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Cronache

Pg Cassazione: revocare il 41bis a Cospito, dimostrare legami

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Essere, o essere stato, il leader di gruppi anarchici, essere riconosciuto come punto di riferimento per i suoi scritti o le condanne passate non sono ragioni sufficienti per mantenere Alfredo Cospito al 41-bis. Per farlo è necessario dimostrare e provare l’attuale legame con il mondo anarco-insurrezionalista. Questo, in sintesi, il ragionamento del procuratore generale della Cassazione, Pietro Gaeta, che in una requisitoria depositata martedì scorso, in vista dell’attesa camera di consiglio del 24 febbraio, ha chiesto di revocare il regime di carcere duro per l’anarchico e rinviare ad un nuovo esame. Il pg ribadisce inoltre che Il 41-bis è finalizzato ad evitare “ulteriori reati o attività dell’associazione esterna”.

È necessario – spiega il procuratore – che emerga una “base fattuale” sulla base di “elementi immanenti e definiti”, cosa che “non è dato riscontrare” nell’ordinanza del tribunale di sorveglianza su Cospito. Si tratta, dunque, di un documento che potrebbe rappresentare una svolta nel caso del detenuto pescarese in sciopero della fame da 115 giorni e trasferito ieri dal carcere di Opera all’ospedale milanese di San Paolo per l’aggravarsi del suo quadro clinico. Dodici pagine che lasciano ancora sperare la sua difesa che puntava proprio in un annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte. “Cospito – aveva tuonato due giorni fa l’ex senatore Luigi Manconi – è sottoposto ad un provvedimento illegale e sproporzionato”. Intanto, nel suo primo giorno nella stanza d’ospedale destinata ai detenuti al 41-bis, una vera e propria cella, l’anarchico di origini pescaresi ha rifiutato la sedia a rotelle e ha camminato autonomamente. All’ingresso al San Paolo avrebbe anche chiesto “scusa per il disturbo”.

Le sue condizioni di salute, come riferito ieri dal suo medico Andrea Crosignani, sono ormai al limite con un rischio “di edema cerebrale e aritmie cardiache potenzialmente fatali”. Per questo, in meno di un quarto d’ora, è stato trasferito d’urgenza, e in massima segretezza, dal carcere al nosocomio meneghino grazie al lavoro di una trentina di agenti di polizia penitenziaria. Il caso, pero, continua a tenere banco con le manifestazioni degli anarchici che si moltiplicano ormai in ogni parte d’Italia. Ieri, in seguito agli scontri di Milano in cui sono rimasti feriti sei poliziotti, sono state denunciate 11 persone, tra cui vari esponenti dell’area anarchica milanese, ma anche provenienti da Sondrio, Torino e Trento.

Il sindacato di polizia Fsp lancia l’idea di introdurre il reato di “terrorismo di piazza”, proposta accolta poi dal deputato di Fratelli d’Italia Riccardo De Corato. “Sono pronto a presentare in Parlamento una proposta di legge”, le sue parole. Il Coisp, altro organismo sindacale della polizia, ha invece sottolineato la “professionalità” degli agenti, grazie alla quale “il corteo degli anarchici non è sfociato e degenerato in una vera e propria tragedia”.

Nuove manifestazioni sono state organizzate, invece, a Torino e Genova, ma sit-in e cortei sono andati in scena anche a Madrid e Caracas, con continui attestati di solidarietà nei confronti di Cospito che arrivano da parte di numerosi gruppi anarchici di tutto il mondo. In Spagna sono comparsi striscioni per chiedere la revoca del 41-bis, mentre a Caracas un gruppo di manifestanti ha sfilato accanto al consolato italiano, scrivendo poi una lettera indirizzata alla sede diplomatica. Centinaia di persone, invece, hanno preso parte al corteo anarchico di Torino, conclusosi senza particolari tensioni. “Contro ogni gabbia, 41bis e Cpr uguale tortura”, la scritta su uno degli striscioni esposti in piazza Cln. Una quarantina di antagonisti, invece, ha animato il corteo a Genova che ha sfilato per le strade cittadine al grido “41 bis tortura”.

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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