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Toti sfida Berlusconi: voglio primarie del centrodestra, Fi rischia di estinguersi

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Allora, giusto per ricapitolare. Vuole bombardare il quartier generale di Fi. Vuole unire Fi alla Lega di Salvini che vede come uomo forte del momento. E vuole che “nessuno dica che Toti è contro Berlusconi perché lui ha costruito non un partito ma un’era politica e ci ha regalato 25 anni meravigliosi della seconda Repubblica… E quello che noi chiediamo a tutti, Berlusconi compreso, è di aiutarci a costruire al terza Repubblica…”. Il governatore della Liguria Giovanni Toti, fino a due anni fa fidato scudiero di Berlusconi in Mediaset,  ha radunato le truppe di “Italia in crescita” al Teatro Brancaccio. Quando compare in sala parte  “Don’t stop me now”, Non mi fermate adesso…, dei Queen. E dalle prime battute del suo discorso – e dalle bandiere di Forza Italia fatte arrivare da Genova – si capisce che almeno per ora non romperà con il leader. “La scissione dell’atomo interessa i fisici del Cern di Ginevra…”, dice ricordando che lui e Mara Carfagna sono i coordinatori nazionali pro tempore del partito nominati da Berlusconi.

Rispetto alle dichiarazioni di guerra («Bombardare il quartier generale»), Toti vira su toni più pacati. Anche se le sue condizioni per evitare uno strappo già sono sul tavolo: “Stop al declino del partito; azzeramento dei vertici; primarie aperte del centrodestra alle quali spero voglia partecipare Forza Italia”, azzarda.
Il teatro è gremito da 1.450 “totiani”, l’aria che tira è quella di uno studio tv di Mediaset e infatti ci sono il direttore di Tgcom24 Paolo Liguori, in seconda fila, e le telecamere di «Quarta Repubblica» che tutto riprendono. In prima fila si riconoscono Laura Ravetto, Carlo Giovanardi, Gaetano Quagliariello, Luigi Vitali, Osvaldo Napoli, Paolo Romani (con il figlio Federico consigliere in Lombardia), Vittorio Sgarbi, Giorgio Lainati.
Molti simpatizzanti sono partiti all’alba in pullman dalla Liguria e dal Piemonte. Tantissimi dalla Lombardia. Ci sono anche i calabresi (notata l’ assenza di Tonino Gentile) e i laziali al seguito di Adriano Palozzi: tutti al Brancaccio per vedere un nuovo soggetto politico.
E Toti – che si fa precedere dalle slide di Enzo Risso di Swg sullo «sfarinamento del ceto medio» – li accontenta: “Vorrei fosse chiaro che non sto parlando di primarie di Forza Italia. Io farò le primarie di centro destra con chiunque le vorrà fare e mi auguro che Forza Italia ci stia. Questo partito se non farà qualcosa semplicemente scomparirà”.
Toti ha ben chiari i rapporti di forza: «La Lega è al 40% noi e l’amica Giorgia Meloni insieme arriviamo al 12%…”.

Per cui, pur sognando un vasto Partito Repubblicano, il governatore pensa a primarie con FI, liste civiche di area e forse con Fratelli d’Italia. Ma dal partito di Giorgia Meloni già arriva una puntura di spillo quando si fa notare, seppure per vie indirette, che al Brancaccio non c’erano alcuni «totiani» della prima ora che giovedì parteciperebbero a una manifestazione di FdI in Sicilia: il sindaco di Catania Salvo Pogliese, l’ex sindaco di Ascoli Guido Castelli, Massimo Ferrarini e Alfredo Antoniozzi. Le stesse fonti non dimenticano poi di far notare l’assenza del governatore del Piemonte Alberto Cirio. La deputata Laura Ravetto è stata incerta fino all’ultimo anche perché avrebbe subito garbate pressioni: “Certo non da Berlusconi”, ha poi chiarito. L’ex dc Osvaldo Napoli la mette così: «La politica è sintesi. A Saint Vincent da Donat Cattin andavano Andreotti e Gava. E viceversa…». Luigi Vitali vuole solo sapere se “il 13 luglio ci sarà il Consiglio nazionale”.
Martedì Toti siederà al tavolo delle regole di FI con Carfagna, Gelmini, Bernini e Tajani: “Avremo al nostra rivoluzione d’ottobre. Ma chi vuole allungare il brodo con me ha sbagliato indirizzo”, avverte il governatore. E Mariastella Gelmini prevede un confronto ruvido: “Non basta lo sventolare delle bandiere azzurre per annacquare la mancanza di rispetto che ingenerosamente Giovanni Toti continua a manifestare verso i dirigenti e i militanti di Forza Italia”.

