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Biden sente Meloni, colloquio su Russia e Nato

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 Il presidente americano Joe Biden ha parlato con la premier Giorgia Meloni “nell’ambito della stretta collaborazione con gli alleati e i partner dopo i recenti eventi in Russia”. Lo afferma la Casa Bianca riferendo della conversazione telefonica fra Biden e Meloni. “I due leader hanno affermato il loro sostegno all’Ucraina”, si sono confrontati in vista del prossimo “vertice della Nato e hanno discusso i recenti sviluppi in Nord Africa”. Il presidente Biden ha invitato la premier Meloni alla Casa Bianca in luglio. Spiegano sempre fonti della Casa Bianca riferendo della conversazione fra il presidente Usa e la premier  Meloni.

“Quello che sta succedendo è parte di una lotta interna al sistema russo, noi abbiamo messo in chiaro che non siamo coinvolti, non via abbiamo nulla a che fare”: Joe Biden commenta così dalla Casa Bianca, per la prima volta, l’abortita rivolta della Wagner. La sua priorità è escludere qualsiasi sospetto di una manovra Usa o della Nato e di mantenere l’unità della coalizione pro Kiev, soprattutto dopo che i servizi segreti russi stanno indagando se le agenzie di spionaggio occidentali hanno avuto un qualche ruolo, come ha riferito Serghiei Lavrov. Gli 007 americani “apparentemente speravano che l’ammutinamento del 24 giugno in Russia avesse successo”, ha insinuato il ministro degli Esteri russo dopo le rivelazioni che l’intelligence americana sapeva dell’imminente ribellione da diversi giorni ma avrebbe deciso di non renderla pubblica.

Biden ha detto di aver parlato con gli alleati chiave in videoconferenza e che lo avrebbe rifatto per assicurarsi che tutti siano in sintonia e coordinare la risposta comune. In questo secondo round il presidente americano ha sentito anche la premier Giorgia Meloni e i due leader hanno ribadito i profondi legami, la solidità dell’alleanza transatlantica e l’unità della Nato, temi che saranno discussi nel vertice di Vilnius, secondo Palazzo Chigi. Grande attenzione, secondo la stessa fonte, è stata dedicata al quadro della crisi in Russia e al suo impatto legato alla presenza del gruppo Wagner in Africa. Biden ha chiesto inoltre lo scenario sull’impegno dell’Italia nel Mediterraneo e sulla collaborazione con la Ue per la stabilità nel continente africano.

Nell’agenda della Casa Bianca c’e’ pure un nuovo colloquio con il presidente ucraino Volodynr Zelensky, al quale e’ stato annunciato un nuovo pacchetto di aiuti in settimana. “Hanno concordato tutti con me che dobbiamo fare in modo di non dare a Putin nessuna scusa per incolpare l’Occidente e la Nato”, ha spiegato Biden, sottolineando l’importanza di “stare completamente coordinati”. Il commander in chief – come tutta la comunità di intelligence e lo stesso segretario di Stato Antony Blinken – resta comunque cauto nelle valutazioni: “E’ ancora troppo presto per arrivare ad una conclusione definitiva su quello che sta succedendo”. Ma Biden ha riferito di aver ordinato al suo team per la sicurezza nazionale di aggiornarlo “ora per ora” e di preparare una serie di scenari, senza entrare nel dettaglio. In ogni caso, ha ribadito, “continueremo a sostenere l’Ucraina a prescindere da cosa accadrà”. Il presidente Usa ha approfittato poi della giornata internazionale per le vittime della tortura per puntare nuovamente il dito contro Mosca: “In Ucraina abbiamo visto prove di spaventosa brutalità da parte di membri delle forze russe. I modelli di abuso includevano la tortura per costringere alla cooperazione con le autorità di occupazione e durante gli interrogatori, come percosse, scosse elettriche, finte esecuzioni e uso della violenza sessuale. All’interno della stessa Russia, le denunce di torture nei luoghi di detenzione sono all’ordine del giorno, anche contro attivisti e critici delle politiche del governo”. Poco prima dell’intervento di Biden, l’ambasciatrice americana a Mosca Lynne Tracy aveva lanciato un analogo messaggio a Mosca, confermando l’esistenza di un canale di comunicazione tra le due superpotenze anche nel weekend di fuoco, ribadito poi anche dal portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby. “Ci ha detto che Washington non ha nulla a che fare con la situazione in Russia” e che “quanto accaduto è un nostro affare interno”, ha riferito Lavrov alla Tass. Ma la diplomatica ha espresso anche “la speranza per la sicurezza dell’arsenale nucleare russo”. Che resta la più grande preoccupazione della Casa Bianca. E del mondo.

