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Cronache

Mafie, imprenditore, ‘ho gettato busta con bond da 100 miliardi’

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Un giro vorticoso di denaro da fare invidia ad uno Stato. Era quello che avrebbe gestito un insospettabile imprenditore di Palmi, Roberto Recordare, ora indagato dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria perche’ sospettato di essere “un soggetto riservato della ‘ndrangheta” incaricato di riciclare decine di miliardi di euro per l’organizzazione mafiosa calabrese ma anche per Cosa Nostra e la Camorra. Somme monstre visto che gli investigatori della Squadra mobile di Reggio Calabria, che lo seguono da tempo, hanno messo nero su bianco in una informativa redatta nel 2018 e depositata adesso agli atti di un altro processo per ‘ndrangheta, che Recordare avrebbe gestito un fondo di 500 miliardi di euro. E a dare la misura del valore del riciclaggio e’ lo stesso imprenditore che, intercettato, racconta ad un suo interlocutore cosa gli e’ accaduto all’aeroporto di Fiumicino: “Piu’ o meno erano cento miliardi, qualcosa del genere. Ho preso quella busta e l’ho buttata nella spazzatura. Avevo il bond da 36 miliardi”. L’uomo riferisce cosi’ di essere riuscito a disfarsi di “bustone di bond e procure” prima del controllo. Ma non solo. Sul suo computer, gli investigatori sono riusciti a trovare gli estremi e la foto di una carta di credito, intestata a un lituano, con un saldo di 2 miliardi di euro. Secondo gli investigatori, l’uomo “stava cercando di spostare in paesi extraeuropei e che non subissero l’influenza degli americani, un’ingentissima somma di denaro che era depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche europei, ma soprattutto in paesi da ‘black list’ che, comunque, non potevano risultare, ad eventuali controlli, giacche’ ‘nascosti’ su conti speciali. Per quanto emerso in numerose conversazioni intercettate gli indagati hanno parlato di una somma che superava i 136 miliardi di euro”. Denaro che l’imprenditore, scrivono gli investigatori della Mobile nella loro informativa, “aveva la necessita’ di rendere disponibili ai suoi sodali con operazioni bancarie che dovevano sparire una volta effettuato il trasferimento del denaro”. I soldi sarebbero finiti in carte di credito e di debito, intestate a soggetti arabi o dell’Est Europa ma in mano a Recordare e ai suoi sodali. Il denaro veniva scaricato con la procedura “off line”. Ma Recordare avrebbe avuto anche altre idee su come riciclare il denaro sporco delle organizzazioni criminali. O, per meglio dire, aveva trovato qualcuno che gli aveva suggerito una strada diversa, giustificarli con finanziamenti per opere umanitarie mai finanziate. Nell’informativa e’ riportato un colloquio intercettato in cui l’imprenditore parla con un soggetto catanese “appartenente all’ordine dei Cavalieri di Malta”. Quest’ultimo, nel settembre 2017, spiega a Recordare come funziona il sistema: “Noi siamo una piattaforma. Una piattaforma e’ una societa’ che fa programmi umanitari… noi investiremo i vostri soldi in acquisto titoli. Si fa la prima volta… la seconda volta… la meta’, la terza volta e poi mai piu’ finche’ non si scarica tutto. Ma sempre dicendo che investiamo in titoli per opere finalizzate ad opere umanitarie… ma siamo qui per fare business”. Nell’inchiesta sul riciclaggio sono emerse anche “operazioni finanziarie tra Recordare e il governo Afgano”. Ma sarebbe stata Malta, secondo gli investigatori, il terreno operativo preferito dall’imprenditore per i suoi affari. E’ lui stesso a parlarne, intercettato. E riferendosi all’autobomba che uccise la giornalista Daphne Caruana Galizia, ride e afferma: “Stavano ancora raccogliendo i cocci di quella a Malta”. E di esplosivo l’imprenditore parla anche a proposito dei magistrati reggini ed in particolare del pm della Dda Giulia Pantano. “Questi – dice durante un colloquio – non si spaventano di niente se ogni tanto ne vede saltare qualcuno in aria, questa non faceva niente”. Parole inquietanti ora al vaglio della Dda che sta cercando di chiarire in maniera definitiva il ruolo dell’imprenditore.

