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Cronache

Abusi edilizi in case con vista sui Faraglioni, arrestato il capo del settore edilizia del comune di Capri

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Sindaco e ufficio tecnico del Comune di Capri devono chiarire molte cose in ordine a 11 di interventi edilizi per attività ordinarie e 3 per attività più importanti di ristrutturazioni di case. Sono casi complessi, difficili, di attività edilizie su cui la Procura di Napoli ha acceso i riflettori delegando le indagini ai carabinieri della locale stazione, agli ordini del maresciallo Pietro Bernardo. Certo è un caso giudiziario. E siccome tocca Capri e la politica caprese non può non suscitare polemiche. La storia più delicata è quella di di Villa Settanni! Una dimora aristocratica con vista Faraglioni sequestrata e che da mesi tiene impegnati gli inquirenti della Procura di Napoli, alla luce della mole di documenti acquisiti con discrezione dai carabinieri in copia. L’inchiesta è dei magistrati del pool Ambiente e Territorio del procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso. Il pm è Ilaria Rivellese. L’atto rilevante è stato il sequestro del cantiere, il sequestro di un ponteggio ritenuto abusivo all’interno della villa e l’acquisizione della documentazione al comune. Una vicenda che ora fa i conti con competenze e ruoli differenti, con tanto di riflettori puntati su tutti i professionisti che di volta in volta sono intervenuti sul costone caprese per apportare modifiche all’interno e all’esterno della costruzione. Non  stiamo parlando di un palazzo qualunque in un posto qualunque ma una dimora storica protetta, costruita in zona di notevole interesse paesaggistico, dunque con una serie di vincoli da osservare. Ma di edilizia selvaggia o abusi purtroppo ci sono molti casi a Capri, ed è per questo che la vigilanza dell’Arma è altissima. Per ora i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del capo dell’ufficio tecnico settore edilizia privata, Massimo Stroscio. Contestualmente all’esecuzione della misura cautelare i militari hanno effettuato alcune perquisizioni negli uffici e casa di alcuni indagati (ne sono tre), hanno sequestrato computer e materiale informatico al Comune. Al termine dell’operazione i carabinieri hanno condotto nella sede della stazione di Capri l’architetto Massimo Stroscio, il funzionario che dirige l’ufficio tecnico edilizia privata, per notificargli l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Nella inchiesta ci sono altre due persone, oggetto anch’esse di misura cautelare. Per tutti le accuse sono quelle di frode processuale, falso ideologico e falso materiale, commessi in concorso. Sono i reati contestati ai tre indagati raggiunti oggi da misure cautelari a Capri. L’arresto dell’architetto Massimo Stroscio, capo dell’ufficio tecnico settore edilizia privata, è la misura più grave. Per l’imprenditore che ha eseguito i lavori e il proprietario dell’immobile le cui opere si suppone essere abusive, è stato imposto il divieto di dimora nel comune di Capri.

Capri. L’isola più bella del Mediterraneo da preservare dal sacco edilizio

In altre pratiche edilizie private occorre fare chiarezza sui documenti emessi dall’ufficio tecnico del Comune, sul ruolo del direttore tecnico dei lavori (che ha agito per conto del committente privato), ma anche sui possibili collaudi intervenuti per consentire gli interventi di volta in volta messi in campo. È in questo scenario che al vaglio degli inquirenti sarebbe  finito anche il ruolo del sindaco Giovanni De Martino, non in veste di primo cittadino che ricopre dunque un incarico istituzionale, ma come professionista privato. De Martino è infatti uno stimato ingegnere sull’isola oltre a essere sindaco di lungo corso. De Martino, al momento, da quel che ne sappiamo, non risulta raggiunto da alcuna informazione di garanzia, in uno scenario investigativo ancora tutto da definire.
La vicenda ruota attorno al collaudo dell’opera. Obiettivo della Procura è verificare chi, e in quale veste, ha dato il via libera ai lavori che hanno consentito di superare gli ostacoli imposti da un bene vincolato dalla normativa antisismica e da altre norme di tutela.

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Cronache

Caso Garlasco, nuovo capitolo a Brescia: Venditti contro i pm, “grave scorrettezza” per la loro assenza in udienza

Nuovo scontro giudiziario sul caso Garlasco. A Brescia Mario Venditti attacca i pm per la loro assenza all’udienza del Riesame: “Grave scorrettezza”. Restano i dubbi sui soldi ricevuti dagli avvocati di Sempio.

