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Cronache

Camorra: clan minorenni in Quartieri Spagnoli Napoli, 3 arresti

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Un vero mini-clan, con tanto di summit e azioni intimidatorie. Tutto formato da minorenni dei Quartieri spagnoli di Napoli. E’ la scoperta di una indagine dela polizia che ha portato a una misura di custodia cautelare del gip partenopeo con il carcere nei confronti di tre ragazzi, ritenuti vicini ai Di Biasi, meglio conosciuti come Faiano, e indagati, a vario titolo, di lesioni personali, porto e detenzione di armi da fuoco, violenza privata, rapina, reati tutti aggravati anche dalle modalita’ mafiose. Il provvedimento nasce dalle indagini sul ferimento a colpi d’arma da fuoco di Vincenzo Masiello il 5 novembre 2022.

L’agguato e’ da ricondurre alla mira espansionistica di un gruppo di giovanissimi ambiziosi che volevano ritagliarsi il loro spazio all’interno delle dinamiche criminali dei Quartieri Spagnoli. La vittima, attualmente detenuta, e’ da considerarsi elemento di spicco della camorra del quartiere. Durante le indagini e’ emerso che il nascente gruppo criminale e’ dedito a reati contro il patrimonio, ha un’ampia disponibilita’ di armi, ha stabilito la sua base operativa in vico Lungo San Matteo che e’ controllato militarmente. Gli indagati costantemente armati di pistola, per evitare attacchi da componenti di altri gruppi antagonisti, hanno in piu’ occasioni perquisito le persone che, in particolare nelle ore notturne, transitavano nella loro zona di influenza.

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La sentenza Saman: potrebbe averla uccisa la madre

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Tutto in una notte di tre anni fa. L’omicidio di Saman Abbas non è stato pianificato nel tempo e non è stata neppure una punizione per essersi opposta a un matrimonio combinato, ma si è compiuto nel casolare di Novellara, in poche ore di una serata frenetica e drammatica, iniziata con la scoperta che lei voleva andarsene di casa col fidanzato, proseguita con una serie di telefonate tra il padre e lo zio e conclusa con lo strozzamento o strangolamento della ragazza. Non si esclude che sia stata la madre a compiere materialmente il delitto, durante il minuto in cui è sparita dal fuoco delle telecamere. Ma Nazia Shaheen, ancora latitante in Pakistan, il marito Shabbar Abbas e suo fratello Danish Hasnain, in carcere sono tutti e tre “pienamente parimenti coinvolti” nell’assassinio e “compartecipi della sua realizzazione”.

Di questo sono convinti i giudici che hanno depositato oltre 600 pagine di una sentenza su un lungo e complesso processo, concluso prima di Natale con le condanne all’ergastolo per padre e madre, a 16 anni per lo zio (che ha collaborato indicando il luogo dove aveva nascosto il cadavere, elemento di prova fondamentale) e le assoluzioni per i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, immediatamente liberati. La Corte di assise di Reggio Emilia riduce e dimensiona la storia della 18enne pachistana morta tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, ritrovata in una fossa un anno e mezzo dopo e dal 26 marzo sepolta nel cimitero di Novellara. La sentenza non risparmia critiche alla ricostruzione accusatoria, ai media che avrebbero enfatizzato e distorto la vicenda, e demolisce personaggi significativi per gli inquirenti come il fratello della ragazza o il suo fidanzato. Il giudizio non salva nessuno: la vita di Saman, scrive la Corte (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) “non è stata solo spezzata ingiustamente e troppo presto, ma vissuta attorniata da affetti falsi e manipolatori, in una solitudine che lascia attoniti”. Al fratello, minorenne all’epoca dei fatti, sono dedicati lunghi passaggi.

Da testimone cruciale, accusatore dei propri familiari (aveva detto di aver visto lo zio e i cugini quella sera), il giovane diventa un bugiardo, inattendibile, inaffidabile, con sospetti ribaditi di un suo coinvolgimento diretto. “Nessun riscontro, neppure parziale” è stato trovato alle sue dichiarazioni, osservano i giudici. “Tacendo – sottolineano – della impressionante serie di non ricordo, oltre 120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati”. Nessuna prova neppure della riunione, da lui riferita, in cui i familiari si sarebbero trovati, giorni prima, per discutere di come uccidere la ragazza. Né dimostra nulla il video del 29 aprile, dove vengono ripresi zio e cugini con le pale. Tutto, per la Corte, è più semplice: “Tutto accade e si decide in occasione della perdurante relazione di Saman con Saqib e dell’intenzione della ragazza di andar via di casa”. Anche perché, spiega la sentenza, dal rientro di Saman il 20 aprile “l’unica occasione in cui si è registrato un contrasto tra la ragazza e i genitori è quella della sera del 30”.

