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Cultura

Andare avanti fino al “via!” di Pierre Yves Le Duc in mostra allo Spazio NEA

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<Spazio NEA > 26 ottobre – 28 novembre

Pierre-Yves Le Duc – Andare avanti sino al «via!»

Si è inaugurata oggi alle ore 18:30 allo Spazio NEA  la mostra di Pierre Yves Le Duc- Andare avanti sino al «via!». Esposte per la prima volta in assoluto, le opere dell’artista francese saranno visitabili fino al 28 novembre.
Il progetto espositivo ideato da Luigi Solito è il primo appuntamento della rassegna annuale dal titolo «Esordi»: il ciclo di mostre intende raccontare i debutti creativi degli artisti che esporranno nelle sale della galleria napoletana di piazza Bellini 59.
Il titolo della mostra «Andare avanti sino al “via!”», liberamente tratto dal gioco da tavolo Monopoli, sottolinea la volontà di Le Duc di continuare il proprio percorso artistico partendo dagli inizi, dal momento in cui tutto ha avuto il “via”. Opere di grande formato, olio e carboncino su cartone, tutti realizzati nel 1993.
Così l’artista descrive il proprio lavoro esposto: «La genesi di queste opere fu per me così misteriosa che dopo averli realizzati rimasi per mesi nella incapacità di produrre altro, semplicemente perché l’“altro me” che aveva realizzato quei disegni mi era del tutto sconosciuto.
Quella parte di me – fino ad allora ben celata e che si fece avanti a mia insaputa e con mia grande sorpresa – mi spaventò davvero: quei disegni sono frutto di uno stato di inconsapevolezza. La domanda alla quale cercai di rispondere fu questa: “Come assicurarmi di potere ritrovare quell’altro me?”. Gli inchiostri erano venuti fuori sfuggendo al mio controllo e successivamente, con la mente pienamente presente a me stesso, stentavo a ritrovarne la traccia per poter tornare a produrre gli stessi segni che ritenevo così importanti, così vitali.
Per poter entrare nel vivo delle ragioni di questa mostra allo Spazio NEA, devo svelare uno dei motori della mia crescita: procedo per sottrazione. Da un periodo all’altro, tolgo, elimino elementi secondari. Vado verso un’espressione sempre più rarefatta mettendo a fuoco sempre di più il punto principale della mia espressione, tirando fuori piano piano gli elementi essenziali, fino ad arrivare al nocciolo. L’irriducibile, il punto oltre il quale se ci si inoltra, bisognerà arrendersi all’evidenza che la strada è chiusa.
E generalmente nell’avvicinarsi a quel punto si delineano altre linee guida, si imboccano altre vie, si intraprendono altre ricerche maturate nel frattempo.
Dopo le tele ad olio decisi di concentrarmi sulla figura generata grazie ad una gestualità fulminea e di affrontare la tela (in questo caso, un assemblaggio di cartoni) direttamente poggiata contro il muro. La rappresentazione, il segno doveva essere sufficiente a se stesso. Non avrei avuto bisogno di arricchire con giochi pittorici preziosi. Sono curioso e insaziabile. Questa curiosità ovviamente – a quella età – nel ‘92 era principalmente rivolta alla città di Napoli e alle persone che incontravo, ma soprattutto alla sfera sessuale.
La sessualità è pura energia creativa che permea la serie di opere presentate allo Spazio NEA.
Sono rappresentate molte forme di sessualità. Le figure interpretano scene erotiche, spesso sono androgene o affette da sessualità multipla, a volte sono angeli dalla postura demoniaca. Nessun freno alla rappresentazione e alla mia ricerca in quella sfera.
Le opere di quel periodo non erano destinate ad un mercato. Ero completamente ignaro del sistema dell’arte, anche perché provenivo da studi linguistici e letterari. Quelle opere sono l’espressione di una esplosione di gioia, di una vitalità sconfinata, sessuale e quasi primordiale».

 

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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Tutti pazzi per i Beatles: 60 anni fa il leggendario concerto del Vigorelli

Il 24 giugno 1965 la beatlemania travolse Milano. Ora quella giornata rivive in una mostra fotografica.