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Israele spegne Al Jazeera, fumata nera sulla tregua

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Israele spegne Al Jazeera nel Paese mentre una nuova fumata nera al Cairo allontana l’agognata tregua a Gaza, nonostante l’ottimismo dei giorni scorsi, e avvicina invece l’operazione a Rafah, nel sud della Striscia. Da oggi l’emittente del Qatar non è più visibile in Israele. Il governo Netanyahu ha infatti votato la chiusura delle attività e la confisca delle attrezzature della tv, accusata di essere “il megafono” di Hamas a Gaza e di “istigare” contro Israele. Una decisione respinta da Al Jazeera, che l’ha definita “criminale”. L’approvazione da parte del governo è avvenuta all’unanimità, con qualche mal di pancia – per la concomitanza con le trattative in Egitto – dei ministri centristi del gabinetto di guerra, Benny Gantz e Gadi Eisenkot.

Lo scorso primo aprile la Knesset ha varato una legge per bandire le “emittenti straniere che danneggiano la sicurezza dello stato”. Il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha quindi firmato i provvedimenti che comprendono “la chiusura degli uffici, la confisca delle attrezzature del canale, compresi possibilmente i cellulari, e il blocco dell’accesso al sito web della tv”. Il capo del network in Israele e nei Territori Walid Omary ha preannunciato un possibile ricorso in tribunale. Hamas ha accusato Israele di voler così “nascondere la verità” sulla guerra, mentre l’Onu ha chiesto che il provvedimento sia ritirato. Frattanto la trattativa tra Israele e Hamas si è consumata in un muro contro muro, sebbene sul tavolo – secondo una fonte araba – ci fosse “la migliore bozza di accordo” elaborata finora.

I colloqui in serata sono stati dichiarati conclusi e la delegazione di Hamas – dopo aver fornito la sua riposta ai mediatori di Egitto e Qatar – è tornata a Doha “per consultazioni con la leadership” del movimento. Secondo i media egiziani, tornerà però martedì prossimo al Cairo per riprendere i negoziati mentre a Doha è arrivato in tutta fretta il direttore della Cia William Burns per spingere di nuovo alla ricerca di un’intesa prima che tutto “collassi”. Le posizioni continuano tuttavia a rimanere lontanissime. Il nodo è sempre lo stesso: Hamas insiste sulla fine definitiva del conflitto nella Striscia e il ritiro “totale” dell’Idf da Gaza. Condizioni che il premier Benyamin Netanyahu ha seccamente bocciato, liquidandole come diktat inaccettabili. E’ stato lo stesso leader della fazione islamica palestinese Ismail Haniyeh a ribadire la linea.

