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“Sfiduciate”, Lucetta Scaraffia lascia inserto donne Osservatore Romano

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È un addio che farà discutere. Un duro atto d’accusa nei confronti della nuova direzione, ritenuta responsabile di aver depotenziato il progetto editoriale, lasciando la redazione in un “clima di sfiducia e di delegittimazione progressiva”. Lucetta Scaraffia, storica, giornalista e scrittrice, dice addio alla sua creatura, l’inserto femminile dell’Osservatore Romano “Donne chiesa mondo” e lo fa con un editoriale – programmato per l’edizione di aprile – ed una lettera inviata a papa Francesco. “Mi auguro che la legga”, il suo auspicio. Con lei lasciano il mensile anche le dieci redattrici che ogni mese contribuivano, da sette anni, alla pubblicazione di articoli e riflessioni sul mondo cattolico e il rapporto con le donne. Il neo-direttore del quotidiano della Santa Sede, Andrea Monda, respinge le accuse spiegando di aver “garantito” a tutta la redazione “la stessa totale autonomia e la stessa totale libertà che hanno caratterizzato l’inserto mensile da quando è nato, astenendomi dall’interferire in qualsiasi modo”.

 

Nell’editoriale di commiato, Scaraffia rivendica la propria autonomia, denunciando la “selezione delle donne che parte dall’alto”, la “scelta di collaboratrici che assicurano obbedienza” rinunciando “a ogni possibilita’ di aprire un vero dialogo, libero e coraggioso, fra donne che amano la Chiesa nella liberta’ e uomini che ne fanno parte”. Ma non solo. Accusa Monda di aver intrapreso sulle pagine dell’Osservatore “collaborazioni e iniziative che appaiono concorrenziali, con l’effetto di mettere le donne l’una contro l’altra invece di sollecitare confronti aperti”. “Il mio impegno – replica il direttore, alla guida del quotidiano da dicembre scorso, in sostituzione di Giovanni Maria Vian – e’ stato e rimane quello di potenziare l’edizione quotidiana de ‘L’Osservatore Romano’ (non certo in termini di concorrenzialita’ ma di complementarieta’ con il supplemento) come e’ naturale e giusto che sia”. “In nessun modo ho selezionato qualcuno, uomo o donna, con il criterio dell’obbedienza. Semmai, al contrario, evitando di interferire con il supplemento mensile, ho sollecitato nella fattura del quotidiano confronti realmente liberi, non costruiti sul meccanismo degli uni contro gli altri o dei gruppi chiusi”, sottolinea Monda che, in chiusura, assicura che il mensile non chiudera’.

 

“La sua storia – chiosa – non si interrompe ma continua. Senza clericalismi di alcun genere”. “Donne chiesa mondo” e’ nato nel 2012, proprio da un’idea di Scaraffia entusiasticamente raccolta da Vian, sostenuto da papa Benedetto XVI prima e Francesco poi. In sette anni si e’ occupata di numerosi argomenti, dalla politica alla scienza, avviando anche riflessioni nel mondo cattolico tanto da guadagnarsi traduzioni in spagnolo, francese e inglese. Recentemente era stato avviato anche un approfondimento sul tema degli abusi nei confronti delle suore, che poi ha visto l’ammissione dello stesso Bergoglio. “Non siamo state noi a parlare per prime, come forse avremmo dovuto – scrive la direttrice nella sua lettera al Papa -. Non abbiamo piu’ potuto tacere: sarebbe stata ferita in modo grave la fiducia che tante donne avevano riposto in noi. Ora ci sembra che un’iniziativa vitale sia ridotta al silenzio e che si ritorni all’antiquato e arido costume della scelta dall’alto, sotto il diretto controllo maschile, di donne ritenute affidabili”.

