Stati Uniti e dell’Europa

Il ministro riconosce l’importanza degli Stati Uniti, ma invita l’Europa a fare di più: «Non possiamo limitarci a dire che l’Europa è assente. L’Europa è casa nostra. Ma va riformata, soprattutto in politica estera e di difesa».

Quanto alla Russia, auspicata come mediatrice anche da Donald Trump, Tajani è netto: «Non credo che la Russia possa avere un ruolo in questo conflitto. Sarebbe importante piuttosto che Putin fermasse l’aggressione all’Ucraina».

Sicurezza degli italiani e allerta terrorismo

Il ministro ha assicurato che l’Italia è in allerta massima per prevenire possibili atti di terrorismo sul proprio territorio. «Il ministro Piantedosi e l’intelligence seguono con attenzione ogni sviluppo, e abbiamo già disposto protezione per le sedi diplomatiche israeliane e i luoghi di culto ebraici».

In conclusione, Tajani tocca anche un tema di politica interna: il terzo mandato dei governatori regionali, contestato da Salvini. «Tre mandati sono troppi. Ma siamo pronti al confronto con gli alleati di maggioranza», chiarisce.

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Economia

L’Italia entra nel club del nucleare, sì all’alleanza Ue

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Da osservatore a membro effettivo e operativo. In poco più di due anni l’Italia ha superato il tabù sul ruolo del nucleare nella decarbonizzazione ed è entrata a pieno titolo nell’alleanza Ue guidata dalla Francia, che dal 2023 promuove a Bruxelles gli interessi dei Paesi pro-atomo nel continente. La scelta è arrivata dopo la decisione del governo “di presentare il disegno di legge per il ritorno alla produzione di energia nucleare”, ha sottolineato il ministro Gilberto Pichetto, suggellando il rinato interesse del Paese per la fonte prodotta da reattori di nuova generazione nell’intento di promuovere “con convinzione il principio della neutralità tecnologica” e seguire “una transizione energetica sostenibile che garantisca la resilienza del sistema energetico e favorisca imprese e famiglie”.

Una strategia è in piena sintonia con il piano Ue per la sicurezza energetica, lanciato per ridurre l’uso di combustibili fossili, puntare su fonti alternative e voltare pagina rispetto alla dipendenza energetica dalla Russia. L’Italia si è unita al fronte sempre più nutrito e ormai consolidato di cui fanno parte, oltre a Parigi, anche Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia ed Estonia (quest’ultima come osservatore). E a cui, timidamente, si è affacciata – sempre nel ruolo di osservatore – anche la ministra tedesca Katherina Reiche, confermando un cambio di passo di Berlino sulle politiche energetiche e, in particolare, sul nucleare destinato a cambiare le carte in tavola. Per spingerlo, nelle stime di Bruxelles, saranno necessari investimenti pari a 241 miliardi di euro entro il 2050, destinati sia alla costruzione di nuovi reattori sia al prolungamento della vita degli impianti esistenti.

A dominare l’agenda dei ministri dell’Energia riuniti a Lussemburgo è stata la sicurezza energetica nel suo insieme. Con il nodo politico più complicato da sciogliere: lo stop agli ultimi legami con Mosca. Nelle prossime ore è attesa la proposta legislativa della Commissione europea per vietare tutti i contratti di fornitura di gas russo entro la fine del 2027, ma l’unanimità per dare impulso all’azione dell’esecutivo di Ursula von der Leyen è mancata anche questa volta. Ungheria e Slovacchia si sono infatti sfilate dalle conclusioni finali del Consiglio, costringendo la Polonia – presidente di turno Ue – a contare solo sul sostegno degli altri 25 Paesi membri. Ma i veti non rallentano l’azione del commissario Ue Dan Jorgensen. In linea con la tabella di marcia presentata a maggio, Palazzo Berlaymont dovrebbe introdurre lo stop immediato a nuovi contratti con Mosca, mentre quelli a breve termine già in vigore dovranno essere interrotti a partire dal 2026 e quelli a lungo termine entro fine 2027.