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Sessant’anni fa, il 24 giugno 1965, Milano fu teatro di un evento destinato a entrare nella leggenda della musica: il doppio concerto dei Beatles al Velodromo Vigorelli. Non fu un’impresa semplice. All’epoca il quartetto inglese era ritenuto da alcuni ancora poco conosciuto in Italia, e la loro prima tappa italiana fu accompagnata da qualche scetticismo. Ma bastarono poche ore per capire che anche il pubblico italiano era pronto a farsi travolgere dalla Beatlemania.

Ora quell’epopea rivive in una mostra fotografica promossa da Intesa Sanpaolo, visitabile dal 24 giugno al 7 settembre alle Gallerie d’Italia di Milano, in Piazza Scala. La mostra, curata da Barbara Costa, responsabile dell’Archivio Storico della banca, si intitola: “Tutti pazzi per i Beatles. Il concerto del 1965 a Milano nelle fotografie di Publifoto”.

Le immagini che raccontano un mito

La rassegna espone 62 fotografie restaurate e digitalizzate tratte dall’archivio dell’agenzia Publifoto. In totale sono oltre 500 gli scatti custoditi e ora resi accessibili anche online (https://asisp.intesasanpaolo.com/publifoto/). Le immagini raccontano non solo i due concerti (uno alle 16, l’altro alle 21), ma anche l’arrivo del gruppo alla Stazione Centrale di Milano, la conferenza stampa al Grand Hotel Duomo, e soprattutto l’entusiasmo contagioso dei fan italiani.

«Publifoto è un giacimento straordinario di immagini che racconta la storia del Paese anche nei suoi momenti più euforici», spiega Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo. «Le fotografie che catturano i Beatles in Italia ci parlano ancora oggi con forza e freschezza».

L’arrivo, la folla, la magia

Il 23 giugno 1965, i Beatles arrivarono a Milano da Lione. Duemila fan li attendevano in stazione. Il fotografo Tino Petrelli li immortalò stipati tutti insieme su un’unica Alfa Romeo Spider, travolti dalla calca. Il giorno dopo, le foto con il Duomo sullo sfondo e la conferenza stampa anticiparono l’esibizione al Vigorelli.

Per documentare lo storico evento, Publifoto ingaggiò sei fotografi: oltre a Petrelli, anche Sergio Cossu, Gianfranco Ferrario, Carlo Fumagalli, Benito Marino ed Eugenio Pavone. Le immagini parlano da sole: un’Italia in fermento, la gioventù che si affaccia al mondo globalizzato, e l’eco di una rivoluzione musicale già leggenda.

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Cultura

Addio ad Arnaldo Pomodoro, genio della scultura italiana

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Arnaldo Pomodoro (foto Imagoeconomica)  è stato uno degli artisti italiani contemporanei più noti, riconoscibili e apprezzati a livello internazionale. Le sue sculture, a partire dalla celebre Sfera, sono diventate simboli urbani, installate nei luoghi più rappresentativi del mondo: dal Cortile della Pigna dei Musei Vaticani al Palazzo delle Nazioni Unite a New York, fino alla Farnesina a Roma e al lungomare di Pesaro, dove la sua “Sfera Grande” è ormai parte dell’identità cittadina.

Un universo nascosto nel metallo

La sua arte unisce la perfezione esterna del metallo splendente con un cuore di fragilità, mistero e meccanismo interno. Le sue opere – sfere, obelischi, dischi, labirinti – esprimono visivamente quella complessità che Pomodoro stesso sintetizzava in una frase: “L’arte è un labirinto”. Dentro la superficie levigata, si nasconde un universo segnato da fratture, tensioni, architetture nascoste.

Le origini e la formazione

Nato il 23 giugno 1926 a Morciano di Romagna, Pomodoro aveva iniziato gli studi come geometra. Si appassiona presto ai metalli e inizia come orafo. Il trasferimento a Milano nel 1954 segna la svolta: stringe legami con Lucio Fontana e fonda il gruppo Continuità, iniziando a lavorare su forme segniche che superano i confini tra bidimensionale e tridimensionale.

