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Voli da Kabul continuano, l’Anci: siamo pronti ad accogliere

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“L’opera di rimpatrio dei diplomatici, dei militari, dei collaboratori afghani continua”. Lo assicura il premier Mario Draghi, dopo che il caos all’aeroporto di Kabul ha costretto rivedere il timing del piano di evacuazione messo a punto dalla Difesa. I sindaci italiani, intanto, si dicono pronti a fare la propria parte per accogliere chi fugge dal nuovo regime talebano. “La gran parte della rappresentanza diplomatica – ha osservato Draghi – e’ arrivata a Roma ieri. Sul campo ci sono ancora delle squadre militari e dei diplomatici (molto pochi) che dovranno aiutare l’evacuazione di altri nostri concittadini che sono li’ e dei collaboratori afghani e delle loro famiglie quando le condizioni lo permetteranno. Voglio ringraziare tutte queste persone per il loro coraggio e la dedizione con cui svolgono il loro compito”.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha annunciato per i prossimi giorni “un’iniziativa coordinata a livello internazionale per assicurare voli umanitari e far si’ che all’emergenza si sostituisca un processo organizzato”. Al Piano di evacuazione – in continuo aggiornamento visto la situazione caotica all’aeroporto della capitale afghana – lavora il Comando operativo di vertice interforze, che ha inviato un’aliquota di specialisti del Joint Force Headquarter (Jfhq) per garantire un’adeguata cornice di sicurezza alle operazioni. Sono gli Usa, che hanno preso il controllo dello scalo militare, ad assegnare gli slot per i vari voli in partenza e gli americani sono anche quelli che hanno il maggior numero di persone da ‘esfiltrare’ dal Paese: tra 5mila e 9mila al giorno, secondo il programma del Pentagono. Piu’ modesti i numeri dell’Italia. Sono circa duemila i collaboratori afghani e famiglie che hanno chiesto di andar via dal proprio Paese. Con l’operazione Aquila sono arrivati in Italia gia’ in 250. Sono state accelerate – visto il precipitare degli eventi negli ultimi giorni – le procedure burocratiche per l’assegnazione del permesso umanitario a chi fugge dal regime talebano. Ma ora la difficolta’ e’ far arrivare queste persone in aeroporto passando i vari check-point attivati dai nuovi padroni della citta’ che non hanno certo un atteggiamento benevolo verso chi ha collaborato con gli occidentali. Mentre per il primo volo di ieri e’ stato impiegato un Kc767, per i prossimi saranno utilizzati i C130, che hanno piu’ efficaci sistemi di autoprotezione e richiedono meno tempo per il decollo. I mezzi dell’Aeronautica sono schierati nella regione pronti a decollare non appena ci sara’ il via libera. Gli afghani gia’ in Italia sono stati inseriti nel Sistema di accoglienza ed integrazione e per gli eventuali nuovi arrivi “i sindaci sono pronti a fare la loro parte. Non c’e’ tempo da perdere”. e’ il messaggio dell’Anci al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Se, spiega il delegato all’Immigrazione Matteo Biffoni, ci sara’ “l’ampliamento della capacita’ di accoglienza diffusa sul territorio, con risorse mirate per l’emergenza in corso, noi potremmo ripetere l’esperienza fatta gia’ dal 2014 con l’inserimento dei collaboratori di missioni italiane nella rete Sai”.

La sindaca di Roma, Virginia Raggi, da parte sua, ha scritto al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, dicendosi “pronta a sostenere gli eventuali sforzi volti a istituire immediatamente corridoi umanitari”, mettendo a disposizione “le strutture comunali per contribuire alla accoglienza dei rifugiati, delle donne, degli studenti e delle studentesse, dei bambini e di chi e’ in procinto di essere rimpatriato”. Si e’ mobilitato anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. “Stiamo prendendo contatto – ha informato – con le ong che operano a Milano e che, in alcuni casi, hanno esperienza diretta in Afghanistan. Allo stesso tempo ci stiamo preparando con i nostri servizi sociali a gestire l’accoglienza dei profughi che dovessero essere indirizzati sul territorio milanese”. Analoga disponibilita’ da Firenze e Bologna, mentre una frenata e’ arrivata dall’Anci Veneto. “I sindaci – per il presidente Mario Conte – sono pronti a fare la loro parte, ma allo stesso tempo non possiamo permettere che questa emergenza umanitaria venga scaricata sui territori e sulle comunita’”.

