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Cronache

Catello Maresca, autore del primo manuale universitario in Italia di legislazione antimafia: è una materia che merita dignità scientifica

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Catello Maresca, pubblico ministero, è l’autore del primo Manuale di legislazione antimafia edito da Rogiosi editore di Rosario Bianco. Pubblico ministero dal 1999, dal 2007 alla Direzione distrettuale antimafia, Maresca ha diretto, fra le altre, le operazioni che hanno portato all’arresto del boss dei Casalesi Michele Zagaria, latitante da 16 anni. Oggi fa parte del pool Mani Pulite e si occupa di corruzione e terrorismo.

Maresca, come nasce l’idea del manuale di legislazione antimafia?

Nasce dalla mia docenza all’Università Luigi Vanvitelli in “diritto e procedura della legislazione antimafia”, una materia di difficile configurazione. Ancora più complicato è stato per me individuare un percorso didattico per i ragazzi, a partire dalla ricerca di un testo di riferimento. Ho cercato un manuale di legislazione antimafia, sicuro di trovarlo, ma non esisteva. Mi piace pensare di aver mosso il primo passo per dare dignità scientifica alla materia della legislazione antimafia.

Cosa potrebbe fare in più lo Stato dal punto di vista normativo per contrastare le mafie?

Credo che servirebbe un’elaborazione sistematica della normativa. Alla fine le norme emergenziali vengono approvate, quello che manca è organicità nella materia. Questo lavoro cerca di porre le basi proprio per una sistematizzazione della disciplina.

Ritiene che le risorse messe in campo dallo Stato per combattere la mafia siano sufficienti?

E´ difficile rispondere a questa domanda in maniera univoca: bisognerebbe analizzare territorio per territorio. In ogni caso, passa tutto attraverso un progetto generale, una visione d’insieme. Servirebbe magari un organismo di coordinamento a livello nazionale, che potrebbe gestire le risorse e affrontare le emergenze in maniera diversa. Serve un progetto di eradicamento delle mafie da questo paese, che non è stato ancora elaborato. Manca una strategia a lungo termine, e manca da sempre. Poi c’è l’aspetto culturale, quello è a lunghissimo termine; ci vuole tempo per cambiare la mentalità delle persone, se inizi ora forse fra vent’anni vedrai i primi risultati.

Come si combatte la mafia “legalizzata”, che si sporca sempre meno le mani di sangue e investe i suoi proventi nell’economia legale?

Le mafie hanno moltissime diverse modalità operative, sono complicate, per questo vanno studiate in modo approfondito. Se agissero tutte secondo un unico schema, sarebbe facile debellare il fenomeno. La mafia economica si combatte sui mercati internazionali, magari con nuove norme, accordi internazionali, facendo comprendere all’Unione Europea quali sono le problematiche e le dinamiche ormai diffuse in tutto il continente: i mafiosi non conoscono confini nazionali. Ancora una progettualità ulteriore, che dovrebbe far capo ad un organismo centralizzato. In Italia un tempo esisteva l’Alto Commissario per la lotta alla criminalità organizzata, poi è stato soppresso. Forse si dovrebbe pensare ad un organismo del genere.

Cosa ha provato il giorno della cattura di Michele Zagaria?

Sono sensazioni difficili da descrivere. Un misto di gioia e soddisfazione, per i sacrifici che hai fatto e per quelli che hai chiesto anche ai tuoi collaboratori e alla tua famiglia; per il carico che hai assunto sulle tue spalle da rappresentante dello Stato. E´ stata la vittoria dello Stato sulla barbarie della mafia. E poi anche un po’ di delusione, perché il mio nemico me l’immaginavo molto più forte, più muscoloso: era semplicemente un uomo. Talvolta crediamo che queste battaglie siano impossibili da vincere, ma spesso non è così.

Cosa potrebbe fare in più l’Antimafia sociale?