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A 10 anni dalla legge di riforma delle Province siamo ancora nel pantano

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Amaro in bocca per le Province che in questi giorni salutano il decimo anniversario del via libera alla legge 56/14, la cosiddetta Delrio, finita però subito su un binario morto, complice anche nel 2016 una sconfitta a un referendum costituzionale. Con quella legge le Province diventavano enti di secondo grado, con la cancellazione dell’elezione diretta dei Presidenti e degli amministratori, con un taglio netto a funzioni e personale. E pur essendo nata con un carattere transitorio quella disposizione ancora oggi regola le attività delle Province sul territorio.

Tant’è che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, all’ultima assemblea dell’Unione delle province d’Italia (Upi) dell’ottobre scorso ha tenuto a ricordare che “le norme attualmente in vigore, che disegnano strutture e ambiti delle Province, sono legate a una transizione interrotta e anche per questo, indipendentemente dai giudizi sul merito del percorso allora ipotizzato, giudizi che io non posso esprimere, creano vuoti e incertezze che non possono prolungarsi, rischiando che cittadini e comunità paghino il prezzo di servizi inadeguati, di competenze incerte, di lacune nelle funzioni di indirizzo e di coordinamento”.

Che qualcosa non vada se ne è accorta anche Bruxelles e il 19 febbraio scorso il Consiglio d’Europa nel suo ‘Monitoraggio dell’applicazione della Carta europea dell’autonomia locale in Italia’ ha chiesto a Roma di ampliare il campo d’azione delle Province, una volta reintrodotti gli organi eletti direttamente, garantendo risorse finanziarie adeguate e proporzionate, nel rispetto della Carta Europea delle autonomie locali. Ma la politica italiana è conscia dell’impasse e per sbrogliare la matassa già a inizio legislatura maggioranza e opposizione hanno tentato di intervenire con una decina di disegni di legge depositati in Senato e su cui la discussione è dapprima avanzata velocemente, tanto che si è arrivati all’esame di un testo unificato in Commissione Affari costituzionali, ma poi si è bruscamente interrotta.

Nel frattempo il 29 settembre prossimo è in agenda un election day per le elezioni in almeno 41 Province, anche se il numero non può essere calcolato, perché il Presidente, senza una Giunta, ha un mandato di quattro anni mentre il mandato dei Consigli provinciali è di due, ma per tutti la condizione è che abbiano la carica di amministratori comunali. Quindi dipende da come andranno le elezioni comunali di giugno: nel caso in cui qualche Sindaco non fosse ricandidato o perdesse le elezioni la Provincia dovrebbe andare o tornare al voto.

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Ordine medici, ‘la salute è priorità strategica per lo Stato’

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La salute è “strategica per la nostra Repubblica” ed è “difesa dalle competenze dei professionisti e dei medici” ma oggi, dopo 45 anni di Servizio sanitario, “ci ritroviamo ancora con disuguaglianze da colmare da Nord a Sud ma anche da centro e periferia”, e l’auspicio è che “si possa ripartire ancora di più nel garantire l’accesso uguale per tutti e in tutte le strutture”. Garantire l’equità rappresenta infatti “uno dei principi essenziali del nostro sistema sanitario nazionale così come l’universalità”.

Questo il messaggio del presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, in un intervento video in occasione della 76/a Giornata mondiale della salute istituita nel ’48 per sottolineare l’importanza del diritto alla salute. Diritto individuale, sottolinea Anelli, ma anche un interesse della comunità. E questo “in maniera straordinaria – dice il presidente Fnomceo – l’ha interpretato molto bene il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ci invitò ad aprire la sfilata nel 2 giugno del 2022 come segno tangibile non solo di ringraziamento nei confronti di tutti i professionisti per lo sforzo fatto durante il Covid ma soprattutto per sottolineare quanto la salute oggi sia strategica per lo Stato”.

“Quando il Servizio nazionale mostra un un po’ di affanno è necessario sostenerlo nella consapevolezza che un sistema che si prende cura della malattia del singolo cittadino rappresenta oggi – conclude Anelli – il migliore strumento per garantire la salute di tutti ma anche il migliore strumento per consentire che tutte le persone in questo nostro pianeta siano uguali davanti alla salute”.