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Politica

Schlein, firma referendum Cgil, malumori riformisti Pd

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Elly Schlein firmerà i referendum della Cgil, tra cui quello sul Jobs Act. Lo ha annunciato la stessa segretaria del Pd cogliendo di sorpresa osservatori e dirigenti del Pd che immaginavano un periodo di decantazione durante la campagna elettorale per le europee, rispetto ad un punto divisivo per i Dem. A margine della festa dell’Unità a Vecchiazzano a Forlì, dove ci sono i banchetti della Cgil per raccogliere le firme sui referendum, a Schlein è stato chiesto se aderirà ai quesiti. “Ho già detto che molti del Pd firmeranno così come altri non lo faranno – ha replicato Schlein -. Io mi metto tra coloro che lo faranno. Non potrei far diversamente visto che è un punto qualificante della mozione con cui ho vinto le primarie l’anno scorso”. “Adesso il Pd è impegnato nella campagna delle Europee, sulle amministrative, e su un’altra raccolta firme per noi molto rilevante che è quella per il salario minimo”.

L’annuncio di Schlein arriva dopo che appena 48 ore prima uno dei principali esponenti dell’area riformista, Lorenzo Guerini, aveva detto che al posto della segretaria non avrebbe firmato i referendum, e altrettanto aveva fatto Marianna Madia 24 ore prima. Diffusasi la notizia Piero De Luca, coordinatore dell’area Bonaccini, ha a sua volta annunciato che sarà tra quelli che non firmerà. De Luca ha evitato toni troppo polemici, ma ha osservato che “anziché guardare nello specchietto retrovisore” sarebbe stato meglio “lavorare a idee e proposte che guardino avanti e migliorino le condizioni dei lavoratori, unendo il partito”, come appunto il salario minimo. Caustica Marianna Madia: “Se proprio voleva fare questa forzatura poteva farlo prima di Conte. Rimango contraria. In molti come me”.

Come ad esempio Simona Malpezzi (“non firmerò e penso sia sbagliato firmare”, ha scandito). Probabilmente proprio la volontà di non essere scavalcata a sinistra da Giuseppe Conte, ha spinto la segretaria alla decisione “solitaria”, senza cioè interpellare alcun organo di partito, lasciando per così dire “libertà di coscienza” ai Dem (“c’è chi firmerà e chi no”). Dal suo canto Conte ha battuto sullo stesso tasto: “quando siamo stati al governo abbiamo adottato il decreto dignità contro la precarizzazione, abbiamo iniziato a smontare il Jobs act, che ha creato lavori sempre più precari e ha favorito la moltiplicazione dei contratti a tempo determinato”. Matteo Renzi ha colto la palla al balzo per rilanciare la polemica con il proprio ex partito: “Elly Schlein firma i referendum contro il JobsAct – ha scritto sui social -. La segretaria del PD firma per abolire una legge voluta e votata dal PD. Finalmente si fa chiarezza. Loro stanno dalla parte dei sussidi, noi dalla parte del lavoro. Amici riformisti: ma come fate a restare ancora nel PD?”.

La risposta sembra volerla fornire Daniela Ruffino di Azione: “i riformisti dem sono finiti in una riserva indiana” ed è “sufficiente scorrere le liste per le elezioni europee per capire che la componente cattolica e riformista che aveva animato la stagione dell’Ulivo è ridotta ai margini”. “La scelta di Elly Schlein di firmare il referendum della Cgil contro il Jobs Act – si aggiunge la coordinatrice renziana Raffaella Paita – certifica ufficialmente il compimento definitivo della deriva grillino populista del Pd, un partito snaturato che ha perso completamente la vocazione originaria”. Un ragionamento contenuto nel commento tranchant di Carlo Calenda: “È un gravissimo errore da parte di Schlein firmare contro il Job act e appiattirsi sulle battaglie ideologiche e politiche di Landini”.

