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Boris avanza in Inghilterra e espugna il fortino Labour

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L’Inghilterra, quella profonda, e’ con Boris Johnson, il cui Partito Conservatore avanza ancora nella tornata elettorale locale a piu’ vasto raggio della storia britannica recente: in barba al Covid, a polemiche, a scandali veri o presunti. Ma se l’ennesimo successo popolare alle urne nella nazione di gran lunga maggiore del Regno consolida la posizione a Downing Street del premier della Brexit – e minaccia di azzoppare sul nascere la leadership laburista in giacca e cravatta di sir Keir Starmer – resta l’incognita della sfida indipendentista della Scozia a fare ombra sul futuro di BoJo. E, chissa’, dell’intera isola. I risultati stanno arrivando alla spicciolata e non saranno completi sino al weekend, per effetto dei protocolli imposti dalle precauzioni sanitarie di un voto che unisce gli appuntamenti in calendario originariamente per quest’anno a quelli rinviati nel 2020 causa lockdown. Ma la tendenza sul fronte inglese appare chiara. Con la parrocchia Tory capace d’infliggere un’ulteriore umiliante disfatta ai laburisti in quello che fu il ‘muro rosso’ dell’Inghilterra centro-settentrionale nell’unico collegio nazionale in palio per un seggio alla Camera dei Comuni: quello delle suppletive di Hartlepool, citta’ in mano al Labour da mezzo secolo dove la candidata del partito di governo, Jill Motimer, non ha semplicemente superato il rivale Paul Williams, fedelissimo di Starmer, come gli ultimi sondaggi tutto sommato prevedevano; l’ha spazzato via quasi doppiandolo nei consensi. Un segnale sonante, confermato poi dai progressi nella generalita’ delle amministrative made in England da parte dei Conservatori: in grado di strappare ai Laburisti anche il controllo di diversi consigli locali di contea come quelli di Redditch o di Nuneaton & Bedworth, nelle Midlands, di Northumberland, di Dudley, e giu’ giu’ fino ad Harlow, nell’Essex, a sud. Vittorie cui il Labour puo’ contrapporre la scontata conferma del sindaco di Londra, Sadiq Khan, o di altre aree urbane metropolitane mai in discussione come Manchester; in attesa di sapere se sara’ riuscito a salvare il timone del governo locale del Galles (dove pure i Tories sembrano guadagnare qualcosa). Ma che pesano comunque come macigni su qualunque ambizione immediata di rimonta di Starmer, il cui score si profila inferiore persino a quello raccolto dal contestatissimo predecessore Jeremy Corbyn, inviso all’establishment moderato per il suo “radicalismo”. Un risultato che sir Keir non puo’ negare essere “deludente”, rigettando tuttavia come prematura una condanna del suo tentativo di “riconnettersi” con l’elettorato e “la working class” dopo la devastante batosta sotto la gestione precedente alle politiche di fine 2019. Senza poter impedire peraltro il riaccendersi del caos dello scontro fra correnti fra i suoi, con la sinistra interna ex corbyniana decisa a rialzare la testa contro un tradimento “dei valori” socialisti che non ha pagato. Johnson dal canto suo osserva e si frega le mani. Attribuendo il buon esito della sua strategia di sfondamento del ‘red wall’ alla sintonia del governo Tory “con la gente” sulle priorita’ del momento: a iniziare dall’impegno a “ricostruire in meglio” il Paese e la sua economia dopo il terremoto Covid. “E’ grazie alla Brexit – aggiunge quindi arringando la cittadinanza nella brexiteer Hartlepool all’ombra di un pupazzo gonfiabile che lo raffigura con in pollici all’insu’ – se abbiamo potuto riprendere il controllo delle nostre frontiere, condurre la battaglia contro la Superlega europea nel calcio o fare le cose a modo nostro per garantire una somministrazione di vaccini piu’ veloce che nei Paesi Ue”. “E che saremo in grado di fare altro”, promette. Sempre a patto di rimanere pero’ uniti, come Regno. Un obiettivo su cui incombe la vera sfida, quella scozzese degli indipendentisti dell’Snp della first minister Nicola Sturgeon. Incamminati a ribadire l’ormai solida posizione di prima forza politica del parlamento locale a nord del Vallo di Adriano, secondo le prime schede scrutinate oggi e in attesa del quadro complessivo di domani. Ma non ancora certi di conquistare quella maggioranza assoluta di cui la lady di ferro di Edimburgo – confermata senza patemi nel suo seggio personale nonostante la concorrenza fratricida del partito scissionista Alba creato dal vendicativo predecessore ed ex mentore Alex Salmond – ha bisogno a mo’ di grimaldello: per provare a forzare il no a un referendum bis sulla secessione che Londra e Johnson continuano a opporle.

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Putin: esercitazioni nucleari a truppe vicino a Ucraina

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Il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato esercitazioni nucleari che coinvolgono truppe posizionate vicino all’Ucraina: lo ha reso noto l’esercito.

