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Cultura

Addio a Pelé: il calcio dai campetti improvvisati di noi ragazzi allo spirito del Brasile

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Pelé è il solo, ha detto Johan Crujiff in un’intervista, “ad aver superato i confini della logica”. Interpretando in maniera tecnicamente magistrale e scenicamente spettacolare il calcio come “dubbio costante e decisione rapida”: al modo dei personaggi di Osvaldo Soriano, scalcinati e grandiosi, sgambettanti sui campetti polverosi della Patagonia.
Dire che Pelé è “il solo” è dire la stessa cosa che è “o Rei”: ma senza enfasi. I.n.c.o.m.p.a.r.a.b.i.l.e. Ci sono molti grandissimi campioni nel calcio, di qua e di là dell’Atlantico.

Ma –posso dirlo?- ciascuno di loro è un eccellente strumento. Un violino o un pianoforte, una viola grave o un clarinetto danzante, un tamburo battente, un contrabbasso, un flauto, un sax. Pelé è tutto questo insieme. Di più: è un’orchestra. No no: non un quartetto, non un gruppo da camera, o dei solisti che si mettono insieme ed eseguono composizioni meravigliose. Dico proprio un’orchestra sinfonica: i cui suoni di grandi volumi sono parte costitutiva della musica, di là dai singoli strumenti che partecipano all’esecuzione. Danno corpo e diffondono le sonorità seduttive e potenti che prendono il cuore, lo fanno battere e, sono sicuro, a volte lo fanno fermare.

Oggi si svolgono i funerali di Pelé a Santos, la sua città-squadra, il luogo dell’incanto calcistico e la grande topìa dei ragazzi di tutto il mondo: anche noi di Guardia Sanframondi (BN), piccoli giocatori affannati dalle scarpe che negli anni ’50 erano sempre di fortuna, lo conoscevamo e, aiutati da quel nome, “Santos”, associavamo Pelé a una figura sacra.

Il mio amico Francisco Vinhosa, acuto storico della modernità latino-americana, studioso delle ralazioni Brasile-Italia a cavallo del ‘900, mi disse una volta mentre ci recavamo a Ouro Preto, e rispondeva in modo epico a una delle domande un melense di cui a volte mi servivo per farmi dire le cose che sapeva e che non osava pubblicare nei suoi libri perché, da bravo storico, non poteva documentarle, mi disse, Francisco, che non si poteva capire l’America del Sud se non capivi Che Guevara e Simon Bolivar e quel che loro avevano incarnato: il bolivarismo e il guevarismo.

Allo stesso modo, mi disse bonario in segno di amicizia ma senza dissimulare la sua fraterna riprovazione per la mia sordità all’argomento, mi disse, Francisco, che non si poteva capire il Brasile, se non capivi il calcio. Se non “capivi”, intendeva bene Francisco: se non assorbivi lo spirito “americanizzato” di un remoto sport europeo -come tutto, qui, diceva-, di là dalla lettera tecnica e dalla suprema presa spettacolare. Prendete il “Cruzeiro”, a Belo Horizonte. La sua storia può essere raccontata, ma solo le evocazioni del mio amico Anisio Ciscotto Filho., dirigente italo-discendente della squadra mineira, riuscivano a dire qualcosa di quella straordinaria epopea che è stata la trasformazione degli immigrati italiani nel Minas Gerais in autentici cittadini brasiliani. La territorialità ti entra nelle ossa, non con la logica appunto!ma col sentimento. Con il lavoro che ci metti sopra. Col sudore che la fertilizza e ne fa un bene comune. L’ha saputo ben mostrare Federico Campoli, mio allievo ad Aquila, con la sua tesi di dottorato, discussa qui a Napoli all’Orientale, poi pubblicata in Brasile (Camponeses de Engenho e arte. Historia e Geografia dosimigrantes italianos em Minas Gerais, 2013).

