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Esteri

Dalle carceri di Tripoli in fuga volgari ladri e terroristi dell’Isis

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Negli scontri armati di Tripoli pochi pensano ai centri per migranti che si svuotano per effetto della fuga di persone inermi che senza controllo della polizia provano a mettersi in salvo da qualche parte. E pochissimi comprendono la pericolosità dell’evasione di molti detenuti pericolosi dalle carceri. Il penitenziario di Ain Zara, per esempio, si è svuotato. C’erano decine di ex sostenitori di Gheddafi rinchiusi. Ma anche criminali comuni, ladri di ogni tipo, assassini. Gente che era in cella da anni, ben prima delle rivolte del 2011. E adesso sono liberi. Liberi di rubare, violentare, vendicarsi. E possono farlo ancor di più oggi che non c’è polizia per strada. Non c’è sicurezza. Sono ripresi i rapimenti con richieste di riscatto.
Insomma Tripoli non trova pace. Nella capitale, per la verità, non c’è sicurezza dal rovesciamento del regione di Gheddafi. Da allora, per la popolazione, ha significato anche la fine della sicurezza e la nuova era dei crimini impuniti, di bande e mafie, alcune anche travestite da milizie, che poi vanno dai privati a chiedere di essere pagate per la loro “protezione” non richiesta. Ma a fare precipitare la situazione è stata la fuga di massa domenica di circa 400 detenuti che stavano nel carcere di Ain Zara, nella parte occidentale di Tripoli, una quindicina di chilometri dal centro. Le prime cronache narravano di una sorta di rivolta generale dei prigionieri innescata dai combattimenti che stanno via via investendo la regione. I poliziotti di guardia se la sarebbero data a gambe. Ieri alcuni di loro si sono poi giustificati sui social media affermando che è stata una sorta di “ritirata strategica”.
Abdel Salam Ashour, ministro dell’Interno nel governo di coalizione nazionale guidato da Fayez Sarraj, ieri ha fatto appello a “proteggere” due quartieri già parzialmente saccheggiati nelle vicinanze del carcere. Uomini armati dei quartieri vicini invitano i civili ad allontanarsi per non essere a loro volta aggrediti dalle bande di criminali. E si teme che anche i prigionieri di Isis possano fuggire in massa dal carcere di Mitiga, presso l’aeroporto. A Mitiga, però, è arrivata una brigata da Misurata. Per difendere Tripoli, certo, ma anche per impedire la fuga di terroristi dal carcere che si trova accanto all’aeroporto. Uno scenario che assomiglia un poco a Kabul dopo la caduta del governo talebano nel 2001 e soprattutto a Baghdad nel settembre 2002, quando Saddam Hussein con l’intento di fomentare il caos prima dell’attacco americano, ordinò l’apertura dei cancelli del grande penitenziario di Abu Ghraib. In pochi giorni il tasso della criminalità saltò alle stelle. Ma non occorre andare troppo distanti. Tripoli e il suo circondario ricordano sempre più da vicino gli scenari dei combattimenti del 2011. Tanti ex criminali si unirono alle milizie. La battaglia di Sirte, dove nell’ottobre di quell’anno vennero linciati a morte Gheddafi e i suoi fedelissimi, si caratterizzò per il costante saccheggio delle abitazioni civili e degli edifici pubblici da parte delle “milizie della rivoluzione”. Si presentavano come i fondatori della nuova libertà, ma alla prova dei fatti si comportavano come ladri di bassa lega.

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Esteri

Hamas, tra crisi interna e ruolo nei negoziati: resta il vero interlocutore della questione palestinese

Nonostante le perdite subite e il controllo limitato su Gaza, Hamas mantiene un ruolo centrale nei negoziati. Il dibattito internazionale oscilla tra il suo indebolimento e la sua centralità politica.

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Fino a pochi giorni fa il dibattito ruotava attorno alle conseguenze dell’attacco israeliano contro i siti nucleari iraniani. Oggi, l’attenzione si è spostata su Hamas e sul reale stato di salute del movimento armato palestinese, al centro della guerra e dei negoziati in corso. Il quadro è incerto e, come spesso accade in Medio Oriente, filtrato da interessi politici, propaganda e diplomazia parallela.

Il messaggio anonimo: Hamas al collasso?

Un messaggio audio consegnato da un dirigente non identificato di Hamas alla BBC offre una visione drastica: il movimento controllerebbe appena il 20% della Striscia di Gaza, il 95% dei suoi capi sarebbe stato eliminato, e i militanti riceverebbero salari ridotti e in ritardo. A sfidarlo sul campo ci sarebbero almeno sei gruppi armati, tra cui quello guidato da Yasser Abu Shabab, vicino agli Emirati Arabi e all’ex capo della sicurezza di Arafat, Mohammed Dahlan.