“Hamas – ha detto da Doha – vuole raggiungere un’intesa globale che ponga fine all’aggressione, garantisca il ritiro dell’esercito e raggiunga un serio scambio di prigionieri. Che senso ha un accordo se il cessate il fuoco non è il primo risultato?”. “E’ Hamas che impedisce un accordo per il rilascio degli ostaggi”, ha replicato Netanyahu, aggiungendo che “Israele era ed è tuttora pronto a concludere una tregua per liberare gli ostaggi”. Ma “le richieste estreme” di Hamas, ha aggiunto il primo ministro, “significano la resa” di Israele, che “invece continuerà a combattere fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi”. Per questo ora l’operazione a Rafah, dove ci sono un milione e mezzo di sfollati palestinesi, sembra più vicina: “Comincerà molto presto”, ha assicurato il ministro della Difesa Yoav Gallant. “Ho affrontato la questione intensamente nell’ultima settimana, compreso oggi”, ha spiegato. La comunità internazionale, Stati Uniti in testa, è fortemente contraria.

E forse non è un caso che per la prima volta dal 7 ottobre l’amministrazione Biden la scorsa settimana abbia deciso di bloccare una spedizione di munizioni in Israele, come riferisce Barak Ravid di Axios. Il presidente Usa si trova ad affrontare aspre critiche in patria da chi si oppone al suo sostegno incondizionato allo Stato ebraico. A febbraio la Casa Bianca ha chiesto di fornire garanzie che le armi Usa fossero utilizzate dall’esercito israeliano a Gaza in conformità col diritto internazionale, con Israele che ha fornito una lettera di assicurazioni a marzo. Al 212esimo giorno di guerra intanto, Hamas ha rivendicato il lancio di almeno 10 razzi nell’area del valico di Kerem Shalom, quello da dove transitano i camion degli aiuti umanitari, con il motivo che sul posto “si erano radunati soldati”. Per tutta risposta lo Stato ebraico ha chiuso il valico, dove ci sono stati almeno 10 israeliani feriti. Secondo l’Idf, Hamas ha lanciato razzi da Rafah “a circa 300 metri da un’area usata come rifugio dagli sfollati”. Gli scontri proseguono anche al confine nord di Israele: Hezbollah ha rivendicato il lancio di “decine di razzi dopo la morte di tre civili a seguito di un attacco israeliano nel sud del Libano”.

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Matteo Falcinelli legato e immobilizzato, arresto choc italiano a Miami

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Non bastano le manette: prima bloccato da un ginocchio, poi la forte stretta di una cinghia ad aggiungere inutile sofferenza nella cella. Stavolta negli obiettivi delle bodycam degli agenti statunitensi c’è un giovane italiano, Matteo Falcinelli, un 25enne di Spoleto vittima di un violento trattamento degli agenti. Le immagini choc del suo arresto avvenuto lo scorso 25 febbraio a Miami, e rese note soltanto in queste ore dalla famiglia, scuotono fino a indurre alla “massima attenzione sul caso” da parte della Farnesina, che da quasi tre mesi segue la vicenda attraverso il consolato generale nella città della Florida, fin da quando Falcinelli fu bloccato dalla polizia per violenza (poi derubricata a ‘resistenza’), oltraggio e violazione di domicilio quella notte in cui il ragazzo stava tentando di rientrare in uno strip club dove era stato, per riavere i suoi telefoni smarriti all’interno del locale.

Lo stesso ministro e vice premier Antonio Tajani, che ha contattato la madre del 25enne per portare la sua solidarietà, si è detto “profondamente colpito dalla violenza e dal tipo di trattamento che è stato applicato al nostro giovane connazionale: quel sistema in Italia evoca qualcosa che neppure voglio nominare”. Azioni ritenute “inaccettabili” anche dal console e di cui Falcinelli porta ancora i segni di profonde ferite psicologiche, secondo quanto spiega la madre: ‘la sua voglia di vivere si è trasformata in un incubo di vivere’. Qualsiasi siano gli scenari, si apre adesso sulla vicenda una partita delicata tra i legali dello studente spoletino e le autorità della Florida, proprio in un momento in cui gli Usa, dopo un difficile accordo si apprestano a trasferire in Italia Chico Forti, condannato nel 2000 all’ergastolo da un tribunale dello stesso Stato americano per l’omicidio premeditato di un imprenditore australiano.