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Esercito di Israele si scusa per l’attacco al Wck e caccia 2 ufficiali

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Israele ha rimosso dall’incarico due ufficiali superiori dell’Idf per l’uccisione a Gaza dei 7 operatori umanitari della World Center Kitchen. Sono i primi provvedimenti presi al termine dell’indagine condotta dall’esercito, mentre – sotto la pressione Usa – Israele ha riaperto il valico di Erez, nel nord della Striscia, chiuso dal 7 ottobre, per aumentare gli aiuti umanitari all’enclave palestinese. Una mossa salutata con favore dal presidente Joe Biden, secondo cui Israele sta facendo “quanto chiesto” sugli aiuti. L’indagine dell’esercito ha definito l’attacco ai volontari “un errore che non sarebbe dovuto accadere e contrario agli standard operativi” per il quale le forze armate, “scusandosi”, si sono assunte “la piena responsabilità”.

I due ufficiali allontanati sono un maggiore, responsabile dell’unità di fuoco che ha lanciato i tre razzi da un drone, e un colonnello della riserva, capo dello staff della Brigata. Ad aver avuto un richiamo ufficiale sono stati anche il comandante della Brigata, quello della 162/esima Divisione e il comandante in capo del Fronte sud Yaron Finkelman. “Le forze dell’ordine – ha ricostruito l’indagine – hanno identificato un uomo armato su uno dei camion degli aiuti e subito dopo un altro ancora”. Dopo che le tre auto hanno lasciato il deposito, “uno dei comandanti ha erroneamente pensato che gli uomini armati si trovassero all’interno delle auto e che si trattasse di terroristi di Hamas. Le forze armate non hanno identificato i veicoli in questione come associati al Wck”.

Quindi “hanno preso di mira i tre veicoli sulla base dell’errata classificazione dell’evento e dell’errata identificazione dei veicoli come aventi a bordo agenti di Hamas, con il conseguente attacco che ha portato alla morte di sette operatori umanitari innocenti”. “Coloro che hanno approvato il raid – ha ribadito l’indagine – erano convinti di colpire operativi armati di Hamas e non impiegati del Wck”. La Cnn ha citato un portavoce dell’Idf secondo cui l’esercito “ha erroneamente identificato come un’arma qualcosa appeso alle spalle di uno dei passeggeri. Gli ufficiali militari israeliani ora valutano che si trattasse probabilmente di una borsa”. Sui tre veicoli, come era stato già rivelato in precedenza, sono stati lanciati “in rapida successione” tre missili che non hanno lasciato scampo agli operatori che cercavano di mettersi in salvo passando da un’auto all’altra.

“Le scuse dell’esercito israeliano per l’oltraggiosa uccisione dei nostri colleghi rappresentano un freddo conforto”, ha obiettato la World Central Kitchen confermando il blocco delle sue operazioni a Gaza. Poi ha rinnovato la richiesta di una commissione indipendente di indagine sulle uccisioni: “L’Idf – ha accusato l’ong – non può indagare in modo credibile sul proprio fallimento a Gaza”. Anche la Gran Bretagna, che conta tre connazionali uccisi nell’attacco, ha chiesto la “massima trasparenza” e una “revisione totalmente indipendente” rispetto all’inchiesta israeliana, mentre il segretario di Stato Antony Blinken ha annunciato che gli Usa stanno “rivedendo” i risultati dell’indagine anche se ha definito “importante” che “si stiano facendo passi” nei confronti dei responsabili. Intanto – dopo il tesissimo colloquio di ieri tra Biden e Netanyahu – Israele ha riaperto il valico di Erez con Gaza, chiuso dallo scorso 7 ottobre, per aumentare gli aiuti umanitari alla parte settentrionale dell’enclave palestinese che arriveranno nel vicino porto israeliano di Ashdod.

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