Fu lì che si scoprì e si parlò della relazione col fidanzato e dell’idea di fuggire di nuovo. Fu lì che ci fu una “sequela incalzante e compulsiva di chiamate tra i due imputati”, Shabbar e Danish, dopo le 23, “anomale per numero, ripetitività e orario”, che “si spiega e si giustifica proprio e soltanto in considerazione della natura non premeditata dell’omicidio”. Forse lo zio scavò la buca poco prima e i genitori la accompagnarono a morire. Non è chiaro chi fece cosa: “Non ci sono elementi per dire che lo zio da solo abbia eseguito l’azione”. Nazia potrebbe averla tenuta ferma, oppure potrebbe essere stata lei direttamente a strangolare Saman. L’unica certezza è che furono tutti e tre coinvolti “nella concatenazione di eventi che ha condotto all’uccisione”.

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Muore a 20 anni dopo un intervento per dimagrire, inchiesta

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Un’inchiesta è stata aperta dalla procura di Roma dopo la morte di un giovane, avvenuta il 26 aprile scorso nella Capitale, dopo che sempre ad aprile il ragazzo si era sottoposto a un intervento per dimagrire in una clinica privata di Arezzo. Come riporta oggi il Messaggero a far partire le indagini una denuncia presentata ai carabinieri dal padre del giovane, che il 29 aprile avrebbe compiuto 20 anni. Da quanto riportato dalla stampa il giovane, che pesava 160 chilogrammi, era stato dimesso il 21 aprile dalla clinica aretina e aveva fatto ritorno a Roma dove viveva.

Giovedì scorso avrebbe iniziato a sentirsi male. Portato all’ospedale San Carlo di Nancy a Roma i medici del pronto soccorso non avrebbero riscontrando nulla di grave e il ragazzo aveva firmato per le sue dimissioni. Il 26 però avrebbe accusato un altro malore in seguito al quale è stato portato dal 118 nuovamente in ospedale, al policlinico Gemelli, dove poi è morto. Dopo la denuncia è scattato il sequestro di alcune cartelle cliniche ed è stata disposta l’autopsia. “Stava bene, abbiamo fatto tutto come da protocollo”, spiega oggi il responsabile del Centro chirurgico toscano Stefano Tenti, la clinica aretina dove il giovane era stato operato da un chirurgo romano che effettua interventi anche nella struttura toscana. “Gli avevano dato anche una dose superiore di eparina – ha spiegato – visto il peso elevato, 160 chili per tutelarlo da eventuale embolia polmonare prescrivendogli tutto quello che era necessario fare. Dall’esame delle cartelle risulta tutto regolare”.

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Vino nel biberon per errore, bimbo 4 mesi in rianimazione

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Vino bianco al posto dell’acqua per preparare il latte in polvere a suo figlio di quatto mesi. Un errore, è l’ipotesi degli investigatori, commessa da una donna di Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, che ha fatto finire il piccolo in coma etilico. Ricoverato in rianimazione all’ospedale pediatrico di Bari, le sue condizioni sono in lieve miglioramento. A fare insospettire la donna è stato il rifiuto del piccolo che dopo i primi sorsi avrebbe smesso di bere respingendo il biberon. A quel punto la sua mamma si sarebbe accorta di non aver mescolato il latte in polvere con l’acqua.

A farla sbagliare sarebbe stato il colore scuro della bottiglia in cui era contenuto il vino. Subito dopo aver compreso l’errore, la donna ha portato il bimbo al pronto soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi dove il piccolo è arrivato già in coma etilico. Sottoposto a una lavanda gastrica, è stato intubato e trasferito d’urgenza all’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari dove è stato ricoverato nel reparto di rianimazione.

La procura di Brindisi ha avviato un’indagine, ma al momento l’ipotesi prevalente dei carabinieri della compagnia di Francavilla Fontana è che sia stato un incidente domestico. Dai riscontri dei militari non sono emersi altri elementi. L’affanno dovuto alle incombenze quotidiane, la necessità di preparare in fretta il biberon per il proprio figlio e la bottiglia scura avrebbero portato la donna a sbagliare. E’ stato lo stesso bimbo, rifiutandosi di continuare a bere, a rivelare che quel liquido non era latte. Un segnale subito percepito dalla mamma che si è resa conto in pochi istanti quale fosse il vero contenuto della bottiglia da cui aveva prelevato il liquido credendo fosse acqua.

La corsa in ospedale è stata immediata, dall’abitazione al pronto soccorso del Perrino. Qui il piccolo è stato preso in cura dai medici che con stupore hanno accertato il coma etilico di un bimbo di soli quattro mesi. Un quadro clinico che ha allarmato il personale sanitario e che ha portato al trasferimento del bimbo a Bari dov’è stato sottoposto a specifiche cure. Al momento la prognosi è riservata ma i medici sono fiduciosi perché le condizioni del piccolo migliorano. La notizia ha scatenato tante reazioni anche sui social dove molti manifestano comprensione per “il dispiacere e per quello che sta passando in queste ore la mamma”, auspicando che “il piccolo possa presto riprendersi da questo brutto incidente”.

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