Dal teatro all’arte pubblica

Nel tempo, la sua arte si espande fino a toccare la scenografia teatrale, come per la storica Semiramide di Rossini al Teatro dell’Opera di Roma (1982) o per le Orestiadi di Gibellina nel 1985. Resta memorabile anche il suo lavoro su Edipo Re di Stravinsky a Siena, con una scenografia dominata da un gigantesco occhio. Celebre anche il guanto-scultura per Ornella Vanoni, esempio di commistione tra arte, gioielleria e moda.

Opere simboliche e imponenti

La sua produzione si estende anche a interventi religiosi e istituzionali: tra i tanti, il portale bronzeo del Duomo di Cefalù (1998), gli arredi sacri nella chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo in collaborazione con Renzo Piano, il Disco Solare donato alla Russia nel 1991, e il cimitero di Urbino. L’ultima grande mostra, nel 2023, è stata realizzata con Fendi al Palazzo della Civiltà Italiana a Roma.

Il ruolo della Fondazione

La Fondazione Arnaldo Pomodoro continuerà il lavoro iniziato dal maestro, come sottolinea la direttrice Carlotta Montebello: “Mancherai a tutti noi Arnaldo e faremo tesoro dei tuoi insegnamenti”. La Fondazione continuerà a diffondere il suo lascito artistico e intellettuale attraverso mostre, eventi e attività educative.

Il cordoglio delle istituzioni

Numerosi i messaggi istituzionali. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato di “un grande vuoto nel mondo dell’arte”. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha ricordato come “la sua arte ha scolpito l’anima dell’Italia”. Per il ministro della Cultura Alessandro Giuli, “l’Italia perde un protagonista indiscusso della scultura contemporanea”.

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Addio ad Arnaldo Pomodoro: il grande Maestro della scultura si è spento a 99 anni

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Arnaldo Pomodoro, uno dei più grandi scultori del Novecento e voce autorevole del panorama artistico internazionale, è morto ieri sera, domenica 22 giugno, nella sua casa di Milano all’età di 99 anni. A darne notizia è stata la Fondazione che porta il suo nome.

“Con la scomparsa di Arnaldo Pomodoro il mondo dell’arte perde una delle sue voci più autorevoli, lucide e visionarie,” ha scritto la Fondazione. “Il Maestro lascia un’eredità immensa, non solo per la forza della sua opera, riconosciuta a livello internazionale, ma anche per la coerenza e l’intensità del suo pensiero, capace di guardare al futuro con instancabile energia creativa”.

Nato a Morciano di Romagna nel 1926, Pomodoro ha segnato in modo indelebile la storia dell’arte contemporanea. Le sue celebri “Sfere” – sculture monumentali in bronzo dal cuore fratturato e meccanico – campeggiano nelle piazze di tutto il mondo, da Roma a New York, da Copenaghen a Tokyo. Con il suo linguaggio scultoreo inconfondibile, fatto di materia, equilibrio e tensione interna, Pomodoro ha dato forma a una visione del mondo moderna, potente e carica di significati.

Ma il suo contributo non si è fermato all’arte plastica. Con la creazione della Fondazione Arnaldo Pomodoro, l’artista ha voluto tracciare un percorso duraturo di riflessione, confronto e promozione della cultura. “La Fondazione, nata da questa visione e forte della direzione tracciata da Arnaldo Pomodoro nel corso di trent’anni – si legge ancora nel comunicato –, continuerà ad operare secondo la volontà del fondatore, garantendo la conservazione e la valorizzazione della sua opera, impegnandosi a diffondere il proprio patrimonio materiale e immateriale attraverso la realizzazione di mostre, eventi e iniziative in uno spazio inventivo, quasi sperimentale, di studio e confronto sui temi dell’arte e della scultura, che mira a un coinvolgimento, profondo e globale, con le persone e la società”.

L’Italia e il mondo dell’arte perdono un Maestro vero, capace di lasciare un segno duraturo non solo nel bronzo e nel marmo, ma anche nelle menti e nei cuori di generazioni di artisti e appassionati. “Mancherai a tutti noi Arnaldo, e faremo tesoro dei tuoi insegnamenti,” conclude la Fondazione.

Arnaldo Pomodoro ci lascia con un’eredità culturale e umana di straordinario valore. Le sue opere continueranno a parlare per lui, a suscitare domande, emozioni e pensiero. Un addio che pesa, ma anche un invito a non smettere mai di creare, esplorare, immaginare.

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