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Cronache

Gianni Berengo Gardin: “La vecchiaia fa schifo, ma morirò comunista con la mia Leica”

Il grande fotografo Gianni Berengo Gardin, 95 anni, racconta la sua vita in una straordinaria intervista al Corriere: Sartre, Oriana Fallaci, le grandi navi a Venezia, la fotografia come racconto.

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A ottobre compirà 95 anni, ma Gianni Berengo Gardin (foto Imagoeconomica) continua a vivere come ha sempre fatto: con l’occhio attento, l’ironia tagliente e lo spirito battagliero. In una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, il maestro della fotografia italiana racconta una vita densa di storie, incontri memorabili e scatti diventati parte della nostra memoria collettiva.

Una vita tra Roma, Venezia, Parigi e due milioni di negativi

Nato per caso a Santa Margherita Ligure nel 1930, cresciuto tra Roma e Venezia, Berengo Gardin si è poi innamorato di Parigi, dove conobbe Jean-Paul Sartre, che lo portava al cinema a vedere western. Proprio nella capitale francese nasce la sua vocazione: «Lavoravo in un hotel la mattina, il resto della giornata lo passavo per strada con la macchina fotografica».

Oggi custodisce oltre due milioni di negativi, ma confessa: «Non so fare una foto col telefonino. Fotografare è raccontare, non scattare a caso milioni di immagini digitali».

Dai manicomi all’impegno civile

Il fotografo che ha documentato i manicomi prima della riforma Basaglia, con il celebre lavoro “Morire di classe”, confessa lo shock provato di fronte all’abbandono e al degrado delle strutture. «Non volevamo ferire, ma testimoniare. Uscimmo così sconvolti da prendere il treno sbagliato».

È stato lui a far conoscere al mondo lo scandalo delle grandi navi a Venezia, con immagini potenti bloccate da un sindaco che lo definì “nobile socialista”. Replica secca: «Sono comunista da una vita».

Sartre, Fellini e Oriana Fallaci: incontri e delusioni

Di Sartre conserva il ricordo di un uomo semplice e fissato con i western. Di Federico Fellini, invece, una profonda delusione: «Mi ricevette freddamente, volle scegliere l’inquadratura e fece telefonate mentre lo fotografavo». Ancora più faticoso il ritratto di Oriana Fallaci: «Tre rifiuti, poi finalmente accettò. Che fatica».

Sulla fotografia, non ha dubbi: «Deve essere buona, non bella. Deve raccontare. Per questo ho orinato su un teleobiettivo costoso: volevo liberarmi del feticismo degli strumenti».

Toscani, Dondero e Cartier-Bresson

Ironico anche su Oliviero Toscani: «Mi chiamò “fotografo di piccioni”, ma mi alzai e dissi: “Signori, sono io”». E con affetto ricorda Dondero, Scianna, e il suo mito Henri Cartier-Bresson, conosciuto grazie a Scianna: «Diceva che tre scatti per soggetto bastavano. Condivido».

“Non voglio funerali. E ogni sera mangio una Coppa del nonno”

Berengo Gardin non ha mai smesso di lavorare su se stesso. La sua giornata è scandita da piccoli riti: «Mi svegliano alle 8, leggo i giornali, pranzo leggero e la sera, immancabile, una Coppa del nonno. Prima era peggio: mangiavo chili di cioccolato».

E quando gli chiedono se gli farebbe una foto con lo smartphone, risponde sornione:

«E come diamine si fa?».

Un uomo antico, moderno nel pensiero e fedele al suo sguardo: quello di chi ha sempre saputo che la fotografia è un atto politico e poetico insieme.

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Ema Stokholma, dalla sofferenza alla libertà: arte, radio, pittura e il sogno di una vita tranquilla

Ema Stokholma si racconta tra arte, successi, infanzia difficile, analisi e sogni di libertà. Pittrice, deejay, scrittrice, vincitrice del Bancarella, oggi cerca solo serenità.

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Morwenn Moguerou, oggi conosciuta da tutti come Ema Stokholma (foto Imagoeconomica), ha trasformato le ferite dell’infanzia in linguaggi artistici. Conduttrice radiofonica, scrittrice premiata, pittrice, attrice e ora aspirante poetessa, Ema vive tra mille sfumature di sé e una sola costante: la libertà.

Un’identità costruita nel dolore

Nel 2009 Morwenn ha deciso di scegliere il proprio nome, Ema, spiega in una intervista al Corriere della Sera. «Chi mi conosce da prima, mi chiama ancora Morwenn. Ma oggi va bene anche Ema». L’infanzia, segnata da abusi fisici e psicologici, è raccontata nel memoir Per il mio bene, vincitore del Premio Bancarella 2021. Un’opera che Ema ha scritto e condiviso con il fratello Gwendal: «Senza il suo consenso non l’avrei pubblicato. I proventi li dividiamo: è la mia storia, ma anche la sua».

