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Covid, primi effetti delle riaperture in Italia: più di 500 morti e 10.593 positivi

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I numeri ancora alti dell’epidemia di Covid-19 in Italia potrebbero essere la spia dei primi effetti delle riaperture del 7 gennaio dopo il lockdown di Natale. Il segnale piu’ importante e’ probabilmente l’aumento dell’indice nazionale di contagio Rt, che dopo essere sceso per due settimane sotto 0.85, nell’ultima settimana sta risalendo a 0.9, osserva il fisico Roberto Battiston, dell’Universita’ di Trento. Un probabile aumento dei casi e’ indicato poi dalle stime elaborate dallo statistico Livio Fenga. I dati del ministero della Salute registrano intanto un aumento dei nuovi casi positivi: dopo i numeri bassi del lunedi’, che risentono del rallentamento nei test del fine settimana, l’incremento e’ oggi di 10.593. Sempre molto alto e’ anche il numero dei decessi, con 541 in piu’ rispetto al giorno precedente. I casi positivi sono stati segnalati grazie a 257.034 test, fra tamponi molecolari e antigenici rapidi, contro i 143.116 del giorno prima. Di conseguenza il tasso di positivita’ e’ calato dell’1,9%, passando in 24 ore dal 5,98% al 4,1%. Ma da quando i test rapidi vengono conteggiati con i tamponi questo valore ha ormai perso significato nelle analisi degli esperti. Continuano a diminuire anche i ricoveri nelle unita’ di terapia intensiva, che in 24 ore sono stati 49 in meno nel saldo tra entrate e uscite; i nuovi ingressi sono stati 162 e il totale dei ricoverati in terapia intensiva e’ di 2.372. In calo anche i ricoverati nei reparti Covid, con 69 unita’ in meno, per un totale di 21.355 pazienti. Tra le regioni e’ la Lombardia ad registrare l’incremento maggiore, con 1.230 nuovi casi in 24 ore; seguono Lazio (1.039), Puglia (995), Emilia Romagna (993), Campania (976) e Sicilia (970) “Sono dati abbastanza stazionari”, osserva Battiston. L’unico valore che mostra segnali rilevanti e’ attualmente l’indice Rt: “A partire dal 7 gennaio, per due settimane l’indice Rt a livello nazionale e’ sceso da appena sopra 1 a 0,84, mentre negli ultimi giorni sta risalendo verso 0,90”. In sostanza, prosegue il fisico, “per due settimane abbiamo risentito i benefici del lockdown di Natale, ma in questi ultimi giorni osserviamo qualcosa che e’ iniziato nella prima meta’ di gennaio. Da quattro-cinque giorni – prosegue – stiamo osservando una ripresa di Rt: l’indice e’ ancora sotto 1, ma sta crescendo ed e’ importante tenerlo d’occhio perche’ se l’indice Rt risale sopra 1 i casi riprenderanno a salire”. E’ un equilibrio delicato, quello attuale, considerando che il numero complessivo dei casi e’ ancora molto elevato: “Oltre 482.000 infetti registrati e’ un numero ancora sotto 500.000, ma sono comunque tanti, 10 volte piu’ che in settembre. Ricordiamo che e’ questa la causa dei molti morti che registriamo ogni giorno: da mesi oscilliamo fra 10.000 e 20.000 nuovi infetti al giorno, una piccola percentuale di queste persone, dopo alcune settimane, purtroppo muoiono. Questo dovrebbe convincerci ancora di piu’ dell’urgenza di fare abbassare rapidamente il numero di infetti attivi, altrimenti il numero totale di morti e’ destinato ancora a crescere molto.” La fine dell’effetto positivo del lockdown di Natale e’ indicata anche nelle stime elaborate da Fenga e basate su un modello matematico piu’ volte utilizzato dallo studioso nell’analisi dell’andamento della pandemia in Italia. Basata sui dati ufficiali forniti dalla Protezione civile nell’ultimo mese, fino al 25 gennaio compreso, l’analisi indica che nei prossimi 30 giorni la curva epidemica mostra la tendenza a una crescita che potrebbe portare il numero complessivo dei casi dai 491.630 del 25 gennaio a 545.091, vale a dire 53.461 nuovi casi in piu’ entro il 25 febbraio. “Si tratta comunque – osserva – di una crescita moderata in quanto la situazione epidemiologica generale risente ancora gli effetti positivi il lockdown di Natale”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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