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L’ultimo round del caso Garlasco si è consumato davanti al tribunale del Riesame di Brescia, dove si sono presentati l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, i suoi legali e quelli dei carabinieri Giuseppe Spoto e Silvio Sapone.
Assente invece il pubblico ministero che accusa Venditti di corruzione, per aver favorito nel 2017 l’archiviazione di Andrea Sempio, oggi a sua volta imputato per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007.

La mancata presenza del pm, seppure non obbligatoria, ha alimentato nuove polemiche in un’inchiesta che da anni continua a generare scontri, veleni e recriminazioni.


“Atteggiamento farisaico dei pubblici ministeri”

Abbiamo solo preso atto di un atteggiamento farisaico dei pubblici ministeri”, ha commentato l’avvocato Domenico Aiello, difensore di Venditti, dopo aver chiesto al Riesame di annullare per la terza volta il decreto di sequestro dei telefoni e dei computer del suo assistito.

Sulla stessa linea anche l’avvocata Giorgia Spiaggi, che rappresenta i carabinieri Spoto e Sapone:

“Il fatto che il pubblico ministero non si sia presentato ci ha lasciati basiti. Dal mio punto di vista è evidente che non abbia più nulla da dire”.

Il tribunale si è riservato la decisione, che verrà depositata nei prossimi giorni.


Venditti: “Io corrotto? I soldi si sono fermati agli avvocati di Sempio”

In serata, intervenendo alla trasmissione Dentro la notizia su Canale 5, Mario Venditti ha duramente criticato l’atteggiamento dei pm bresciani:

“Pensavo avrebbero depositato i verbali degli ultimi due giorni, ma non c’era neanche il pubblico ministero. È stata una grave scorrettezza”.

L’ex procuratore ha poi respinto le accuse di corruzione:

“Io dovrei essere il corrotto, il destinatario finale dei movimenti di denaro. Ma quei soldi si sono fermati agli avvocati di Sempio”.

Tra questi Massimo Lovati, ex legale di Sempio, che davanti ai pm ha ammesso di aver ricevuto 15mila euro in nerocome compenso, pur dicendosi comprensivo verso i “dubbi” della Procura sui contanti ricevuti.


“Sempio è innocente”: la linea di Venditti

Venditti ha ribadito la sua convinzione sull’innocenza di Andrea Sempio, vicino di casa di Chiara Poggi:

“Sempio non c’entra nulla con la morte di Chiara. Mi sarei dovuto fermare nel 2017, dopo il pronunciamento della Corte d’Appello di Brescia sull’inammissibilità della revisione. Ma il Gip stesso ha ritenuto corretto il mio operato”.


La difesa di Stasi: “Condannato dall’opinione pubblica”

Ad oggi Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara Poggi, resta l’unico condannato in via definitiva per l’omicidio.
La sua avvocata, Giada Bocellari, intervenuta su Ore 14 (Rai 2), ha commentato:

“L’errore più grande degli inquirenti è stato quello di innamorarsi della tesi del fidanzato assassino e fermarsi lì, trascurando altre piste. Alberto è stato condannato prima dall’opinione pubblica che dai giudici”.

Un caso senza fine, che a distanza di 18 anni continua a intrecciare accuse, sospetti e ferite mai del tutto rimarginate.

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Cronache

Trieste, la tragedia annunciata: Olena uccide il figlio Giovanni dopo anni di segnalazioni e minacce

Olena Stasiuk, 55 anni, ha ucciso il figlio Giovanni dopo anni di segnalazioni, minacce e tensioni con l’ex marito. Il padre: “Perché le hanno permesso di vederlo da sola?”. Aperta un’indagine sulle decisioni dei giudici e dei servizi sociali.

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O Giovanni rimane con me, oppure sono disposta a uccidere il bimbo, a uccidere me buttandomi in mare, e a uccidere anche Paolo.”
Era l’11 luglio 2018 quando Olena Stasiuk, 55 anni, pronunciò questa frase davanti ai servizi sociali, durante una delle tante riunioni sulla custodia del figlio. Quelle parole, verbalizzate e depositate, erano state una minaccia chiara e terribile.
Sette anni dopo, quella minaccia è diventata realtà. Olena ha tagliato la gola al piccolo Giovanni, suo figlio, forse con più di un colpo.


Il padre: “Perché l’hanno lasciata da sola con lui?”

Il padre del bambino, Paolo, è distrutto.
Dietro il cancello di casa, circondato da giornalisti e poliziotti, non riesce a darsi pace:

Perché le è stato consentito di vederlo da sola?

Il tribunale aveva infatti autorizzato da maggio una visita settimanale senza la presenza di un assistente sociale, nonostante il padre, da anni, avesse denunciato la fragilità psichica della donna e i precedenti episodi di violenza.
In almeno due occasioni Giovanni era stato malmenato, una volta strozzato al collo, con lividi certificati dai medici.