La resilienza come stile di vita

Nonostante il dolore, Ema non cede al vittimismo: «Io non sono mai giù di corda. Mi arrabbio, ma mi passa. Anche adesso mi capita di avere inappetenza, ma alle chips non so resistere». La figura della madre resta una presenza complessa: «La sogno raramente. E quando succede, è sempre la mamma giudicante che mi disprezza».

Arte, musica e pittura: una rinascita

Attraverso la radio, la scrittura e la pittura, Ema ha trovato modi nuovi per esprimere il suo mondo interiore. «Quando ho venduto il mio primo quadro ho provato una felicità autentica». Oggi le sue opere si vendono anche a cinquemila euro, grazie anche all’aiuto di amici come Gino Castaldo: «Mi ha detto: fai da sola, come i cantanti indipendenti».

I quadri, però, non entrano più in casa sua: «Li parcheggio dagli amici finché non li vendo. A casa mia non ci stanno più».

I legami veri: gli amici come famiglia

La sua vera famiglia è quella costruita tra amici: Andrea Delogu, «che ha una capacità rara di ascolto», e Luca Barbarossa, figura di riferimento, con cui condivide una visione serena della vita. «E poi Mirko Nazzaro, che mi ha messo sulle tracce di Marina Abramovic. Grazie a lui l’ho intervistata per RaiPlay, un sogno diventato realtà».

Il sogno della quiete

Dopo 40 traslochi, Ema oggi sogna solo pace: «Voglio vivere in una casa dove si sentono gli uccellini. Poco stress, tranquillità». Non ha mai desiderato figli, ma ha avuto un rapporto speciale con le figlie di un compagno: «Spero sappiano che possono contare su di me».

La conquista della libertà

Ema continua ad andare in analisi dal 2012: «Ho cambiato diversi terapisti, ma non ho mai smesso». Oggi sente di avere molto: «Sognavo una famiglia come quella di Friends, e ce l’ho. Sognavo di fare la cameriera, e l’ho fatto. Ho tutto quello che mi serve». E alla domanda su cosa le stia più a cuore, risponde senza esitazioni:

«La mia libertà».

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Lorenzo Insigne torna in Italia: “Sogno ancora la Nazionale, voglio restare e giocare in Europa”

Dopo tre anni in Canada, Lorenzo Insigne torna in Italia e sogna l’azzurro della Nazionale: “Aspetto la chiamata giusta, restare in Europa è la priorità. Con Sarri sarebbe un onore”.

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Tre anni lontano da casa, a Toronto, in Canada. Ora Lorenzo Insigne è tornato. E lo ha fatto con le idee chiare: restare in Italia, tornare protagonista in Europa e riconquistare la maglia azzurra della Nazionale. Lo ha raccontato in un’intervista a Il Mattino rilasciata ieri all’aeroporto di Fiumicino, appena atterrato da oltreoceano.

“Sto bene, pronto per una nuova sfida”

«Sto molto bene. Contento e sereno del mio rientro», ha esordito Insigne, sorridente e abbronzato, circondato da fan e ragazzini che non hanno perso l’occasione per un selfie. Nessuna nostalgia per Toronto, ma solo gratitudine per l’esperienza: «A livello calcistico non è andata come sognavo, ma ho conosciuto persone fantastiche. È stata un’esperienza importante».

Il sogno azzurro e il rapporto con Gattuso

La priorità per Insigne è chiara: «La maglia azzurra l’ho sempre sognata da bambino. Spero di tornare presto in Nazionale, ma prima devo fare bene nella mia nuova avventura». Parole cariche di stima anche per Gattuso, nuovo commissario tecnico: «Con lui ho un grande rapporto, ci sentiamo ancora. È una persona squisita. Farà bene».

Napoli nel cuore e il legame con Mertens e Hamsik

L’ex capitano azzurro non dimentica le sue radici e i compagni di una vita: «Sono felicissimo per i successi del Napoli, ho festeggiato a Toronto con i miei cari. Marek (Hamsik) è stato il mio capitano, gli auguro tutto il meglio. E con Dries (Mertens) ho condiviso tanto, l’ho anche aiutato a diventare il capocannoniere del Napoli!».

Lazio? “Con Sarri sarebbe un onore”

Quanto al futuro, Insigne lascia ogni decisione al suo agente, ma chiarisce le sue intenzioni: «Voglio restare in Italia, ho una voglia matta di tornare a giocare in Europa». Le voci sulla Lazio lo lusingano, anche se ammette: «Il blocco del mercato complica tutto. Ma tornare con Sarri sarebbe un onore. Prima di decidere bisogna sempre sedersi a tavolino».

L’attesa della chiamata giusta

Il telefono è acceso, la suoneria al massimo. Insigne aspetta quella chiamata giusta che potrebbe riportarlo sotto i riflettori del calcio italiano. Intanto, si concede qualche giorno di vacanza con la famiglia. Ma il richiamo dell’azzurro, stavolta, è più forte che mai.

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