E il calcio brasileiro è dunque il fluido vitale che rende gioiosa o perlomeno rapidamente accettabile la nuova identità migratoria.
Il calcio, in Brasile, è il surrogato egalitario di una terribile discriminazione sociale, che è insieme razziale e geografica. E’ lo spazio pubblico di un’altra democrazia, più generosa di quella politica. E’ molto, ma molto di più di una partita, di una squadra, di uno stadio, di un campionato. E’ molto di più di un calciatore. Anche se il calcio, in Brasile, sottolineava Francisco strizzandomi l’occhio, specie quando con noi c’era Anisio, parte sempre da Pelé: per valutare quel che c’era prima, per giudicare quel che c’è stato e ci sarà dopo di lui.

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Cronache

Ercolano rinasce: nuovo Museo Archeologico e spazi riqualificati

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Ercolano, spesso considerata la sorella minore di Pompei, sta per vivere una trasformazione epocale. Grazie a un investimento di 50 milioni di euro da parte del Packard Humanities Institute (PHI), la città vedrà la nascita di un nuovo museo archeologico e l’ampliamento del parco, che includerà finalmente l’antica spiaggia recuperata e nuovi spazi provenienti da una vecchia coltivazione di piante ornamentali.

Il progetto prevede la riqualificazione delle aree sud ed est di Herculaneum, e sarà realizzato grazie alla collaborazione tra il PHI e il Parco Archeologico di Ercolano. I terreni acquistati dal PHI verranno donati al parco, portando un enorme passo in avanti dopo 20 anni di partenariato tra la prestigiosa istituzione e il sito archeologico.

Ieri, presso il Ministero della Cultura, è stato firmato un protocollo di intesa alla presenza del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, del direttore generale dei musei, Massimo Osanna, del direttore del parco di Ercolano, Francesco Sirano, del sindaco Ciro Buonajuto, del presidente del PHI, David W. Packard, e del presidente dell’Istituto Packard per i beni culturali, Michele Barbieri.

Il Packard Institute non solo donerà gli spazi, ma si occuperà anche della progettazione e della realizzazione delle nuove strutture. Gli edifici attuali, ormai inadatti, saranno sostituiti da nuove strutture su un’area estesa su più di 3 ettari, precedentemente occupata dal mare fino al 79 d.C. Il nuovo ingresso su corso Umberto I sarà rivolto verso il mare e verrà realizzato anche un parcheggio per i visitatori.

Questo progetto porterà non solo alla creazione di nuovi depositi permanenti e laboratori di restauro, ma anche alla nuova sede del parco archeologico e dei relativi uffici. Il rapporto tra città antica e moderna migliorerà notevolmente, come dimostrato dalla rinascita del quartiere via Mare-via Cortili.

Il ministro Sangiuliano ha espresso grande entusiasmo per l’accordo: “Ercolano è uno dei siti archeologici più importanti al mondo. L’intesa raggiunta ci consente un grande salto di qualità con l’acquisizione di nuovi terreni e la creazione di nuovi spazi per gli uffici direzionali, i depositi e i laboratori del Parco archeologico”.

David W. Packard ha sottolineato l’importanza della collaborazione: “Sono lieto che la nostra fondazione abbia potuto svolgere un ruolo in questo importante lavoro presso il sito dell’antica Ercolano. Nutro grande ammirazione per l’abilità e la dedizione degli specialisti italiani che hanno lavorato a questo progetto”.

Massimo Osanna ha elogiato il programma elaborato con una visione di lungo periodo, che permetterà una gestione ancora più moderna e innovativa degli spazi e dei depositi. Francesco Sirano ha aggiunto: “Ci sarà un prima e un dopo questo accordo che apre una nuova era nella plurisecolare storia delle ricerche e della gestione del sito”.

Il sindaco Ciro Buonajuto ha concluso: “Questa collaborazione porterà ancora una volta innovazione, ricerca avanzata e migliori pratiche gestionali che consentiranno di preservare e promuovere al meglio il nostro straordinario patrimonio”.

Questo progetto rappresenta un’opportunità unica per valorizzare Ercolano, rendendola non solo un’importante meta turistica, ma anche un centro di ricerca e innovazione nel campo dell’archeologia.