Le esercitazioni coinvolgono la Marina e le truppe di base vicino all’Ucraina, ha affermato oggi il ministero della Difesa russo. “Durante le esercitazioni verranno adottate una serie di misure per esercitarsi nella preparazione e nell’uso di armi nucleari non strategiche”, secondo il ministero.

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Israele spegne Al Jazeera, fumata nera sulla tregua

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Israele spegne Al Jazeera nel Paese mentre una nuova fumata nera al Cairo allontana l’agognata tregua a Gaza, nonostante l’ottimismo dei giorni scorsi, e avvicina invece l’operazione a Rafah, nel sud della Striscia. Da oggi l’emittente del Qatar non è più visibile in Israele. Il governo Netanyahu ha infatti votato la chiusura delle attività e la confisca delle attrezzature della tv, accusata di essere “il megafono” di Hamas a Gaza e di “istigare” contro Israele. Una decisione respinta da Al Jazeera, che l’ha definita “criminale”. L’approvazione da parte del governo è avvenuta all’unanimità, con qualche mal di pancia – per la concomitanza con le trattative in Egitto – dei ministri centristi del gabinetto di guerra, Benny Gantz e Gadi Eisenkot.

Lo scorso primo aprile la Knesset ha varato una legge per bandire le “emittenti straniere che danneggiano la sicurezza dello stato”. Il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha quindi firmato i provvedimenti che comprendono “la chiusura degli uffici, la confisca delle attrezzature del canale, compresi possibilmente i cellulari, e il blocco dell’accesso al sito web della tv”. Il capo del network in Israele e nei Territori Walid Omary ha preannunciato un possibile ricorso in tribunale. Hamas ha accusato Israele di voler così “nascondere la verità” sulla guerra, mentre l’Onu ha chiesto che il provvedimento sia ritirato. Frattanto la trattativa tra Israele e Hamas si è consumata in un muro contro muro, sebbene sul tavolo – secondo una fonte araba – ci fosse “la migliore bozza di accordo” elaborata finora.

I colloqui in serata sono stati dichiarati conclusi e la delegazione di Hamas – dopo aver fornito la sua riposta ai mediatori di Egitto e Qatar – è tornata a Doha “per consultazioni con la leadership” del movimento. Secondo i media egiziani, tornerà però martedì prossimo al Cairo per riprendere i negoziati mentre a Doha è arrivato in tutta fretta il direttore della Cia William Burns per spingere di nuovo alla ricerca di un’intesa prima che tutto “collassi”. Le posizioni continuano tuttavia a rimanere lontanissime. Il nodo è sempre lo stesso: Hamas insiste sulla fine definitiva del conflitto nella Striscia e il ritiro “totale” dell’Idf da Gaza. Condizioni che il premier Benyamin Netanyahu ha seccamente bocciato, liquidandole come diktat inaccettabili. E’ stato lo stesso leader della fazione islamica palestinese Ismail Haniyeh a ribadire la linea.

“Hamas – ha detto da Doha – vuole raggiungere un’intesa globale che ponga fine all’aggressione, garantisca il ritiro dell’esercito e raggiunga un serio scambio di prigionieri. Che senso ha un accordo se il cessate il fuoco non è il primo risultato?”. “E’ Hamas che impedisce un accordo per il rilascio degli ostaggi”, ha replicato Netanyahu, aggiungendo che “Israele era ed è tuttora pronto a concludere una tregua per liberare gli ostaggi”. Ma “le richieste estreme” di Hamas, ha aggiunto il primo ministro, “significano la resa” di Israele, che “invece continuerà a combattere fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi”. Per questo ora l’operazione a Rafah, dove ci sono un milione e mezzo di sfollati palestinesi, sembra più vicina: “Comincerà molto presto”, ha assicurato il ministro della Difesa Yoav Gallant. “Ho affrontato la questione intensamente nell’ultima settimana, compreso oggi”, ha spiegato. La comunità internazionale, Stati Uniti in testa, è fortemente contraria.

E forse non è un caso che per la prima volta dal 7 ottobre l’amministrazione Biden la scorsa settimana abbia deciso di bloccare una spedizione di munizioni in Israele, come riferisce Barak Ravid di Axios. Il presidente Usa si trova ad affrontare aspre critiche in patria da chi si oppone al suo sostegno incondizionato allo Stato ebraico. A febbraio la Casa Bianca ha chiesto di fornire garanzie che le armi Usa fossero utilizzate dall’esercito israeliano a Gaza in conformità col diritto internazionale, con Israele che ha fornito una lettera di assicurazioni a marzo. Al 212esimo giorno di guerra intanto, Hamas ha rivendicato il lancio di almeno 10 razzi nell’area del valico di Kerem Shalom, quello da dove transitano i camion degli aiuti umanitari, con il motivo che sul posto “si erano radunati soldati”. Per tutta risposta lo Stato ebraico ha chiuso il valico, dove ci sono stati almeno 10 israeliani feriti. Secondo l’Idf, Hamas ha lanciato razzi da Rafah “a circa 300 metri da un’area usata come rifugio dagli sfollati”. Gli scontri proseguono anche al confine nord di Israele: Hezbollah ha rivendicato il lancio di “decine di razzi dopo la morte di tre civili a seguito di un attacco israeliano nel sud del Libano”.