Forse potrebbe essere più incisiva. Alla sua enorme opera di sensibilizzazione, di cui le va dato atto, dovrebbe fare seguito un’attività più operativa, entrando nei quartieri e andando a prendere i ragazzi a rischio; non basta sensibilizzare solo la parte più istruita della popolazione. Bisogna portare anche nei quartieri più disagiati la cultura della legalità, bisognerebbe sporcarsi di più le mani. Noi con la nostra associazione “Arti e mestieri” cerchiamo di intervenire in questi quartieri nel tentativo di offrire opportunità concrete a questi ragazzi. Però si deve comprendere che l’origine della devianza risiede anche nel conflitto sociale, nello scontro fra la parte benestante della società e quella in grossa sofferenza, due parti che non comunicano fra loro e spesso sembrano parlare lingue diverse. C’è tanta strada da fare, ma siamo fiduciosi.

La mafia si combatte in punta di diritto, ecco perchè un magistrato antimafia di prima linea ha scritto un manuale universitario

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Cronache

Trasfusione contro la volontà della paziente: assolti i medici del Cardarelli

Il tribunale di Napoli ha assolto due medici del Cardarelli che nel 2018 praticarono una trasfusione a una paziente Testimone di Geova contro la sua volontà. Per il giudice “il fatto non sussiste”.

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Due medici dell’ospedale Cardarelli di Napoli sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di violenza privata per aver praticato nel 2018 una trasfusione di sangue a una paziente Testimone di Geova che, in base al proprio credo religioso, aveva rifiutato quel trattamento attraverso le Dat, le direttive anticipate di trattamento previste dalla legge sul biotestamento del 2017.

La decisione è arrivata dal gup Armonia De Rosa del tribunale di Napoli, che ha accolto la richiesta di assoluzione avanzata sia dal pm Ciro Capasso sia dalla difesa dei medici.


La paziente guarì ma denunciò i sanitari

La donna, una cittadina di origine filippina residente in Italia, era arrivata al pronto soccorso del Cardarelli in condizioni critiche per una grave patologia ginecologica. Al momento del ricovero aveva consegnato un documento scritto in cui rifiutava qualsiasi trasfusione di sangue, in conformità al proprio credo religioso.

Col peggiorare delle sue condizioni, i medici valutarono però che la trasfusione fosse l’unica possibilità per salvarle la vita. Informata dell’aggravamento del quadro clinico, la paziente ribadì verbalmente il suo no. Tuttavia, quando le fu chiesto di firmare un nuovo documento per confermare il rifiuto, la donna si rifiutò, dichiarando di non comprendere pienamente il testo per difficoltà linguistiche.

Di fronte a questa situazione, i medici decisero di procedere ugualmente con la trasfusione, ritenendola un intervento salvavita necessario e urgente. La paziente si riprese e fu dimessa, ma poco dopo sporse querela contro i due sanitari, accusandoli di averla sottoposta a un trattamento contro la sua volontà.


La sentenza dopo otto anni di processo

Il processo, durato oltre otto anni e dodici udienze, si è concluso con la piena assoluzione dei due medici. Secondo il giudice, l’intervento fu giustificato dalle condizioni cliniche della paziente e non costituì violenza privata, in quanto motivato dall’intento di salvare una vita in pericolo imminente.

Gli avvocati della difesa hanno espresso soddisfazione per la sentenza, che riconosce la correttezza professionale dei sanitari. I legali della donna attendono ora il deposito delle motivazioni, previsto entro 90 giorni, per valutare la possibilità di ricorrere in appello.

Il caso riaccende il dibattito sul confine tra libertà di autodeterminazione del paziente e dovere di intervento del medico, uno dei temi più delicati nel campo della bioetica e del diritto sanitario.

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Tragedia a Palombaio, anziana investita e uccisa: si costituisce l’automobilista

Tragedia a Palombaio, frazione di Bitonto: un’anziana è morta investita da un’auto. L’automobilista, un 37enne di Mariotto, si è costituito ed è sotto choc. Indaga la polizia locale.

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Tragedia questa sera a Palombaio, frazione di Bitonto (Bari), dove un’anziana è morta dopo essere stata investita da un’auto mentre attraversava corso Vittorio Emanuele. L’impatto è stato violentissimo e per la donna, nonostante i soccorsi immediati del 118, non c’è stato nulla da fare: è deceduta sul colpo.