L’esecutivo Ue è tornato ad assicurare che le imprese non incapperanno in conseguenze legali, potendo invocare la clausola di ‘forza maggiore’, come già avviene per le sanzioni. Per aggirare l’opposizione di Budapest e Bratislava, Bruxelles farà ricorso al diritto commerciale, che consente di adottare le misure a maggioranza qualificata anziché all’unanimità. Un escamotage che si accompagna all’offerta ai due Paesi di una deroga temporanea, consentendo loro l’importazione di gas russo fino alla fine del 2026. Servirà invece più tempo per la stretta Ue sul nucleare russo. “Dobbiamo essere certi di non mettere i Paesi in una situazione in cui venga meno la sicurezza dell’approvvigionamento”, ha sottolineato Jorgensen.

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Politica

Anche il Pd in piazza contro riarmo, ricordare Gaza

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I progressisti tornano in piazza, stavolta contro il Piano europeo di riarmo. E con il nucleo dell’alternativa quasi al completo: ci saranno il presidente del M5s Giuseppe Conte e i leader di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Non ci sarà Elly Schlein, ma il Pd parteciperà con “alcuni suoi esponenti”. Che è un’adesione meno profonda, ma non scontata. Perché la questione divide il partito da sempre. Assenti annunciate le forze centriste, che su questo tema non la pensano come il resto delle opposizioni. Il tema riarmo incrocia le guerre in Ucraina e anche in Medio oriente. L’attacco di Israele all’Iran è stato condannato dalle forze progressiste. Pd, M5s e Avs hanno poi messo in guardia: “Non dimentichiamo Gaza”.

La posizione l’ha riassunta Pier Luigi Bersani: “Non mi piacciono gli Ayatollah ma ancora meno mi piace la guerra. Credo che né Netanyahu, il massacratore di Gaza, né il suo amico Trump abbiamo diritto alcuno di raccontarci che si porta la pace e la libertà con le bombe fuori dal diritto internazionale”. E il M5s: “Mentre l’attenzione mediatica è focalizzata sulla guerra missilistica tra Israele e Iran, a Gaza continua la mattanza”. Contro il riarmo appuntamento per sabato a Roma, al corteo promosso da più di 430 fra reti, organizzazioni sociali, sindacali, politiche che hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea Stop Rearm Europe. “Altro che la folle corsa al riarmo – ha ribadito Conte – Piuttosto, si investano più risorse per aiutare chi è in difficoltà, chi non arriva alla terza settimana del mese, chi pur lavorando è povero”.

La segretaria Pd non ci sarà per un impegno politico all’estero “in agenda da tempo”, hanno fatto sapere dal partito. La formula di partecipazione dovrebbe mettere Schlein al riparo dalle polemiche interne: se avesse sfilato il partito al completo o se ci fosse stata un’adesione ufficiale, i riformisti avrebbero alzato la voce: hanno accettato la posizione del Pd che chiede una “radicale revisione” del piano, ma non si riconoscono nella dichiarazione netta che anima il corteo di sabato. Le prime tre parole non lasciano spazio a mediazioni: Stop Rearm Europe. La manifestazione rientra nell’ambito della settimana di mobilitazione europea in occasione del vertice Nato a L’Aja del 24 e 25 giugno.

 

“Portare la spesa militare al 5% del Pil per rispondere alle richieste della Nato – ha detto Bonelli – è una scelta gravissima che punta a militarizzare il bilancio pubblico”. Il campo largo si presenterà invece in forze al pride di Budapest, il 28 giugno. I leader che già hanno il biglietto in tasca sono Schlein e il segretario di Azione Carlo Calenda. Stanno lavorando al viaggio il coportavoce dei Verdi Bonelli e il leader di Più Europa Riccardo Magi. Ci saranno delegazioni di Iv e M5s. “Io ci sarò – ha detto Schlein nei giorni scorsi – come tanti altri compagne e compagni del partito socialista europeo e del Pd. Non si può cancellare l’amore per decreto. Ricordiamo che anche l’Italia è estremamente indietro. Saremo lì come qui per chiedere una legge contro l’odio”.

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