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Vincenzo Nibali: «Ero un carusu dannificu. La bici mi ha salvato dalla strada»

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Messina, la Sicilia, la fatica, la gloria. Vincenzo Nibali si racconta al Corriere della Sera, tra ricordi di un’infanzia ribelle, il riscatto sulla bicicletta e la consapevolezza maturata solo dopo il ritiro. Un’intervista intensa, autentica, a cuore aperto.

Una giovinezza a rischio: «Compagni con la pistola nello zaino»

«Ero un carusu dannificu», dice Nibali, usando l’espressione siciliana per “bambino disastroso”. Uno che attirava guai: sassate alle vetrate, petardi nelle cassette postali, motorini lanciati contro i muri. Una giovinezza vissuta in un quartiere difficile di Messina, dove alcuni compagni portavano la pistola a scuola. Nessuna mafia organizzata, ma il pizzo sì: «Colpì anche la cartoleria dei miei genitori».

La salvezza arriva su due ruote: «Sempre in salita, come da Messina»

La svolta arriva con la bici, a 12 anni, grazie al padre e ai suoi amici cicloturisti. Le prime gare, l’ammiraglia della Cicli Molonia, il traghetto per Villa San Giovanni che diventava un passaggio simbolico verso il sogno. A 15 anni vince a Siena e non torna più: «Mai avuto nostalgia. I miei genitori mi dissero: se ti impongono cose sbagliate torna, qui avrai sempre un lavoro. Mi ha aiutato a non cedere al doping».

L’ascesa, la gloria, il peso della vittoria

Nibali è uno dei pochi ciclisti ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri. Il Tour de France del 2014 è stato l’apice, ma anche l’inizio di un incubo: «Non potevamo camminare con la carrozzina di nostra figlia senza essere assaliti. Solo adesso che ho smesso, vivo davvero». E confessa: «Mai provato e mai pensato di doparmi. Ma ho pagato il sospetto solo perché vincevo ed ero italiano».

La caduta che fa crescere: l’Olimpiade sfumata

Nel 2016 era lanciato verso l’oro olimpico, ma cadde in curva. «Scelsi io di rischiare, e sbagliai. Nessuna scusa». Parla anche del secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, “scippato” da un dopato, ma senza rancore: «Non mi chiedo mai quanto ho perso per colpa del doping».

Il ritorno da turista: «Messina è ‘u megghiu postu nto munnu’»

Oggi Nibali è ambasciatore del Giro e padre presente. Ha visitato la Sicilia con le figlie per farla conoscere da turista: «Antonello da Messina, i templi di Agrigento, i boschi dei Peloritani… È il posto più bello del mondo». Un campione che, a distanza di anni, può guardarsi indietro con orgoglio: «A testa alta, sempre».

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Guerra dei cassonetti ai Parioli: scompaiono i bidoni davanti a casa Castellitto

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Nel quartiere elegante e silenzioso dei Parioli esplode una singolare guerra urbana, fatta di strisce gialle, rifiuti e cortili privati. Oggetto del contendere: un set di cassonetti della raccolta differenziata, misteriosamente spariti dalla carreggiata davanti alla villa dell’attore Sergio Castellitto.

I cassonetti finiscono nel cortile dell’attore

La miccia si accende nella notte tra il 20 e il 21 aprile. I bidoni che servivano i residenti della zona vengono spostati oltre il cancello della villa in cui vive Castellitto, allineati ordinatamente nel cortile. Una rimozione anomala che di fatto priva della raccolta l’intero isolato. Le strisce gialle, predisposte per accogliere i cassonetti, rimangono desolatamente vuote.

Secondo indiscrezioni, l’attore avrebbe più volte manifestato il suo malcontento per la presenza dei contenitori davanti all’ingresso della sua abitazione, considerandoli poco decorosi. I vicini, al contrario, li ritengono un servizio essenziale, invocandone semmai una manutenzione più frequente.

Denuncia in arrivo e reazione dei residenti

A seguito dell’episodio, il quartiere insorge. I residenti, costretti a girovagare per il quartiere con buste e cartoni, scattano foto e si interrogano sul destino dei contenitori. Tra loro anche il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, recentemente trasferitosi nella zona.