L’automobilista si è costituito

Poche ore dopo l’incidente, si è costituito alla polizia locale l’automobilista coinvolto: si tratta di un uomo di 37 anni, residente nella vicina frazione di Mariotto.
Agli agenti avrebbe raccontato di stare tornando a casa dopo il lavoro e di non essersi accorto della presenza della donna al centro della carreggiata.

L’uomo, apparso visibilmente sotto choc, è ora a disposizione degli investigatori, che stanno valutando la sua posizione e ricostruendo con precisione la dinamica dell’impatto.


Indagini in corso

Sul luogo dell’incidente sono intervenuti gli agenti della polizia locale di Bitonto, che hanno effettuato i rilievi per chiarire le cause della tragedia e verificare eventuali responsabilità.
Non si esclude che la scarsa visibilità o una distrazione possano aver contribuito all’investimento mortale.

L’intera comunità di Palombaio è sotto choc per l’accaduto, in attesa di conoscere l’identità della vittima e gli sviluppi delle indagini.

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Cronache

Sparatoria contro l’auto dell’allenatore Calabro, indagati il calciatore Leonardo Perez e il cognato consigliere regionale Mauro Vizzino

Indagati per minacce il calciatore Leonardo Perez e il cognato, il consigliere regionale pugliese Mauro Vizzino, per i colpi esplosi contro l’auto dell’allenatore Antonio Calabro nel 2023.

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Un’inchiesta della Procura di Lecce ha portato alla chiusura delle indagini su un episodio avvenuto nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 2023 a Melendugno, quando furono esplosi colpi di arma da fuoco contro l’auto di Antonio Calabro, allora allenatore della Virtus Francavilla, oggi tecnico della Carrarese in Serie B.

Secondo gli inquirenti, il mandante morale dell’intimidazione sarebbe stato Leonardo Perez, 36 anni, attaccante del Casarano con un passato in Serie B, che avrebbe agito per vendicarsi del poco impiego in campionato. A istigarlo, secondo la ricostruzione della Procura, sarebbe stato il cognato Mauro Vizzino, consigliere regionale pugliese e presidente della Commissione Sanità, rieletto nella coalizione di centrosinistra a sostegno di Michele Emiliano.


Vizzino: “Sono totalmente estraneo ai fatti”

Entrambi, originari di Mesagne (Brindisi), sono accusati di minacce. Gli esecutori materiali del gesto restano ignoti.
Vizzino, impegnato nella campagna elettorale per le regionali in Puglia con la lista Per la Puglia, ha negato ogni coinvolgimento:

“Scopro dagli organi di stampa la notizia della mia iscrizione nel registro degli indagati. Non ho ricevuto alcuna comunicazione giudiziaria, ma posso affermare senza possibilità di smentita di essere totalmente estraneo alla vicenda.”

Il consigliere ha parlato di un’inchiesta “che ha dell’incredibile” e ha ribadito che continuerà il suo impegno politico “con ancora più convinzione e forza”.


Le indagini e la riapertura del caso

In un primo momento la Procura aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo, che vedeva indagato solo Perez. Ma il gipha disposto un supplemento di indagini, che ha portato a nuovi accertamenti e all’iscrizione di Vizzino nel registro degli indagati.

L’atto di chiusura dell’inchiesta, notificato in queste ore, precede di norma la richiesta di rinvio a giudizio.
Il movente, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe una ripicca sportiva: Perez avrebbe reagito al mancato utilizzo da parte dell’allenatore con un atto intimidatorio, avvalendosi del sostegno del cognato.


Le reazioni politiche

Sulla vicenda è intervenuto anche Antonio Decaro, candidato del fronte progressista alle elezioni regionali pugliesi:

“Mauro Vizzino è considerato da tutti una brava persona. Spero che possa chiarire la sua posizione quando ci sarà la documentazione a disposizione.”

Il caso, esploso a pochi giorni dal voto, scuote la campagna elettorale pugliese e riporta l’attenzione su un episodio violento che, a oltre due anni di distanza, continua a sollevare interrogativi e tensioni tra sport e politica.

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