Ma l’anonimato del funzionario, ferito e fuori gioco da mesi, ridimensiona l’attendibilità del messaggio, tanto che il Jerusalem Post ha messo in discussione più il “perché ora” che il contenuto delle sue dichiarazioni. L’interpretazione prevalente è che Hamas, pur colpito, non sia affatto fuori dai giochi.

Le valutazioni militari e i numeri sul campo

Secondo le stime dell’intelligence e degli osservatori internazionali, Hamas può ancora contare su 20-25 mila combattenti, di cui molti attivi sul territorio tra le macerie e la popolazione civile, mentre altri si nascondono nella vasta rete sotterranea dei tunnel. Una stima israeliana parla di un 75% della rete ancora operativa, ma resta un dato senza conferme certe.

Anche l’organizzazione del comando si è trasformata: una doppia guida, con Izz al Din al Haddad a Gaza e un comitato all’estero che mantiene i rapporti diplomatici, soprattutto con Qatar e altri mediatori. Israele sostiene che la struttura sia ormai decentrata, incapace di controllare ogni dettaglio operativo, e che sia sotto pressione per la crescente influenza di clan armati autonomi.

La partita diplomatica e la centralità politica

Nonostante queste difficoltà, Hamas resta al centro dei colloqui per la tregua e continua a essere considerato l’unico interlocutore palestinese riconosciuto dagli attori regionali e internazionali. Anche Donald Trump, nelle sue recenti dichiarazioni, ha fatto riferimento a Hamas e non all’Autorità Nazionale Palestinese.

Secondo Haaretz, la leadership del movimento si considera ancora la vera rappresentanza del popolo palestinese, e punta a consolidare questo ruolo anche attraverso il confronto diretto con Israele. Il fine è sopravvivere alla guerra e uscirne con una posizione rafforzata nei rapporti internazionali.

Hamas in bilico tra resistenza e riconoscimento

La guerra ha sicuramente ridimensionato le capacità militari e logistiche di Hamas. Tuttavia, la sua sopravvivenza politica e strategica è ancora al centro dello scenario mediorientale. I nemici lo vogliono schiacciato, i suoi avversari interni lo sfidano, ma i negoziati continuano a passare da lui. Se anche le parole del dirigente anonimo dovessero essere vere, Hamas sembra ancora in grado di dettare condizioni e orientare il futuro del conflitto.

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Esteri

Russia, si suicida il ministro dei Trasporti Starovoit dopo la rimozione: ombre di corruzione e misteri

Roman Starovoit si sarebbe tolto la vita dopo la rimozione da ministro dei Trasporti. Ombre di frode e collegamenti con l’inchiesta in corso nella regione di Kursk. Tensione in Ucraina.

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Roman Starovoit, fino a poche ore prima ministro dei Trasporti della Federazione Russa, è stato trovato morto con un colpo di pistola nella sua auto, parcheggiata in un’area isolata alla periferia di Odintsovo, a ovest di Mosca. La notizia, confermata dal Comitato investigativo russo, ha scosso il Cremlino e getta ulteriori ombre su una vicenda che intreccia potere, inchieste giudiziarie e guerra.

Il colpo con la pistola ricevuta come onorificenza

Secondo quanto trapelato, Starovoit si sarebbe suicidato con la pistola ricevuta due anni fa come premio per i servizi speciali resi alla sicurezza dei cittadini. Il gesto estremo è avvenuto poche ore dopo l’annuncio, senza spiegazioni ufficiali, della sua rimozione da parte del presidente Vladimir Putin.

Tuttavia, fonti vicine all’inchiesta ipotizzano un collegamento diretto tra la sua uscita di scena e una presunta frode milionaria relativa a lavori pubblici nella regione di Kursk, di cui Starovoit è stato governatore fino a poco più di un anno fa.

Inchiesta su fondi per opere difensive

Le indagini, secondo il quotidiano economico Kommersant, coinvolgerebbero anche l’attuale ex governatore Alexei Smirnov, arrestato ad aprile, il quale avrebbe testimoniato contro Starovoit insieme ad altri indagati. L’accusa principale riguarderebbe la sottrazione di fondi pubblici per oltre un miliardo di rubli (circa 11 milioni di euro), destinati alla costruzione di barriere difensive nella regione frontaliera, in parte invasa dall’Ucraina ad agosto 2024.

Starovoit sarebbe stato fermato per interrogatorio proprio nella giornata in cui si è tolto la vita, secondo le prime ricostruzioni. Ma la vicenda resta avvolta nel mistero: alcune fonti sostengono che il corpo sia stato trovato fuori dal veicolo, a pochi metri, e altre avanzano dubbi sulla tempistica.

Un secondo decesso agita il ministero

A rendere il quadro ancora più inquietante, il malore improvviso e fatale di un funzionario del ministero dei Trasporti, 42 anni, avvenuto durante una riunione poche ore dopo la notizia della rimozione del ministro. La notizia è stata rilanciata da canali Telegram russi come Baza, Maah e Shot.