Dopo poche ore, i cassonetti scompaiono anche dalla visuale del villino: né davanti al cancello né sul marciapiede. Ma non vengono ricollocati nella loro sede originaria. La vicenda, lungi dal concludersi, potrebbe ora avere conseguenze legali.

Ama pronta a sporgere denuncia

La municipalizzata dei rifiuti, Ama (foto Imagoeconomica), non intende lasciar cadere il caso. I vertici dell’azienda starebbero preparando una denuncia ai carabinieri per la scomparsa dei contenitori. Anche l’assessore al Verde del Municipio, Rosario Fabiano, si è attivato per fare luce sull’accaduto.

Il comitato Le Muse: “I cassonetti tornino al loro posto”

Dal comitato di zona Le Muse l’appello è chiaro: «Speriamo che quei cassonetti tornino al più presto al loro posto. Sarebbe grave se così non fosse. Si tratta di oggetti che appartengono alla collettività, ricordiamolo».

Intanto, nel quartiere ovattato dei Parioli, il decoro urbano si trasforma in una guerra di nervi, tra privacy e servizio pubblico, in attesa che si ristabilisca un fragile equilibrio tra rifiuti e rispetto.

 

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La madre del 17enne condannato per l’omicidio di Santo Romano: «Non è lui l’autore dei post provocatori»

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Ha deciso di rivolgersi alla polizia postale la madre del 17enne condannato a 18 anni e 8 mesi per l’omicidio di Santo Romano, ucciso nella notte tra l’uno e il due novembre scorsi a San Sebastiano al Vesuvio. Lo fa per chiedere chiarezza su una vicenda che – a suo dire – rischia di danneggiare ulteriormente il figlio.

La denuncia: «Quei post non li ha scritti mio figlio»

«Mio figlio è detenuto ad Airola, non ha accesso ai social e non è stato mai segnalato per l’uso di telefoni cellulari in modo clandestino», spiega la donna, assistita dall’avvocato Luca Raviele. E chiarisce: «Non può essere lui l’autore dei messaggi comparsi in rete dopo la sentenza». Messaggi che – accompagnati da immagini del ragazzo risalenti a mesi fa – contengono frasi provocatorie e offensive, come: «Io 18 anni e 8 mesi me li faccio seduto su un cesso».

Una pioggia di messaggi offensivi

Quei post, circolati in modo virale sui social, hanno fatto riesplodere le tensioni tra i familiari delle due fazioni coinvolte nella tragica vicenda. E la madre del minore condannato prende le distanze: «Non c’entriamo nulla. Né io, né parenti o conoscenti abbiamo scritto o condiviso quei contenuti. Spero che la polizia postale indaghi per risalire ai veri responsabili».

La notte dell’omicidio: una lite per una scarpa sporca

Tutto è iniziato in piazza Capasso, cuore della movida di San Sebastiano. Un banale litigio per una scarpa pestata ha innescato lo scontro tra due gruppi di ragazzi. Dopo un primo alterco, la situazione sembrava rientrata, ma secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – anche grazie a un video – Santo Romano sarebbe tornato indietro rivolgendosi all’auto dove si trovava L.D.M. Un gesto, forse un lancio, e poi il dramma: due colpi di pistola al petto, esplosi dal 17enne. Santo muore sul colpo.

Un processo doloroso e una sentenza pesante

Martedì scorso è arrivata la condanna in primo grado: 18 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio, tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco. L’indagine è stata condotta dal pm Ettore La Ragione della Procura per i Minori. Una sentenza che ha alimentato il dolore dei familiari di Santo Romano, un ragazzo di 19 anni, portiere di una squadra di calcio, noto nel suo gruppo per essere sempre un paciere.

Il timore di nuove tensioni

I post emersi nelle ultime ore rischiano di avvelenare ulteriormente il clima. «Non voglio neanche ripetere il contenuto di certi messaggi – spiega la madre del ragazzo – sono offensivi, gratuiti, e danneggiano mio figlio. Non possiamo permettere che a una tragedia come questa si aggiungano nuove ingiustizie». Per questo è stata sporta una formale denuncia contro ignoti: sarà ora compito degli investigatori della polizia postale stabilire chi si nasconde dietro quegli account.

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