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Economia

Mediobanca, conto alla rovescia per l’assemblea sull’ops su Banca Generali: Caltagirone resta sul no

Si avvicina l’assemblea di Mediobanca sull’ops su Banca Generali. Caltagirone chiede più informazioni e ribadisce il no, mentre l’affluenza attesa sfiora il 76%.

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È iniziata la fase decisiva in vista dell’assemblea di Mediobanca chiamata a deliberare sull’offerta pubblica di scambio (ops) su Banca Generali. L’appuntamento vede il fronte del no guidato da Francesco Caltagirone (nella foto), che ritiene insufficienti le informazioni fornite dal consiglio di amministrazione.

Secondo l’imprenditore, per concedere una “delega in bianco” al cda occorrerebbero i due terzi del capitale, come previsto per le modifiche statutarie. Il veicolo VM 2006, che detiene il 9,9% di Mediobanca, si riserva “ogni decisione e iniziativa” fino al momento del voto.

Quorum e dinamiche di voto

L’affluenza è stimata tra il 75 e il 76%. Trattandosi di un’assemblea ordinaria, basta il 50,01% dei voti espressi, pari a circa il 38% del capitale, per approvare la delibera.

Il diritto di voto spetta alle azioni acquistate entro la “record date” di oggi, mentre le domande pre-assembleari e le richieste di integrazione dell’ordine del giorno andavano presentate entro le 18. La comunicazione della titolarità del diritto di voto può arrivare anche all’ultimo minuto, prima dell’inizio della riunione.

Il nodo della convocazione anticipata

Per Caltagirone la convocazione è stata una “sorpresa”. Il 3 giugno VM 2006 aveva chiesto di rinviare l’assemblea del 16 giugno a dopo la definizione degli accordi di partnership tra Mediobanca, Assicurazioni Generali e Banca Generali.

Alla vigilia della riunione il cda aveva posticipato l’appuntamento al 25 settembre, ma il 6 agosto, dopo che Generali aveva confermato senza impegni l’intenzione di proseguire le valutazioni sull’offerta, Mediobanca ha anticipato l’assemblea al 21 agosto per avviare l’ops già a settembre.

Lo scenario in evoluzione

Intanto, il 14 luglio è partita l’ops di Mps su Mediobanca, che si chiuderà l’8 settembre. Caltagirone ribadisce che “permangono immutate le gravi carenze informative” e che mancano dettagli sui “rischi di esecuzione dell’offerta”.

A oggi, sottolinea l’imprenditore, “non è arrivato alcun elemento informativo aggiuntivo rispetto a giugno 2025”, lasciando aperta l’incognita su quale sarà la prossima mossa del fronte contrario.

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Economia

Il governo cerca i fondi per Irpef, Ires e rottamazione

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La tanto sospirata sforbiciata alle tasse del ceto medio. L’edizione quinquies della rottamazione delle cartelle. E pure la stabilizzazione, con ritocchi eventuali, della new entry del 2025, l’Ires premiale. A delineare il menu per la prossima manovra è il viceministro al Mef Maurizio Leo (nella foto Imagoeconomica). La sua delega è al fisco e di questi interventi parla assicurando che si tratta di “tre obiettivi fondamentali” che però dovranno fare i conti con “le risorse disponibili”. Perché non c’è alcuna intenzione di “non stravolgere gli obiettivi di bilancio”. Solo “promesse” attacca dall’opposizione il Movimento 5 Stelle perché “ancora una volta” non si dice dove si intende fare cassa per finanziare le nuove misure.

Irpef e rottamazione, a dire il vero, finora hanno duellato senza peraltro trovare spazio proprio per problemi di coperture. Un intervento sui redditi fino a 60mila euro, tagliando di due punti l’aliquota intermedia (dal 35% al 33%), costa attorno ai 4 miliardi, secondo i calcoli di Forza Italia che ha fatto del ceto medio la sua “bandiera” per la nuova legge di Bilancio. A spingere sulle cartelle è invece la Lega, che sta portando avanti la sua battaglia anche con un disegno di legge che è al vaglio del Senato. Pur avendo illustrato decine di volte la proposta, il partito di Matteo Salvini si è ben guardato dal quantificare le risorse necessarie, che secondo i rumors parlamentari si aggirerebbero attorno ai 5 miliardi.

Certo, molto dipenderà dai paletti che saranno indicati a una eventuale rottamazione-quinquies che a questo punto però comincia ad avere buone chance di essere realizzata. Sempre gli azzurri, fa sapere il presidente dei senatori di Fi Maurizio Gasparri, metteranno sul tavolo anche la sanità, per la quale il ministro Orazio Schillaci (nell’occhio del ciclone in questi giorni per la vicenda del comitato vaccini) ha già fatto sapere di avere spuntato circa 2 miliardi aggiuntivi dopo i primi colloqui con Giancarlo Giorgetti.    Il ministro dell’Economia continua a predicare prudenza, perché le regole fiscali europee sono cambiate e lasciano pochi margini per agire sulla classica leva del deficit. E anche perché l’esecutivo accarezza l’obiettivo di portare l’asticella sotto il 3% già nel 2026, centrando l’uscita dalla procedura di infrazione con un anno di anticipo.