Nel frattempo, Andrei Nikitin è stato nominato ministro ad interim dei Trasporti e ha già incontrato Putin al Cremlino.

Sul fronte bellico, Mosca rivendica nuovi avanzamenti

In Ucraina, le truppe russe hanno conquistato il villaggio di Dachnoye nella regione di Dnipropetrovsk, secondo quanto riferito dal ministero della Difesa russo. L’area si trova a ovest del Donbass e non rientra tra le quattro regioni che Mosca punta a controllare totalmente.

In parallelo, le forze armate ucraine hanno colpito con droni un impianto chimico a Krasnozavodsk, vicino a Mosca, specializzato nella produzione di munizioni e testate termobariche. Alcuni canali Telegram russi hanno pubblicato video dell’attacco, ma non ci sono conferme ufficiali di danni.

Nel sud della Russia, frammenti di un drone ucraino abbattuto sono caduti su una raffineria nel Krasnodar, senza provocare danni. Ma la notte tra domenica e lunedì è stata drammatica per l’Ucraina: secondo le autorità di Kiev, attacchi russi con droni e artiglieria hanno causato almeno 12 morti e 80 feriti in diverse regioni, tra cui Sumy, Kherson e Odessa. La capitale denuncia che nell’ultima settimana sono caduti oltre mille missili e droni russi.

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Economia

Dazi USA, Trump alza i toni: intesa fragile con l’Ue, von der Leyen tratta per evitare lo scontro

Donald Trump annuncia dazi fino al 40% contro sette Paesi. Von der Leyen tratta per evitare l’escalation e tenere l’Europa fuori dalla guerra commerciale. Berlino, Roma e Parigi in pressing.

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Nessuna comunicazione ufficiale a Bruxelles, ma una mossa unilaterale da parte di Donald Trump, annunciata via Truth Social, ha riacceso lo scontro commerciale tra Stati Uniti e mondo. Il presidente americano ha indicato i primi sette Paesi destinatari di nuove tariffe doganali tra il 25% e il 40% a partire dal primo agosto: Giappone, Corea del Sud, Myanmar, Laos, Sudafrica, Malesia e Kazakistan.

Nel frattempo, un canale diretto tra Trump e Ursula von der Leyen resta l’ultima ancora di salvezza per l’Unione Europea, che cerca un’intesa fragile e complessa da costruire prima della scadenza. La finestra negoziale è stata prorogata da un nuovo ordine esecutivo del tycoon, ma i margini restano stretti.

L’Europa compatta ma divisa su come reagire

Mentre Wall Street vacilla, i vertici europei lavorano a una posizione comune. Von der Leyen ha ribadito al Parlamento europeo la necessità di negoziare “con forza e unità”, con un coordinamento stretto tra Berlino, Roma e Parigi. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente francese Emmanuel Macronsono in contatto continuo per rafforzare il fronte europeo.

L’ipotesi più concreta resta quella di un compromesso sull’aliquota unica al 10%, con esenzioni per settori strategicicome aerospazio, tecnologia e alimentare di qualità. Ma Parigi spinge per la linea dura, con l’Austria e la Spagna al suo fianco, evocando anche il ricorso allo strumento anti-coercizione, che colpirebbe le grandi aziende tech statunitensi.

Contromisure pronte a Bruxelles

Nel frattempo, due pacchetti di contromisure europee – uno congelato in primavera, l’altro in fase di rifinitura – sono già pronti: l’Europa potrebbe colpire prodotti americani per un valore fino a 120 miliardi di euro, con l’ipotesi di estendere la rappresaglia anche alle Big Tech.

Il timore principale è l’aumento delle tariffe già in vigore: 25% sulle auto europee, 50% su acciaio e alluminio, e la minaccia più recente di un ulteriore 17% sull’agroalimentare, che preoccupa soprattutto Italia e Francia.

La via del dialogo e il possibile viaggio a Washington

Nonostante tutto, la trattativa resta aperta. Un portavoce dell’UE ha dichiarato che “siamo all’inizio della fase finale e per posizionarci al meglio nel negoziato non possiamo aggiungere altro”, confermando la determinazione a ottenere “il miglior accordo possibile”.

Se nelle prossime settimane maturerà un’intesa di principio, von der Leyen potrebbe recarsi ufficialmente a Washington, ripetendo quanto fatto da Jean-Claude Juncker nel luglio 2018, quando ottenne una tregua in cambio dell’impegno europeo ad aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto e armamenti americani. Oggi, quella stessa contropartita torna sul tavolo, come carta geopolitica da giocare in una partita a scacchi dai risvolti economici esplosivi.

(Immagine realizzata con sistemi di Ia)

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