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Terremoto a Pozzuoli, case sgomberate e decine di famiglie evacuate

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Questa volta è stato diverso. Questa volta la forte scossa e l’intenso sciame sismico che l’ha accompagnata hanno sì provocato l’evacuazione di una ventina di stabile e lo sgombero di oltre 40 famiglie, ma soprattutto diffuso paure e generato incertezze profonde in migliaia di abitanti dei Campi Flegrei sul futuro, nonostante le rassicurazioni della comunità scientifica che monitora costantemente l’evolversi della situazione che interessa complessivamente 500 mila persone. Ci si era quasi, si può dire, abituati a quei sobbalzi a scadenza variabile legati all’annoso fenomeno del bradisismo.

Ma lo zenit del terrore alle 20,10 di ieri con la scossa di magnitudo 4.4 (la più forte degli ultimi 40 anni) avvertita in diversi comuni della provincia di Napoli e alcuni quartieri della città e lo sciame, iniziato poco prima delle 20, e che ha concentrato in poche ore oltre 150 scosse, hanno segnato una sorta di ‘rottura’ rispetto all’equilibrio del passato, alla convivenza forzata con il sommovimento della terra.

Aprendo la strada a incubi e foschi scenari. Domani la premier Giorgia Meloni presiederà un vertice a Palazzo Chigi con i ministri interessati. Secondo quanto spiega il responsabile della Protezione Civile, Nello Musumeci, ci saranno “eventuali ulteriori interventi da parte del governo, dopo quelli già promossi e in corso di attuazione con il decreto legge dell’ottobre scorso. Sono in costante contatto con il presidente del Consiglio che segue sin da ieri sera la situazione”. In tanti nella notte hanno preferito dormire in strada temendo qualche replica particolarmente forte mentre la mente dei più anziani è andata al terribile sisma che nel novembre ’80 colpì Campania e Basilicata.

In piena notte le strade sono riempite di auto mentre a terra c’erano i calcinacci caduti da alcuni palazzi. Qualcuno è sceso di casa portandosi appresso la valigia, qualcun altro con in braccia il cagnolino. Lo sciame continua e non si escludono scosse anche più forti ma questo non deve indurre ad allarmismi, dicono gli esperti. Trentanove le famiglie che sono state sgomberate a Pozzuoli, 18 gli stabili evacuati con un centinaio di persone coinvolte, in particolare nella zona limitrofa alla Solfatara e all’Anfiteatro Flavio ma si tratta di numeri che potrebbero essere destinati a salire.

Completamente evacuato per accertamenti sulla staticità, con un’operazione peraltro condotta in tempi particolarmenti veloce, il carcere femminile, dopo una notte di angoscia e all’addiaccio per le 140 detenute, chiusa per verifiche una struttura dell’Asl. Niente scuola, a scopo precauzionale, per migliaia di alunni, stop al mercato ittico all’ingrosso e al cimitero. Sul territorio le istituzioni sono mobilitate, con la Protezione civile a coordinare gli interventi di assistenza.

A Pozzuoli sei tendopoli accolgono gli sfollati ma il Comune pensa a una collocazione in alberghi e altre strutture ricettive. Il sindaco Gigi Manzoni invita alla calma. Il primo cittadino di Napoli, Gaetano Manfredi, sindaco metropolitano, rassicura i cittadini ma annuncia comunque la predisposizione di aree di accoglienza, in caso di necessità. Domani, comunque, in città le scuole saranno regolarmente aperte (resteranno chiuse invece a Pozzuoli, così come le palestre). Il prefetto Michele di Bari ha presieduto una serie di riunioni.

“E’ stato terribile, abbiamo visto l’inferno”, le prime parole di chi è sceso in strada dopo il terremoto. “E ora, che succede?”, si domanda qualcun altro.400 brandine sono state fatte arrivare a Pozzuoli a scopo precauzionale. I cittadini ribadiscono la loro preoccupazione: le vie di fuga devono essere libere da ostacoli e non ostruite da cantieri. E da questa mattina sono iniziate verifiche tecniche da parte delle squadre di ingegneri della protezione civile regionale specializzate. Le verifiche vedono un coordinamento delle attività del sistema di protezione civile composto da Dipartimento Nazionale, Vigili del Fuoco, Regione Campania e Comune di Pozzuoli presso il Centro Operativo Comunale. I controlli, evidentemente proprio con l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione, avverranno anche all’interno delle abitazioni su richiesta dei cittadini. Circa 300 finora le segnalazioni relative ad edifici.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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