Otto anni di guerra giudiziaria e segnalazioni ignorate

Una guerra familiare lunga otto anni, tra querele, ricorsi e segnalazioni ai servizi sociali.
Nel 2017 Olena aveva avuto una crisi nervosa acuta ed era stata curata con un farmaco somministrabile solo al Centro di salute mentale, ma poi aveva interrotto le cure.
Dal 2023 non era più seguita dagli specialisti.

Nonostante tutto, lo scorso aprile la psicologa Erika Jakovcic aveva proposto di intensificare i contatti tra madre e figlio.
Il 13 maggio 2025, il tribunale civile di Trieste concesse una visita settimanale non assistita, ritenendo che la donna avesse “mostrato miglioramenti”.

“Forse nell’ottica della genitorialità si è voluto dare fiducia a una madre”, spiega l’avvocata del padre, Gigliola Bridda, “ma quei segnali erano stati sottovalutati. Avevamo chiesto una perizia psichiatrica, ma non è mai stata fatta”.


La perizia psichiatrica ora verrà disposta

Olena è ora ricoverata all’ospedale Maggiore di Trieste.
Non è ancora stata interrogata, ma la sua difesa, affidata all’avvocata Chiara Valente, ha già annunciato la richiesta di una perizia psichiatrica.
Dal Centro di salute mentale Asugi, il direttore Massimo Semenzin ha confermato che la donna “manifestava disturbi d’ansia”, era stata seguita fino al 2023 e poi “fu concordata un’interruzione, perché non assumeva farmaci e sembrava stabile”.


Il vescovo: “Accettiamo il fallimento della nostra organizzazione”

Sulla tragedia è intervenuto anche il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, che ha parlato di una sconfitta collettiva:

Dobbiamo impegnarci a fare in modo che non si ripetano più queste tragedie. Ma dobbiamo anche accettare la nostra sconfitta, il fallimento della pretesa organizzativa che vorrebbe eliminare il male e la morte innocente.

Un messaggio che oggi suona come un atto di dolore per un bambino che poteva e doveva essere salvato.

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Cronache

Omicidio di Maria Campai, condannato a 15 anni e 8 mesi il 19enne di Viadana: “Volevo scoprire cosa si prova a uccidere”

Condannato a 15 anni e 8 mesi il 19enne di Viadana che, da minorenne, uccise Maria Campai. Il delitto brutale era stato motivato dal desiderio di “sapere cosa si prova a uccidere”.

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È stato condannato con rito abbreviato a 15 anni e 8 mesi di reclusione il 19enne di Viadana, autore dell’omicidio di Maria Campai, la 42enne di origini romene residente a Parma, uccisa nel settembre 2024 con una violenza inaudita.
Il delitto avvenne quando l’imputato era ancora minorenne: i due si erano conosciuti su un sito di incontri online, e si erano incontrati in una villa disabitata nella zona dove il giovane viveva.

La sentenza è stata pronunciata dalla giudice Laura D’Urbino del tribunale dei minori di Brescia, che ha accolto solo in parte le richieste della procura.
Il pm Carlotta Bernardini aveva chiesto 20 anni, il massimo previsto per un minorenne, mentre la difesa – affidata agli avvocati Paolo Antonini e Valeria Bini – aveva chiesto di escludere la premeditazione.


“Volevo sapere cosa si prova a uccidere”

Una frase agghiacciante pronunciata dal giovane durante gli interrogatori ha segnato profondamente l’inchiesta:

Volevo scoprire cosa si prova a uccidere. L’ho fatto con una mossa di wrestling.”

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Maria Campai fu uccisa nel garage di casa del ragazzo, trasformato in una palestra di arti marziali, poco dopo un rapporto intimo.

L’autopsia ha rivelato che la donna fu colpita con estrema violenza — pugni al volto, alla testa e al corpo — e poi soffocata, mentre cercava disperatamente di difendersi.
Dopo il delitto, il giovane spostò il corpo nel giardino di una villa abbandonata, dove lo nascose sotto foglie e arbusti.


Una settimana di silenzio e la svolta

Per una settimana la famiglia di Maria, in particolare la sorella, l’aveva cercata ovunque, anche con un appello a Chi l’ha visto?.
È stata proprio la sorella a riconoscere il ragazzo come l’ultimo ad aver accompagnato la donna, conducendo gli investigatori sulla pista giusta.

Davanti ai carabinieri, il giovane ha infine confessato e indicato il luogo esatto dove aveva nascosto il corpo.

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