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Arrestati tutti i componenti di una banda di truffatori sul web, prosciugavano conti correnti da milioni di euro con tecniche sofisticatissime

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La Polizia di Stato attraverso indagini tecnologiche complesse, intercettazioni, pedinamenti fisici ed informatici e paziente incrocio di migliaia di dati, ha sgominato una pericolosa organizzazione criminale, radicata nell’hinterland napoletano ma operativa sull’intero territorio nazionale, dedita ad attività di frode informatica di ampio respiro che permettevano di conseguire guadagni illeciti per oltre 100 mila euro al mese. Cinque gli arresti  all’alba su disposizione del GIP di Bologna dagli uomini della Polizia Postale e delle Comunicazioni, a carico di altrettanti soggetti, residenti nelle zone di Frattamaggiore e Giugliano in Campania, accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al furto aggravato, alla frode informatica e all’indebito utilizzo di carte di pagamento elettronico. Un’organizzazione criminale definita dagli stessi inquirenti “itinerante” – specchio del carattere ormai assunto dai reati informatici come “crimini senza territorio” – che agiva in oltre 90 province italiane. Il modus operandi criminoso era particolarmente sofisticato. L’organizzazione partiva con veri e propri agguati ai portalettere di tutta Italia, che venivano pedinati e poi derubati del loro carico di raccomandate, contenenti centinaia di carte di credito emesse dai maggiori istituti bancari ed indirizzate ai clienti finali. Ottenuta la disponibilità delle carte di credito, il problema era l’attivazione delle stesse, e l’ottenimento dei codici PIN per le spendite illecite. A questo punto intervenivano abilissimi hacker, interni all’organizzazione, i quali, impiegando sofisticate tecniche di clonazione delle schede telefoniche SIM appartenenti agli ignari titolari delle carte, riuscivano a penetrare nei sistemi informatici bancari, sostituendosi ai clienti, ed attivando le carte di credito (talvolta aumentandone esponenzialmente il plafond). l codice pin, infine, era ottenuto con l’impiego di avanzate tecniche di vishing, grazie al quale il ramo dell’organizzazione esperto in “ingegneria sociale” assumeva l’identità delle banche, contattando gli ignari clienti ed inducendoli con l’inganno a comunicare i preziosi codici dispositivi. 

Ma il PIN carpito illegalmente era solo uno dei sistemi con cui l’organizzazione criminale monetizzava i suoi proventi illeciti. L’associazione disponeva infatti di un solido “apparato tecnico- finanziario”, che si occupava di creare società commerciali di facciata, dotandole di conti correnti bancari ed apparati POS portatili (anche operativi su circuiti internazionali), sui quali le carte rubate venivano “strisciate” e defraudate di decine di migliaia di euro, giustificati a fronte di fatture commerciali radicalmente false.

Attraverso gli apparati POS, il gruppo criminale era in grado di simulare acquisti di beni o servizi presso le società “paravento”, monetizzando i proventi degli indebiti utilizzi delle carte di credito che poi confluivano su strumenti prepagati, ed infine prelevati per contanti su sportelli bancomat sparsi per il Paese. Le indagini informatiche e l’esame dei flussi finanziari sono state curate dagli investigatori delle Compartimento Polizia Postale di Bologna, coadiuvati per l’esecuzione delle misure cautelari dai colleghi del Compartimento di Napoli e dei Commissariati PS di Giugliano e Frattamaggiore. Il coordinamento investigativo operato dalla Sezione Financial Cybercrime del Servizio Centrale Polizia Postale di Roma, ha poi consentito di un ricostruire il quadro complessivo dell’attività criminale sull’intero territorio nazionale, evidenziando le coincidenze investigative emergenti dai diversi Uffici e contribuendo a disegnare compiutamente l’imponente scenario criminoso. 

L’unione di tali attività, permetteva di ricostruire compiutamente la struttura dell’associazione, poiché consentiva di evidenziare le modalità di redistribuzione dei proventi, che dai vertici dell’organizzazione venivano suddivisi ai singoli componenti “autori” delle imprese delittuose o a loro complici occasionali, appositamente reclutati, presenti nelle sedi geografiche prese di mira. Già nel gennaio di quest’anno, le investigazioni tecniche avviate a carico del gruppo criminale dalla Polizia Postale di Bologna avevano portavano all’arresto in flagranza, presso negozi di lusso del centro cittadino, di un 45enne pregiudicato, originario di Napoli, mentre tentava di acquistare dei beni di lusso per migliaia euro con carte di credito rubate.

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Ingentissimo il danno arrecato nel complesso dall’organizzazione criminale sgominata: migliaia di carte di credito rubate dalla corrispondenza e profitti per oltre 100 mila euro ogni mese, ma una quantificazione totale dei danni sarà possibile solo all’esito delle ulteriori attività d’indagine ed analisi tecnica del materiale rinvenuto presso le abitazioni degli indagati, da parte degli specialisti della Polizia Postale. Ulteriore riprova di come oggi il crimine informatico, applicato all’ambito finanziario, sia ormai in grado di arrecare danni imponenti all’intero sistema economico del Paese. Il buon esito dell’operazione è stato possibile anche grazie alla collaborazione assicurata da Poste Italiane S.p.a., particolarmente preziosa nella parte dell’info-sharing investigativo. Tre delle cinque persone indagate sono state sottoposte a custodia cautelare in carcere, mentre agli altri tre è stata applicata la misura restrittiva dell’obbligo di dimora.

 

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Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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