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Mattarella all’Onu: serve il coraggio di una riforma

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“Una guerra mondiale diffusa”, disse papa Bergoglio. Parole fatte proprie anche dal presidente Sergio Mattarella che oggi è atterrato a New York per una visita di tre giorni interamente dedicata alle Nazioni Unite durante la quale sarà impossibile non tenere conto delle tensioni internazionali, della guerra in Ucraina, di quanto sta accadendo a Gaza. Basti pensare che a poca distanza dal Palazzo di Vetro continuano fortissime le proteste studentesche pro-Palestina e che la Columbia University, che Mattarella avrebbe dovuto visitare, è ancora chiusa agli esterni dopo lo sgombero di pochi giorni fa.

Proprio in questi giorni Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ha chiesto al governo Meloni di ripristinare il contributo italiano per l’agenzia che assiste i profughi palestinesi (non solo quelli di Gaza) dopo che l’ex ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, ha presentato le conclusioni del suo rapporto incaricato di analizzare la “neutralità” dell’UNRWA spiegando che al momento Israele non avrebbe ancora fornite prove dell’infiltramento di Hamas in Unrwa.

Un dossier, quest’ultimo, che potrebbe essere affrontato da Mattarella nei suoi colloqui. Mai come oggi il ruolo delle Nazioni Unite come strumento di pace e risoluzione negoziale dei conflitti si presenta debole, se non inefficace, ad affrontare le grandi crisi del pianeta. Ma per l’Italia non significa che bisogna arrendersi alle difficoltà. Al contrario oggi più che mai bisogna spingere sul multilateralismo ed impegnarsi ad una riforma dell’Onu per poi puntare ad un suo rafforzamento. Il capo dello Stato è atterrato nella Grande mela avendo nei propri pensieri proprio questa logica: dare un contributo per “superare le attuali difficoltà politiche e strutturali” dell’Alleanza, spiegano dal Quirinale. Il presidente centrerà i suoi interventi sul “coraggio della riforma” delle Nazioni Unite per fare in modo che non sia più un “Olimpo dei Paesi potenti”, come già disse nel lontano 1996 un altro presidente, Oscar Luigi Scalfaro, nel suo intervento al Palazzo di Vetro.

Perchè di riforma dell’Onu si parla ormai da decenni, soprattutto della riforma del principale organismo decisionale, il Consiglio di Sicurezza, ristretto tra i Paesi leader e bloccato dai veti contrapposti. Non sono previsti quindi contatti con l’amministrazione Usa che peraltro il capo dello Stato ha già sondato incontrando il presidente Biden alla Casa Bianca nel 2021. Certo, sarà difficile in terra americana schivare le polemiche che stanno crescendo in Italia per il caso dello studente, Matteo Falcinelli, arrestato e torturato dalla polizia di Miami e il cui video dell’incaprettamento in caserma ha scioccato i cittadini.

In ogni caso Sergio Mattarella porterà con forza al Palazzo di Vetro l’incrollabile “credo” dell’Italia nella potenza del multilateralismo da contrapporre ai blocchi che si stanno delineando nel pianeta. Alla vigilia del 70.mo anniversario dell’adesione dell’Italia all’Onu, il presidente Mattarella entrerà due volte nel Palazzo di Vetro per parlare. Interventi ai quali si affiancheranno i colloqui ufficiali con il segretario generale Antonio Guterres e con il presidente dell’Assemblea Dennis Francis. Il primo impegno sarà, per Mattarella, l’intervento alla Conferenza sullo stato di attuazione dell’obiettivo 16 (‘Pace, giustizia ed istituzioni per lo sviluppo sostenibile’ dell’Agenda 2030). Si tratta di un appuntamento che viene proposto ogni anno per monitorare uno degli obiettivi fissati dall’Agenda per lo sviluppo sostenibile, rispetto al quale l’Italia ha assunto un ruolo di primo piano. Si annuncia decisamente più politico il secondo discorso del presidente all’Assemblea generale dove parlerà sul tema “Italia, Nazioni unite e multilateralismo per affrontare le sfide comuni’.