“La struttura amministrativa americana dovrebbe riconoscere che c’è stato un comportamento totalmente fuori dalle regole, totalmente ingiustificato e sproporzionato rispetto a quella che era la necessità di intervento. Penso che il fine principale delle sollecitazioni di chiarimento da parte dell’Italia sia proprio questo: far capire che tutto deve essere riportato nei giusti termini”, spiega il legale della famiglia, l’avvocato Francesco Maresca, riferendosi alle sue sollecitazioni alla Procura di Roma, “che può intervenire nei fatti che riguardano i cittadini italiani all’estero”. Non si può escluder quindi che la Procura potrebbe aprire un fascicolo, per richiedere ai colleghi statunitensi informazioni sull’accaduto e per sollecitare gli stessi a procedere in modo diretto nei confronti dei poliziotti. La polizia di Miami ha avviato un’indagine interna in merito alla vicenda di Falcinelli e l’ambasciata Usa a Roma spiega: “Abbiamo visto i report, rimandiamo alle autorità italiane”.

Ma la madre di Matteo lancia nuove accuse: “Nel report che la polizia ha rilasciato, scritto sotto giuramento degli agenti, non c’è una sola parola che corrisponda a quanto si vede nelle riprese. C’è scritto tutt’altro”, sostiene Vlasta Studenivova. Il giovane sta svolgendo al momento un trattamento alternativo al carcere, il parallelo della messa in prova in Italia e al termine di questo periodo – spiega il suo avvocato – “dal punto di vista giudiziario per lui questa vicenda si chiude”. Dal segretario di Più Europa Riccardo Magi al responsabile Esteri di Italia viva, Ivan Scalfarotto, arrivano richiesta di interrogazioni parlamentari al ministro Tajani mentre Ilaria Cucchi ne annuncia una anche per il Guardasigilli Carlo Nordio.

Il caso ha scatenato anche l’indignazione dell’associazione dei ‘Giuristi democratici, che parlano di “brutale tortura” senza mezzi termini e secondo cui “esistono delle regole internazionali sui diritti umani che non possono essere violate né in Italia, né in Europa e nemmeno negli Stati Uniti: vige il principio universale del divieto di trattamenti inumani e degradanti e non ci sono dubbi che l’incaprettamento al quale è stato sottoposto negli Usa lo studente italiano Matteo Falcinelli sia stata una delle pratiche più crudeli e antiche di tortura”. E Amnesty International aggiunge: “Immobilizzare per lungo tempo, mediante una tecnica che causa intenso dolore, una persona che evidentemente in quel momento non può costituire alcuna minaccia, è un trattamento illegale, che non trova alcuna giustificazione di sicurezza”.

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Messico, corpi di 3 surfisti con ferite da proiettile in testa

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I corpi di due presunti surfisti australiani e di un americano, scomparsi in Messico, sono stati ritrovati con ferite da colpi d’arma da fuoco alla testa, hanno annunciato domenica i pubblici ministeri messicani. Una delle piste seguite dagli investigatori è quella di un tentativo di furto del pick-up dei turisti, apparentemente finito male.

Il veicolo è stato ritrovato bruciato non lontano dai corpi dei due fratelli australiani, Jake e Callum Robinson, e dell’americano Jack Carter, appassionati di surf, visti l’ultima volta il 27 aprile. L’ufficio della polizia federale degli Stati Uniti a San Diego, nel sud-ovest della California, aveva annunciato in precedenza che “tre persone decedute” erano state “trovate a Santo Tomas, nella Bassa California”, senza rivelare l’identità delle vittime.

Santo Tomas si trova a circa 45 chilometri a sud-est di Ensenada, in una regione del Messico segnata dalla violenza dei cartelli della droga. Giovedì scorso le autorità della Bassa California avevano riferito che tre messicani erano stati arrestati e interrogati in relazione a queste sparizioni.

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