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Cultura

Sangiuliano e Manfredi non lo vogliono ma Lissner farà lo stesso il soprintendente del San Carlo

Nella vertenza Fondazioni Liriche, è stato stabilito che è illegittimo pensionare i 70enni. Lo ha deciso la Consulta trattando il caso del San Carlo. Il Ministero della Cultura dice che mancano solo necessità e urgenza. La verità è che Lissner farà il soprintendente nonostante i no del ministro Sangiuliano e del sindaco di Napoli Manfredi.

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Con la sentenza della Corte Costituzionale cala definitivamente il sipario sul caso del Teatro di San Carlo più di un anno dopo il decreto legge che pensionava i sovrintendenti settantenni dagli Enti lirici e che portò alla cessazione dell’incarico del solo Stephan Lissner (contrattualizzato dal Massimo napoletano fino all’aprile 2025) poi reintegrato nel settembre del 2023 dal Tribunale del Lavoro di Napoli. È stata dichiarata (sentenza n. 146 depositata oggi) l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 3, del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51 (Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 87.

“La Consulta – precisano fonti del ministero della Cultura sulla vicenda – ha evidenziato solo la mancanza dei presupposti di necessità e urgenza di provvedere tramite decreto-legge, senza entrare nel merito della decisione di fissare un’età massima per i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche, che è evidentemente lasciata alle scelte discrezionali del governo”. La vicenda del San Carlo tenne banco la scorsa estate per il susseguirsi di ricorsi e colpi di scena: Lissner infatti era l’unico dei 14 sovrintendenti italiani ad avere già compiuto 70 anni (il 23 gennaio 2023) e per effetto del decreto il suo incarico cessò il 1 giugno.

Il manager francese però decise di combattere ed azionò subito le vie legali. Intanto il 1 agosto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, accoglieva la proposta del Consiglio di Indirizzo della Fondazione presieduta dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi e nominava soprintendente Carlo Fuortes, che a maggio si era dimesso dal ruolo di Ad della Rai e che ai primi di settembre sarebbe stato presentato ufficialmente. Ma la sua esperienza napoletana sarebbe durata pochissimo: Lissner è stato reintegrato dal Tribunale di Napoli il 12 settembre. E lo stesso tribunale il mese successivo non ha accolto il ricorso del CdI della Fondazione contro quel reintegro, ritenendo che il decreto legge sul tetto dei 70 anni d’età violasse diversi principi della Costituzione e, tra gli altri, l’articolo 3, sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Era la seconda vittoria di Lissner. A quel punto la palla è passata alla Corte Costituzionale. Si è arrivati quindi all’ultimo atto odierno con il deposito della sentenza che ribadisce come il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza, “pur affidato all’autonoma scelta politica del governo, è assoggettato a precisi limiti costituzionali e a regole giuridiche indisponibili da parte della maggioranza, a garanzia della opzione costituzionale per la democrazia parlamentare e della tutela delle minoranze politiche”. Tale potere normativo “non può giustificare lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento, che resta la sede della rappresentanza della Nazione (articolo 67 della Costituzione)” e dev’essere esercitato “nel rispetto degli equilibri costituzionalmente necessari”.

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Cultura

A Aurora Tamigio il Bancarella per ‘Il cognome delle donne’

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Aurora Tamigio ha vinto il premio Bancarella 2024 con ‘Il cognome delle donne’ (Feltrinelli): la proclamazione nella serata di ieri a Pontremoli (Massa Carrara), con lo scrutinio in piazza: 185 voti sui 188 possibili i voti assegnati. Un “plebiscito”, spiegano i promotori del premio, alla sua 72/a edizione, che “bissa la vittoria di un’altra donna, Francesca Giannone, autrice de ‘La portalettere’ vincitrice dell’edizione 2023. “Molto vicini ma distanti”, invece, gli altri finalisti: Valeria Galante (Diana e Dario Lama) con ‘La casa delle sirene’ (Mondadori), con 88 preferenze, 84 per Marilù Oliva e la sua ‘L’Iliade cantata dalle dee’ (Solferino), 81 voti per ‘L’inventario delle nuvole’ di Franco Faggiani (Fazi editore), a seguire Emanuela Anechoum con ‘Tangerinn (Edizioni e/o), 66 voti e infine Daniele Pasquini 60, con ‘Selvaggio Ovest’ (Nne).

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