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Ambiente

Stop al solare nei campi ma salve le opere già previste

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Sul solare avanti tutta riguardo la norma per lo stop ai pannelli fotovoltaici sui terreni coltivati, inserita nella bozza del decreto sugli aiuti all’agricoltura atteso lunedì in Consiglio dei ministri, ma con qualche primo distinguo. “Niente macchie nere a terra”, ma sì all’agrivoltaico su grandi aree come i tetti delle stalle e delle industrie, per le quali il ministero dell’Agricoltura “ha finanziato solo quest’anno 13.500 aziende” con una prospettiva di 26mila. In più le opere a terra che già erano previste, e “che non sono in numero eccezionale, verranno realizzate” per tutelare le imprese che hanno investimenti in corso, così come ci saranno altre aree agricole ritenute “utilizzabili”, come quelle accessorie alle grandi arterie di circolazione ferroviaria e autostradale, le aree che sono agricole, ma che non vengono utilizzate e non possono essere usate come agricole, ad esempio le cave.

Il giorno dopo la querelle sollevata dalle imprese del solare e dal Mase sulla bozza del provvedimento elaborato dal ministero dell’Agricoltura, il ministro Francesco Lollobrigida ribadisce la sua posizione e difende il testo, definendo la norma “di buonsenso”. E da Torino, a margine della prima tappa del Giro E-24, rassicura anche sul rapporto con Gilberto Pichetto Fratin. “Non solo siamo colleghi, siamo amici e ci sentiamo costantemente. È uscito che ci siano divergenze tra me e lui, ma non c’è alcun tipo di fondamento. Pichetto da agricoltore sa bene quanto è rilevante la tutela del territorio”, ha detto Lollobrigida ai giornalisti. Dopo un’iniziale presa di distanze, nel tardo pomeriggio di ieri il titolare dell’Ambiente aveva precisato che sull’agrivoltaico si stava lavorando “per la migliore formula, per tutelare gli agricoltori e i target di decarbonizzazione” e una telefonata questa mattina tra i due sembra aver ammorbidito ulteriormente le posizioni nella ricerca di una mediazione. Poi riunioni tecniche tra i due ministeri avrebbero analizzato i dettagli per una “soluzione condivisa”. In vista del consiglio di lunedì, resta però alta la preoccupazione da parte degli operatori.

Con il blocco delle realizzazioni degli impianti fotovoltaici “si perdono 60 miliardi di euro” di cui almeno 45 di investimenti privati diretti, afferma Italia Solare, l’associazione delle imprese del fotovoltaico, in una lettera inviata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e a Pichetto Fratin. Secondo l’associazione i pannelli coprirebbero solo lo 0,24% della superficie agricola nazionale, “e anche sotto questi sarebbe possibile coltivare e far pascolare”. Secondo la norma all’articolo 6 della bozza di Decreto sui sostegni all’agricoltura, le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra. Ma per Italia Solare “vanno salvaguardate le aree già classificate idonee a questo scopo”. L’energia pulita, dice dal canto suo Lollobrigida “va prodotta bene, non riesco a immaginare la nostra Italia violentata da un modello di sviluppo senza razionalità”.

“Sottrarre terreno agricolo – aggiunge il ministro – significa speculare, per questo stiamo lavorando a un articolo che ponga limiti serissimi a questo tipo di sviluppo senza freni e garantisca produzione energetica”. Le previsioni del governo precedente sono state moltiplicate per quattro: “Siamo stati premiati con 830 milioni in più dalla Commissione per investimenti sul solare, quindi sappiamo fare le cose”, ha detto Lollobrigida. Appoggio al titolare del Masaf arriva intanto anche dalla Lega con il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, responsabile Agricoltura e Turismo. Mentre da parte degli agricoltori, la Cia è contraria ai pannelli a terra sui terreni coltivabili “che devono servire per produrre cibo” ma “in alcune aree marginali con terreni non coltivabili pensiamo che l’agrivoltaico possa andare”.

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