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Matteo Falcinelli legato e immobilizzato, arresto choc italiano a Miami

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Non bastano le manette: prima bloccato da un ginocchio, poi la forte stretta di una cinghia ad aggiungere inutile sofferenza nella cella. Stavolta negli obiettivi delle bodycam degli agenti statunitensi c’è un giovane italiano, Matteo Falcinelli, un 25enne di Spoleto vittima di un violento trattamento degli agenti. Le immagini choc del suo arresto avvenuto lo scorso 25 febbraio a Miami, e rese note soltanto in queste ore dalla famiglia, scuotono fino a indurre alla “massima attenzione sul caso” da parte della Farnesina, che da quasi tre mesi segue la vicenda attraverso il consolato generale nella città della Florida, fin da quando Falcinelli fu bloccato dalla polizia per violenza (poi derubricata a ‘resistenza’), oltraggio e violazione di domicilio quella notte in cui il ragazzo stava tentando di rientrare in uno strip club dove era stato, per riavere i suoi telefoni smarriti all’interno del locale.

Lo stesso ministro e vice premier Antonio Tajani, che ha contattato la madre del 25enne per portare la sua solidarietà, si è detto “profondamente colpito dalla violenza e dal tipo di trattamento che è stato applicato al nostro giovane connazionale: quel sistema in Italia evoca qualcosa che neppure voglio nominare”. Azioni ritenute “inaccettabili” anche dal console e di cui Falcinelli porta ancora i segni di profonde ferite psicologiche, secondo quanto spiega la madre: ‘la sua voglia di vivere si è trasformata in un incubo di vivere’. Qualsiasi siano gli scenari, si apre adesso sulla vicenda una partita delicata tra i legali dello studente spoletino e le autorità della Florida, proprio in un momento in cui gli Usa, dopo un difficile accordo si apprestano a trasferire in Italia Chico Forti, condannato nel 2000 all’ergastolo da un tribunale dello stesso Stato americano per l’omicidio premeditato di un imprenditore australiano.

“La struttura amministrativa americana dovrebbe riconoscere che c’è stato un comportamento totalmente fuori dalle regole, totalmente ingiustificato e sproporzionato rispetto a quella che era la necessità di intervento. Penso che il fine principale delle sollecitazioni di chiarimento da parte dell’Italia sia proprio questo: far capire che tutto deve essere riportato nei giusti termini”, spiega il legale della famiglia, l’avvocato Francesco Maresca, riferendosi alle sue sollecitazioni alla Procura di Roma, “che può intervenire nei fatti che riguardano i cittadini italiani all’estero”. Non si può escluder quindi che la Procura potrebbe aprire un fascicolo, per richiedere ai colleghi statunitensi informazioni sull’accaduto e per sollecitare gli stessi a procedere in modo diretto nei confronti dei poliziotti. La polizia di Miami ha avviato un’indagine interna in merito alla vicenda di Falcinelli e l’ambasciata Usa a Roma spiega: “Abbiamo visto i report, rimandiamo alle autorità italiane”.

Ma la madre di Matteo lancia nuove accuse: “Nel report che la polizia ha rilasciato, scritto sotto giuramento degli agenti, non c’è una sola parola che corrisponda a quanto si vede nelle riprese. C’è scritto tutt’altro”, sostiene Vlasta Studenivova. Il giovane sta svolgendo al momento un trattamento alternativo al carcere, il parallelo della messa in prova in Italia e al termine di questo periodo – spiega il suo avvocato – “dal punto di vista giudiziario per lui questa vicenda si chiude”. Dal segretario di Più Europa Riccardo Magi al responsabile Esteri di Italia viva, Ivan Scalfarotto, arrivano richiesta di interrogazioni parlamentari al ministro Tajani mentre Ilaria Cucchi ne annuncia una anche per il Guardasigilli Carlo Nordio.

Il caso ha scatenato anche l’indignazione dell’associazione dei ‘Giuristi democratici, che parlano di “brutale tortura” senza mezzi termini e secondo cui “esistono delle regole internazionali sui diritti umani che non possono essere violate né in Italia, né in Europa e nemmeno negli Stati Uniti: vige il principio universale del divieto di trattamenti inumani e degradanti e non ci sono dubbi che l’incaprettamento al quale è stato sottoposto negli Usa lo studente italiano Matteo Falcinelli sia stata una delle pratiche più crudeli e antiche di tortura”. E Amnesty International aggiunge: “Immobilizzare per lungo tempo, mediante una tecnica che causa intenso dolore, una persona che evidentemente in quel momento non può costituire alcuna minaccia, è un trattamento illegale, che non trova alcuna giustificazione di sicurezza”.

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