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Ambiente

Fattori Esg e rischio di credito: le banche italiane premiano le imprese sostenibili

Una ricerca del Politecnico di Milano mostra come i fattori Esg influenzino il rischio di credito: le banche italiane favoriscono le imprese sostenibili con prestiti più vantaggiosi.

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«I fattori Esg abbassano il rischio delle imprese che possono così beneficiare di prestiti più interessanti da parte delle banche». Con queste parole Marco Giorgino, professore di Istituzioni e Mercati Finanziari del Politecnico di Milano, ha commentato i risultati della ricerca «L’Esg e il rischio di credito nel settore bancario».

Lo studio, basato su un questionario somministrato alle prime 50 banche italiane, evidenzia come la sostenibilità sia ormai parte integrante delle strategie creditizie, nonostante le posizioni restrittive espresse dal presidente statunitense Donald Trump sul tema della finanza sostenibile.

La centralità delle imprese non quotate

Dal sondaggio emerge che il 60% delle banche destina oltre l’80% del proprio credito corporate a imprese non quotate. Inoltre, il 73% delle banche tiene conto degli elementi Esg per almeno metà del portafoglio di credito corporate non quotato. Un chiaro segnale di come la valutazione delle performance di sostenibilità stia diventando determinante anche per aziende al di fuori dei mercati finanziari.

Prevale il criterio ambientale

Nonostante l’attenzione crescente, solo il 10% delle banche attribuisce un peso equilibrato ai tre pilastri Esg. La priorità è data alle metriche ambientali, considerate centrali dall’83% degli istituti. Soltanto il 4% privilegia la governance, mentre nessuna banca mette al primo posto i criteri sociali, che il 27% degli intervistati non ritiene neppure rilevanti.

Secondo Giorgino, questo squilibrio è legato alla maggiore disponibilità di dati ambientali. Con l’entrata in vigore della normativa europea sui bilanci di sostenibilità, le informazioni diventeranno più standardizzate e affidabili, migliorando la valutazione complessiva del rischio.

Un sistema win-win per banche e imprese

La ricerca sottolinea che gli investimenti necessari per adeguarsi ai criteri Esg comportano costi iniziali, ma generano vantaggi nel lungo periodo. Le banche, infatti, sono interessate a sostenere le aziende in questo percorso per consolidare la solidità dei propri portafogli creditizi.

In questo modo si crea un circolo virtuoso che, secondo Giorgino, rappresenta un «sistema win-win con benefici per l’intero tessuto economico».

L’importanza del monitoraggio post-erogazione

Infine, lo studio evidenzia la necessità di andare oltre la fase di concessione del prestito. Per una corretta valutazione del rischio, è fondamentale monitorare anche la fase successiva, al fine di intercettare tempestivamente eventuali segnali di deterioramento del credito e garantire maggiore stabilità al sistema finanziario.

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Economia

Dividendi record per gli eredi Hermès: quasi 800 milioni ai soci della holding H51

Ferragosto da record per i 100 eredi Hermès: la holding H51 ha distribuito quasi 800 milioni di euro di dividendi, un primato assoluto che conferma la forza esclusiva della maison francese.

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Ferragosto in grande stile per i 100 eredi Hermès, che hanno trovato sui propri conti correnti quasi 800 milioni di euro. La holding familiare H51, che controlla il 54% di Hermès International, ha infatti deliberato la distribuzione di 794,3 milioni di euro come dividendo. Un record assoluto, mai raggiunto prima dalla cassaforte dei discendenti del fondatore Thierry Hermès.

I numeri della maison

Il risultato deriva da un utile di 1,4 miliardi generato dal colosso del lusso, celebre per le borse Birkin e Kelly. Di questi, 400 milioni sono stati accantonati a riserva e altri 200 rimangono disponibili per futuri dividendi. La crescita è stata costante: 559 milioni distribuiti nel 2024, 473 nel 2023 e 300 nel 2022.

Hermès contro Lvmh: questione di margini

Il confronto con il gigante Lvmh di Bernard Arnault mette in luce la forza della maison parigina. Lvmh ha realizzato nel 2024 ricavi per 85 miliardi con un utile netto di 12,6 miliardi (15% dei ricavi), mentre Hermès, con 15,2 miliardi di fatturato, ha registrato 4,6 miliardi di utili (30% dei ricavi). Una redditività straordinaria che consente ad Hermès di mantenere una posizione di privilegio in un settore colpito dalla crisi del lusso.

Una capitalizzazione sorprendente

La capitalizzazione di Borsa di Hermès ha raggiunto 219 miliardi, non lontana dai 237 miliardi di Lvmh. In primavera, per qualche settimana, Hermès aveva addirittura superato il gruppo Arnault toccando i 253 miliardi. Un risultato sorprendente per una maison monomarca rispetto a un impero che controlla oltre 70 marchi.

La compattezza degli eredi

La forza della famiglia Hermès risiede nella compattezza. La holding H51 è stata creata proprio per respingere eventuali scalate ostili, come quella tentata da Arnault nel 2010, quando arrivò al 22% del capitale. Gli eredi hanno stretto un patto solido: non vendere azioni della maison fino al 2041. Una scelta che si sta rivelando tutt’altro che un sacrificio, considerando le rendite milionarie garantite anno dopo anno.

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